MFormazione "il FIGLIO dell'UOMO" ARGOMENTO dalla STAMPA QUOTIDIANA

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Rassegna Stampa - L'Argomento di Oggi 2010-01-14

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Democrazia Cristiana

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Democrazia Cristiana

Democrazia cristiana logo.jpg

Partito politico italiano del passato

Leader storici Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti

Periodo di attività 15 dicembre 1943 - 16 gennaio 1994

Sede Piazza del Gesù, Roma

Coalizioni CLN (1944-1947), Centrismo (1947-1962), Centro-sinistra (1963-1979), Pentapartito (1980-1994)

Partito Europeo PPE

Ideologia Centrismo

Cristianesimo sociale

Cristianesimo democratico

Collocazione Centro

alternando posizioni di centro-sinistra e centro-destra

Numero massimo di seggi alla Camera 305 (nel 1948)

Numero massimo di seggi al Senato 150 (nel 1948)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 29 (nel 1979)

Organo ufficiale Il Popolo

La Democrazia Cristiana (DC) è stato un partito politico italiano di ispirazione democratico-cristiana e moderato, fondato nel 1942 ed attivo sino al 1994. Ha avuto un ruolo importante nella rinascita democratica italiana e nella costruzione europea. Esponenti democristiani hanno fatto parte di tutti i governi italiani dal 1944 al 1994, esprimendo quasi sempre il presidente del consiglio dei ministri. La DC è stata sempre il primo partito alle consultazioni politiche nazionali cui ha partecipato, con una sola eccezione, nel 1984[1].

Indice

[nascondi]

* 1 Storia

o 1.1 Gli anni della guerra 1942-1945

+ 1.1.1 La partecipazione alla resistenza

+ 1.1.2 Tensioni tra partigiani cattolici e comunisti

# 1.1.2.1 Tensioni durante la guerra

# 1.1.2.2 Tensioni nel dopoguerra

o 1.2 La fase iniziale e costituente (1944-1948)

o 1.3 La rottura tra partiti filo-occidentali e partiti filo-sovietici

* 2 Lo spettro della guerra civile

o 2.1 Il centrismo

o 2.2 La campagna elettorale del 1948

o 2.3 I Legislatura - Gli anni del centrismo degasperiano 1948-1953

o 2.4 II Legislatura (1953-1958) - L'avvento delle nuove generazioni

o 2.5 III Legislatura (1958-1963) - La spinta a superare il centrismo

o 2.6 IV Legislatura (1963-1968)- Il centro-sinistra

o 2.7 V Legislatura (1968-1972) - Gli anni della contestazione

o 2.8 VI Legislatura (1972-1976) - Di fronte all'ascesa del Pci

o 2.9 VII Legislatura (1976-1979) -Dal centrosinistra alla solidarietà nazionale

o 2.10 Dal pentapartito verso la fine

o 2.11 VIII-Legislatura 1979-1983

o 2.12 IX Legislatura - Dal 1983 al 1987

o 2.13 X Legislatura - Dal 1987 al 1992

o 2.14 XI Legislatura - Dal 1992 al 1994

* 3 Le correnti interne alla DC

o 3.1 Le prime tendenze

o 3.2 Lo strutturarsi delle correnti

o 3.3 L'ultimo Congresso Nazionale

o 3.4 Lo scioglimento del partito

* 4 La diaspora democristiana

o 4.1 Il disperdersi del patrimonio immobiliare

* 5 Risultati elettorali

* 6 Segretari

* 7 Congressi

* 8 Iscritti

* 9 Cariche istituzionali

* 10 Note

* 11 Bibliografia

* 12 Altri progetti

* 13 Voci correlate

* 14 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Parte delle serie politiche sul

Cristianesimo democratico

Latin Cross.svg

Attuali

Cristianesimo democratico

Cristianesimo sociale

Cristianesimo liberale

Conservatorismo cristiano

Influenze

Dottrina sociale della Chiesa

Economia sociale di mercato

Economia mista

Neo-calvinismo

Umanesimo cristiano

Idee

Rerum Novarum

Graves de Communi Re

Quadragesimo Anno

Laborem Exercens

Sollicitudo Rei Socialis

Appello ai liberi e forti

Centesimus Annus

Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana

Ideatori

Don Luigi Sturzo

Romolo Murri

Alcide De Gasperi

Giuseppe Toniolo

Konrad Adenauer

Robert Schuman

Varie

Democrazia Cristiana

Organizzazioni

Internazionale Democratica Centrista

Partito Popolare Europeo

Portale della Politica

Gli anni della guerra 1942-1945 [modifica]

Dopo il forzato scioglimento del Partito Popolare Italiano (PPI) da parte del fascismo nel 1926, i cattolici non costituirono formazioni politiche antifasciste né nella clandestinità né nell'esilio. Tutti i maggiori esponenti del PPI furono costretti all'esilio o a ritirarsi dalla vita politica e sociale. Poterono invece continuare ad operare anche sotto il regime, seppure con qualche restrizione, formazioni sociali come l'Azione Cattolica e la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

Nell’ottobre 1942, mentre si profilava la sconfitta del regime, il partito della Democrazia Cristiana venne fondato da Alcide De Gasperi, presso l'abitazione dell'industriale dell'acciaio Enrico Falck, a Milano, assieme ad esponenti del disciolto Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, del Movimento Guelfo d'Azione di Piero Malvestiti e ad intellettuali provenienti dalle organizzazioni cattoliche, come l'Azione Cattolica e la FUCI. Tra i fondatori, oltre a Sturzo e De Gasperi, si ricordano Mario Scelba, Attilio Piccioni, Camillo Corsanego e Giovanni Gronchi del PPI, Aldo Moro e Giulio Andreotti dell'Azione Cattolica e Amintore Fanfani e Giuseppe Dossetti della FUCI e Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione Siciliana, che creò lo stemma successivamente modificato da Luigi Sturzo; Alcide De Gasperi ricevette solo sei mesi dopo la versione definitiva dello "scudo crociato".

All'inizio partecipa ai primi incontri di fondazione anche un gruppo attivo nella Resistenza, il Movimento Cristiano Sociale di Gerardo Bruni, che però, su posizioni socialiste e anticapitaliste, presto si dissocia e darà poi vita a un partito autonomo di breve durata, il Partito Cristiano Sociale.

Il partito fondato da De Gasperi visse una vita clandestina, senza organizzare attività antifasciste, fino al 25 luglio 1943. Il governo Badoglio, pur ufficialmente vietando la ricostituzione dei partiti, di fatto ne consentì l'esistenza, incontrandone gli esponenti in due occasioni prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Il 10 settembre, anche la DC partecipò alla costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), all'interno del quale il partito cercò di assumere la guida delle forze politiche più moderate, contrapponendosi ai partiti di sinistra (PCI e PSIUP). L'atteggiamento della DC, in linea con quello della Chiesa, era di evitare prese di posizione troppo nette sul destino della monarchia nel dopoguerra, e di ridurre la portata della lotta armata, ad esempio schierandosi a favore della dichiarazione di Roma "città aperta".

La partecipazione alla resistenza [modifica]

Alcide De Gasperi, fondatore della DC

A partire dal 1943 il neonato partito partecipò nelle zone occupate alla Resistenza con proprie forze, radunate in Brigate, che erano l'unità organizzativa delle forze partigiane. I partiti del CLN avevano ognuno proprie forze, normalmente in brigate di corrispondente colore politico. Le forze facenti riferimento alla Democrazia Cristiana furono nettamente inferiori rispetto alle forze del Partito Comunista e del Partito d'Azione.

Le Brigate che facevano riferimento alla Democrazia Cristiana ebbero vari nomi a seconda del territorio in cui operarono: nell'Emilia e nella bassa Lombardia si chiamarono Fiamme Verdi, in altre regioni Brigate del popolo, oppure Brigate Osoppo, od anche altri nomi a seconda della località. Inoltre persone di orientamento cattolico si arruolarono in brigate di altro colore politico per vicinanza territoriale, amicizie personali od altre cause.

Rappresentante della DC nel Corpo dei Volontari della Libertà, che organizzava la Resistenza, fu Enrico Mattei, il quale cercò di portare sotto le bandiere del suo partito numerose formazioni "autonome" precedentemente costituite. Si calcola che su circa 200.000 partigiani armati nei giorni intorno al 25 aprile 1945, 30.000 appartenessero alle formazioni legate alla DC[2].

Le formazioni di orientamento cattolico ebbero in genere un atteggiamento prudente, sia nei confronti della popolazione, che cercarono di trattare umanamente e cercarono di non esporre inutilmente, che nei confronti degli avversari, nei cui confronti evitarono provocazioni che potessero portare a rappresaglie sulla popolazione, sia nei confronti delle formazioni partigiane di diverso orientamento politico, cercando di collaborare, nonostante momenti difficili e in alcuni casi anche scontri, apportando un contributo di equilibrio.

Tensioni tra partigiani cattolici e comunisti [modifica]

Tensioni durante la guerra [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eccidio di Porzus.

Indicative dei rapporti tra cattolici e comunisti sono alcune frasi. È famosa una espressione in uso tra i partigiani delle 'Fiamme Verdi', nelle riunioni dopo la guerra, riferentesi al tempo della guerra di liberazione: "Si discuteva, tra noi e i comunisti, con la pistola sotto il tavolo. Ma si discuteva"[3]

Giuseppe Dossetti, in una lettera a don Carlo Orlandini, comandante delle 'Fiamme Verdi (RE)', riferendosi ai partigiani di altra fede politica, si esprime così: "Imprescindibili pregiudiziali di ordine morale e politico ci impediscono di assumere ancora una volta la responsabilità di tutto quanto loro compiono sotto il titolo di lotta di liberazione."[4] Casi particolarmente gravi di tensioni furono raggiunti sul confine orientale.

Tensioni nel dopoguerra [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Comitati civici, Triangolo rosso, Uccisione di ecclesiastici nel secondo dopoguerra (1945-1947), Giorgio Morelli, Mario Simonazzi, Eccidio dei conti Manzoni e Volante Rossa.

Le tensioni continuarono e si accentuarono progressivamente nel dopoguerra, sfociando spesso in fatti di sangue. La prima parte della resistenza aveva risolto il dualismo tra le due parti in guerra guerreggiata, ma aveva lasciato irrisolto il nodo dello status dell'Italia, una volta liberata dalla occupazione straniera: democrazia e libertà o dittatura comunista? Forze filo-democratiche e forze filo-autocratiche avevano collaborato alla vittoria sui nemici esterni, ma si poneva ora il problema di chi avrebbe colto i frutti della vittoria.

Lo scontro fu subito assai duro, tra i vincitori della prima parte della resistenza, con un numero elevato di morti. I dirigenti del PCI facevano dettagliati rapporti sulla situazione all'ambasciatore sovietico, a quel tempo Mikhail Kostylev, che a sua volta riferiva al Cremlino. Il segretario del PCI ebbe uno di tali incontri il 31 maggio 1945 e l'ambasciatore riferì "Ercoli (Palmiro Togliatti), considera circa 50.000".[5] Una seconda guerra civile, a bassa intensità, tra i vincitori della prima, durò fino alle elezioni del 1948, che decisero lo scontro a favore della democrazia e della libertà, ma in alcune zone anche oltre.

La fase iniziale e costituente (1944-1948) [modifica]

La Democrazia Cristiana partecipò al governo Governo Badoglio II, insieme con gli altri partiti del CLN. Dopo la liberazione di Roma, venne formato il Governo Bonomi II, (giugno 1944), durante il quale la Dc decise di partecipare alla fondazione della nuova CGIL (fusione tra la CGL, di sinistra, e la CIL, cattolica), dando vita nel contempo alle ACLI e, per organizzare i lavoratori delle campagne, alla Coldiretti. Il I Congresso Interregionale del partito nominò segretario De Gasperi. Nel dicembre 1944, il Psiup e il Pd'A uscirono dal governo, nel quale si rafforzò il ruolo di De Gasperi, che divenne Ministro degli Esteri (Governo Bonomi III). Dopo il 25 aprile, si formò il Governo Parri, nuovamente con socialisti e "azionisti", nel quale si cementò l'alleanza tra democristiani e liberali. Nel dicembre 1945 la Presidenza del Consiglio fu assunta direttamente da Alcide de Gasperi (Governo De Gasperi I), il quale gestì le elezioni e il Referendum Istituzionale tra Monarchia e Repubblica (2 giugno 1946).In precedenza, il I Congresso della Dc aveva confermato De Gasperi nel ruolo di segretario del partito.

Dopo il referendum istituzionale, il leader democristiano gestì efficacemente il trapasso dei poteri dal Re alla Repubblica (Governo De Gasperi II), lasciando la segreteria ad Attilio Piccioni. Nel gennaio 1947 il Governo De Gasperi III si caratterizzò per la riduzione del peso del Pci nel campo della politica economica.

La rottura tra partiti filo-occidentali e partiti filo-sovietici [modifica]

Con il Governo De Gasperi IV 31 maggio 1947 la Democrazia Cristiana scelse la strada della contrapposizione tra partiti democratici e partiti di matrice marxista-leninista, con l'esclusione dal governo di comunisti e socialisti, ponendo fine ai governi di unità nazionale. Alla rottura si giunse dopo un lungo periodo di difficile coabitazione. La guerra per la liberazione aveva tenuto assieme culture assai differenti. Vi era un gruppo di partiti politici filo-occidentali ed un gruppo di partiti politici che guardavano al modello sovietico. La rottura era inevitabile ed avvenne nel 1947.

Gli storici Victor Zaslavsky e Elena Aga-Rossi hanno esaminato l'atteggiamento del Partito Comunista e dell'Unione Sovietica nei confronti dell'Italia. Negli ultimi anni, dopo la caduta del Comunismo in Russia, sono stati resi accessibili al pubblico molti documenti riguardanti gli anni successivi alla II Guerra Mondiale. Victor Zaslavsky ha esaminato a Mosca molti documenti di questo periodo, pubblicando la traduzione di alcuni.[6]

Elementi che accelerarono la rottura furono inoltre i frequenti atti di terrorismo, tendenti a rafforzare una delle parti politiche in lotta. Secondo i dati trovati dallo storico Victor Zaslavsky gli atti di terrorismo erano coerenti con lo scopo di facilitare la presa del potere. Dalla fine della guerra alle elezioni del 1948 furono molte migliaia le persone assassinate, talvolta aderenti al regime sconfitto, talvolta anche ex-membri della Resistenza, ma di orientamento politico a favore della democrazia, talvolta ecclesiastici, visti come propagandisti della Democrazia Cristiana.

Peraltro l'atteggiamento di Togliatti era volto a evitare lo scontro diretto, come mostrò la sconfessione dell'occupazione della Prefettura di Milano da parte di milizie partigiane comuniste armate alla fine novembre 1947, cui parteciparono esponenti di vertici del PCI, come Giancarlo Pajetta.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Ettore Troilo.

Lo spettro della guerra civile [modifica]

Lo spettro della guerra civile, come resa dei conti tra i due raggruppamenti usciti vincitori dalla I parte della Resistenza, aleggiò a lungo in Italia. Poco dopo la fine della guerra alcuni gruppi di Partigiani, insoddisfatti, ripresero la via dei monti, ed a fatica furono persuasi dai capi a rientrare. Nel settembre 1947 il Ministro dell'Interno Mario Scelba aveva preparato un piano di emergenza per contrastare un tentativo di colpo di stato delle sinistre.

Il 3 e il 4 dicembre 1947 la direzione della Democrazia Cristiana tenne due riunioni. I dirigenti che intervennero nella riunione furono tutti concordi nella necessità di prepararsi alla guerra civile, pur riconoscendo che essa sarebbe scoppiata solo in caso di ordini precisi da Mosca e non per iniziativa autonoma del Pci. Il dibattito si incentrò sulle forze su cui era possibile contare e sulle iniziative da prendere per contrastare una azione armata della sinistra. Scelba e Taviani concordarono nella debolezza dell'esercito e nella necessità di rafforzare le possibilità dello stato.[7]

La rigidità gerarchica delle strutture dell'apparato comunista, in cui la decisione finale spettava sempre solo a Mosca, e la visione Geopolitica valida era solo di Mosca, non lasciarono spazio a decisioni specifiche del Partito Comunista Italiano. La visione Geopolitica Moscovita non considerava utile una guerra civile in Italia, e quando il segretario del partito nel colloquio con l'ambasciatore sovietico del 23 marzo 1948, in vicinanza delle elezioni convocate per il 18 aprile, chiese istruzioni, la rapida risposta del Comitato Centrale Sovietico il 26 marzo fu negativa.[8]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Apparato paramilitare del PCI.

Il centrismo [modifica]

Iniziava il "centrismo", un sistema di alleanze tra la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSDI), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Partito Liberale Italiano (PLI), e l'affermazione della così detta conventio ad excludendum, estesa fino all'inizio anni '60 a comunisti e socialisti e missini, e successivamente limitata ai soli comunisti e missini.

Il periodo 1945-1948 fu un periodo difficile, di instabilità sociale, con frequenti disordini che le forze dell'ordine e lo stesso governo spesso non riuscivano a gestire al meglio.

Dal 1946 al 1948, la Democrazia Cristiana nell'Assemblea Costituente, partecipò alla stesura della Costituzione italiana, impegnandosi ad evitare un ritorno al passato fascista e contemporaneamente, ad evitare una strada marxista per la società italiana, pur collaborando con i comunisti ed i socialisti. Infatti la DC riuscì, quale partito di maggioranza relativa, a dialogare con tutti gli altri partiti dell'arco costituzionale, assicurando così al Paese una Carta Costituzionale ampiamente condivisa. Esempio di questo impegno è l'art. 1 della Costituzione, che nel definire l'Italia "una repubblica democratica fondata sul lavoro", evitò il riferimento tanto alla "repubblica dei lavoratori" di stampo decisamente marxista, quanto il riferimento ad uno Stato di impostazione liberal-capitalista. La base della DC era infatti interclassista.

La campagna elettorale del 1948 [modifica]

Alle elezioni politiche del 1948, vi fu una durissima campagna elettorale contro il Fronte Democratico Popolare, composto da comunisti e socialisti.

La propaganda politica la presentò come uno scontro tra libertà-capitalismo occidentale e totalitarismo-statalismo comunista (rappresentato dal Partito Comunista).

Assai rilevante fu il contributo della Chiesa, che scese in campo a favore della DC. Uno strumento importante furono i Comitati Civici, organizzati da Luigi Gedda.

Vi erano alcuni elementi che pesavano contro il FRONTE.

* Il colpo di Stato in Cecoslovacchia contribuì al formarsi di un'opinione sfavorevole nei confronti del Fronte.

* Elemento pure sfavorevole al Fronte fu il ritorno dei prigionieri di guerra italiani dalla Russia.[9]

* Altro elemento sfavorevole al Fronte fu la questione di Trieste.[10]

* Ulteriore elemento sfavorevole al Fronte fu la questione degli aiuti alla Ricostruzione, assai più probabili da parte Anglo-Americana che da parte Russa.[11]

Alle elezioni politiche del 1948, la DC (che nel suo II Congresso, alla fine del 1947, aveva mostrato una notevole compattezza, evitando di suddividersi in correnti) ottenne il 48.5% dei suffragi (12.700.000 voti), assicurando così la nascita di un governo di centro, insieme a PLI, PRI e PSDI. Il Fronte Democratico Popolare, composto da comunisti e socialisti ottenne il 31% dei suffragi (poco più di otto milioni di voti).

Il risultato delle elezioni del 1948 unito alla prudenza di Stalin stabilizzò la democrazia in Italia. (Il 23 marzo 1945, in imminenza delle elezioni, Togliatti aveva chiesto a Mosca istruzioni sul possibile uso dell'Apparato paramilitare del PCI ricevendo risposta "di non attuare una insurrezione armata in nessun modo".[12])

I Legislatura - Gli anni del centrismo degasperiano 1948-1953 [modifica]

In questi anni, la DC fondò governi con PSDI, PRI e PLI. I governi furono sempre guidati da Alcide De Gasperi. Primo di questi fu il Governo De Gasperi V (dopo il quale divenne segretario della Dc Giuseppe Cappi), caratterizzato da una politica moderatamente riformista (piano Ina-casa); la corrente di Giuseppe Dossetti, al III Congresso democristiano nel 1949 chiese di accelerare la politica di riforme, mentre la maggioranza degasperiana elesse segretario Taviani. All'inizio del 1950, in seguito a scontri in cui la polizia uccise alcuni manifestanti, il governo si dimise, e si costituì il Governo De Gasperi VI. Pochi mesi dopo, Gonella divenne segretario, e la corrente dossettiana, ispirandosi al laburismo inglese, ampliò la propria influenza, dando una forte spinta alle riforme (riforma agraria, Cassa del Mezzogiorno, ENI). Nel 1951 fu la volta del Governo De Gasperi VII, che segnò il ritiro di Dossetti dalla politica e la crescita del peso di Fanfani.

In questi anni la Dc risultava dipendente sul piano organizzativo dall'Azione Cattolica. Tuttavia, De Gasperi fece fallire la cosiddetta "operazione Sturzo", cioè il tentativo, appoggiato dal Vaticano, e sollecitato da Pio XII, di formare in occasione delle elezioni comunali di Roma del 1952 una lista civica aperta anche ai monarchici e all'Msi, organizzata da don Sturzo. Grazie alla mediazione di Andreotti, ben introdotto presso il Papa, De Gasperi fece fallire il progetto.

Sul piano della vita interna al partito, l'evento più rilevante fu la fondazione della nuova corrente di "Iniziativa democratica" (novembre 1951), sorta sulle ceneri di quella dossettiana, ma aperta anche a persone di altra provenienza (come Taviani). Il IV Congresso della Dc (novembre 1952), vide comunque il partito compatto intorno alla proposta di riforma elettorale sostenuta da De Gasperi.

Il risultato delle elezioni, però, segnò la sconfitta del progetto, in quanto la Dc e i suoi alleati rimasero, sia pure di poco, al di sotto del 50% dei voti, necessario per fare scattare il premio di maggioranza, perdendo voti più a vantaggio della destra (Pnm e Msi) che della sinistra.

II Legislatura (1953-1958) - L'avvento delle nuove generazioni [modifica]

Dopo le elezioni del 1953, e un breve governo De Gasperi, (Governo De Gasperi VIII), si formò il Governo Pella, appoggiato, attraverso l'astensione, dal Pnm. Nel settembre del 1953, De Gasperi tornò alla segreteria. All'inizio del 1954, caduto Pella, si costituì il Governo Fanfani I, che non ottenne la fiducia, seguito dal Governo Scelba, che ebbe un solido appoggio dalla corrente dei sindacalisti Cisl.

Contemporaneamente, il caso Montesi, discussa vicenda di cronaca nera, viene sfruttato da Fanfani, ministro degli Interni sotto Pella, per bloccare la successione di Piccioni (il cui figlio era coinvolto nella vicenda) a un De Gasperi ormai malato. Al V Congresso del partito Fanfani, con il sostegno di Iniziativa democratica, divenne segretario della Dc, mentre il partito iniziava a frantumarsi in numerose correnti (sparendo invece il vecchio centro degasperiano). Con Fanfani, la Dc sposò il principio dell'intervento pubblico nell'economia, e la necessità di rafforzare l'organizzazione, fin lì troppo dipendente da quella dell'Azione Cattolica e dal rapporto con la Confindustria. Il 19 agosto 1954, il leader storico, Alcide De Gasperi, morì.

Nell'aprile del 1955, Fanfani subì una sconfitta, quando la maggioranza del gruppo parlamentare, riunita nella cosiddetta "Concertazione", ribellandosi alle indicazioni del segretario, impose l'elezione di Giovanni Gronchi a Presidente della Repubblica.

Il governo Scelba cadde poco dopo, venendo sostituito da Segni (anch'egli di "Concertazione", che si spaccò e si sciolse), sotto cui venne creato il Ministero delle Partecipazioni Statali e l'Italia partecipò alla nascita della CEE.In questa fase fu anche attuata l'estensione mutualistica e pensionistica a tutti i lavoratori, in precedenza limitata ai soli lavoratori dipendenti. La Dc conobbe una forte crescita degli iscritti, tanto che il VI Congresso (1956) segnò il momento del massimo trionfo per Fanfani.

Nella primavera 1957 divenne capo del governo Adone Zoli, appoggiato dall'Msi, segno che ormai anche la destra democristiana accettava l'espansione dell'economia pubblica. I risultati elettorali del 1958 furono i migliori dell'intera storia della Dc, a parte l'irripetibile 1948 (42,2%)

III Legislatura (1958-1963) - La spinta a superare il centrismo [modifica]

Fernando Tambroni

Dopo il successo elettorale, Amintore Fanfani poté così formare il nuovo governo, rimanendo segretario della Dc, e occupando anche il Ministero degli Esteri. La Dc mostrò di non gradire una tale concentrazione di poteri, facendolo più volte battere alle Camere, fino a farlo cadere nel gennaio 1959 e a costringerlo ad abbandonare anche la segreteria. Al governo Fanfani fu sostituito da Antonio Segni. Queste vicende portarono alla crisi di Iniziativa democratica e alla scissione del gruppo detto dei "dorotei" (guidato da Rumor e Taviani), che elesse alla segreteria Aldo Moro, con l'appoggio delle correnti di sinistra. La Dc intanto cambiava volto, aumentando i propri iscritti nelle regioni meridionali e diminuendoli in quelle settentrionali, con le correnti trasformate più in blocchi di potere che in posizioni ideologiche. Nell'ottobre 1959, al VII Congresso, i dorotei prevalsero di poco sui fanfaniani ("Nuove cronache"), confermando comunque Moro segretario (questi costituì una propria sottocorrente detta "morotea"). Nel 1960 si aprì una difficile crisi di governo, che portò all'assegnazione dell'incarico a Fernando Tambroni (alleato di Gronchi), appoggiato dai partiti di destra. Gli scontri di piazza che ne seguirono, con morti e feriti, furono sfruttati dall'ala democristiana che desiderava un accordo con il Psi per imporre un nuovo governo di Fanfani, detto "delle convergenze parallele" (in realtà si sarebbero dovute definire simmetriche...), perché sostenuto dall'esterno da Psi e Pdium.

Nel novembre 1961 Moro stravinse l'VIII Congresso della Dc sulla base di una cauta apertura al Psi, vista come necessaria a fronte delle esigenze della nuova Italia industrializzata. Venne così costituito un nuovo governo Fanfani, con Psdi, Pri e l'astensione determinante del Psi. Nel 1962 i dorotei ottengono la Presidenza della Repubblica con Antonio Segni. Il nuovo governo, nel frattempo, nazionalizzò l'industria elettrica e istituì la scuola media unica. Alle elezioni del 1963, comunque, Dc e Psi si presentarono agli elettori come partiti non alleati tra loro, subendo peraltro una sconfitta (la Dc scese al 38,8%, cedendo voti a vantaggio del Pli).

IV Legislatura (1963-1968)- Il centro-sinistra [modifica]

La delusione per i risultati elettorali rallentò la nascita di un governo di centro-sinistra, spingendo la Dc a costituire temporaneamente un governo monocolore presieduto dal moderato Giovanni Leone; solo nel dicembre del 1963 il Psi entrò nel governo con Moro, sostituito alla segreteria da Rumor. La politica economica del governo, però, deluse il Psi e dopo pochi mesi produsse una crisi: questa si protrasse per settimane, durante le quali il Presidente Segni si mosse in maniera autonoma, anche al di fuori dei suoi compiti istituzionali (il discusso Piano Solo), allo scopo di allontanare il Psi dal governo. Alla fine prevalse la maggioranza dei dorotei, favorevole al proseguimento dell'esperienza di governo con i socialisti, purché senza contenuti riformisti, come accadde con il Governo Moro II. In autunno, il IX Congresso, pur confermando Rumor, mostrò la debolezza della maggioranza dorotea, e la relativa forza della minoranza fanfaniana: la spaccatura del partito si fece sentire alle elezioni presidenziali alla fine del 1964, favorendo la vittoria del socialdemocratico Giuseppe Saragat. Nel 1966 il governo entrò nuovamente in crisi, a causa del distacco di Moro dai dorotei, ma l'assenza di alternative portò alla nascita del Governo Moro III. Le principali correnti (dorotei, morotei, fanfaniani) si allearono nuovamente in occasione del X Congresso (1967), lasciando isolata la sinistra (Base e Forze Nuove), ma questa riunificazione si rivelò fragile e temporanea. Il fallimento della politica riformista favorì l'esplodere delle tensioni con il fenomeno del "Sessantotto". Del resto i risultati elettorali del 1968 furono favorevoli alla Dc e non ai socialisti e socialdemocratici unificati (PSU), segno che il centro-sinistra non era ostile agli interessi dei ceti legati alla Dc.

V Legislatura (1968-1972) - Gli anni della contestazione [modifica]

Dopo le elezioni del 1968, venne formato un nuovo Governo Leone, monocolore democristiano, in attesa di definire i rapporti con i socialisti del Psu. Moro, sentendosi accantonato, uscì ufficialmente dalla corrente dorotea con il suo gruppo detto "moroteo". Soltanto nel dicembre 1968 fu possibile ricostituire il centrosinistra con la leadership di Mariano Rumor, che a sua volta lasciò la segreteria della Dc al collega di corrente Flaminio Piccoli. Nel giugno 1969, al XII Congresso, la sinistra democristiana si compattò intorno a Moro, mentre i dorotei mantennero la maggioranza solo grazie all'accordo con i fanfaniani. Poco dopo la scissione in casa socialista tra il Psi e il Psu provocò la caduta del governo, che venne ricostituito ma senza disporre di una solida maggioranza. Le ripetute sconfitte provocarono il crollo della corrente dorotea, che si divise tra una componente guidata da Rumor e Piccoli (Iniziativa popolare) e l'altra (che riprese il nome ufficiale dei dorotei, Impegno democratico), guidata da Colombo e Andreotti. Il mese successivo venne eletto segretario della Dc il giovane fanfaniano Arnaldo Forlani, come soluzione di compromesso tra le correnti nel pieno del cosiddetto "autunno caldo", che culmina con la strage di Piazza Fontana. Il governo, entrato nuovamente in crisi, venne sostituito dal Governo Rumor III, che approvò lo Statuto dei lavoratori e la legge istitutiva dei referendum (con la speranza di abrogare la legge sul divorzio che stava per essere introdotta)[senza fonte], ma che entrò ancora in crisi a luglio. L'incarico di formare il governo fu affidato a Emilio Colombo, sotto il quale fu approvata la legge sul divorzio.

Le elezioni amministrative del 1971 mostrarono uno spostamento di voti a vantaggio dell'Msi, rendendo così la Dc incerta sulla strategia da seguire, come mostrò il fallimento della candidatura Fanfani alle elezioni presidenziali nel dicembre di quell'anno, nelle quali fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone con i voti determinanti di Msi e Pdium. Ne conseguì la crisi del governo Colombo e la nomina di Giulio Andreotti, il quale non disponeva della maggioranza: Leone ne trasse occasione per sciogliere le Camere per le prime elezioni anticipate della storia della Repubblica, alle quali la Dc si presentò come partito affidabile e contrapposto agli "opposti estremismi" (di destra e di sinistra). Il risultato delle elezioni mostrò la compattezza del voto cattolico a favore della Dc, mentre l'unico altro vincitore risultò proprio l'Msi-Dn.

VI Legislatura (1972-1976) - Di fronte all'ascesa del Pci [modifica]

Dato lo spostamento a destra dell'elettorato, la Dc decise di costituire un governo senza più i socialisti, sempre con la guida di Andreotti, che porta avanti una politica fortemente inflazionistica, in una fase in cui gli scontri di piazza si fanno sempre più frequenti, con morti e feriti tra i militanti di destra e di sinistra e tra le forze dell'ordine. Nella primavera del 1973 il governo Andreotti perde quindi la maggioranza, proprio mentre doveva tenersi il XII Congresso della Dc. Al congresso si formarono tre posizioni all'incirca equivalenti: quella dei dorotei "storici" (Rumor e Piccoli), quella di "destra" (Andreotti e Forlani) e la sinistra guidata di fatto da Moro: alla fine verrà eletto un segretario considerato "forte" e autorevole, ovvero Fanfani.

Formatosi un nuovo governo di centrosinistra con Rumor, Fanfani ritenne necessario un confronto diretto con la sinistra allo scopo di mostrare l'esistenza in Italia di un potenzialmente maggioritario schieramento di centro-destra, in una fase resa difficile dall'impennata dei prezzi del petrolio. La caduta del governo, comunque sostituito da un nuovo esecutivo presieduto dal solito Rumor, spinse Fanfani e tutto il gruppo dirigente della Dc a puntare sul referendum abrogativo della legge sul divorzio, nel quale però lo schieramento cattolico fu nettamente sconfitto (maggio 1974). Nell'ottobre 1974, anche il governo Rumor cadde a causa dei contrasti tra Psdi e Psi, e la Dc scelse di costituire un governo Moro, solamente con il Pri: questo puntò tutto sul tema dell'ordine pubblico e all'inizio del 1975 presentò la cosiddetta legge Reale, che ampliava i poteri della polizia (in compenso il Psi ottenne l'estensione del diritto di voto ai diciottenni e fu istituita la cassa integrazione (1975).). La campagna elettorale delle elezioni regionali fu funestata da numerosi scontri di piazza con morti e feriti tra i militanti delle varie fazioni politiche, ma il risultato non arrise alla Dc, bensì vide una grande affermazione del Pci. A questo punto Fanfani fu messo in minoranza dal Consiglio nazionale del partito, che lo sostituì con il moroteo Benigno Zaccagnini, eletto da una eterogenea maggioranza come soluzione temporanea. Ma a dicembre il Psi tolse il suo appoggio al governo, che si dimise; Moro costituì allora il suo quinto governo, senza più nemmeno il Pri. Il XIII Congresso (marzo 1975) fu molto combattuto: per la prima volta il segretario fu eletto direttamente dai delegati, e sia pure per pochi voti il "progressista" Zaccagnini (salutato dal canto di Bella ciao) prevalse sul "conservatore" Forlani. Poco dopo, per contrasti sul diritto all'aborto, la Dc fu messa in minoranza alla Camera, e scelse la strada delle elezioni anticipate; la Dc ottenne l'appoggio di un vasto schieramento moderato, non necessariamente cattolico (compreso Indro Montanelli che invitava a votare Dc "turandosi il naso", ma anche Umberto Agnelli candidato al Senato), permettendo alla Dc di mantenere un discreto vantaggio su un Pci in crescita, in un contesto di forte polarizzazione del voto. Tra gli eletti democristiani si notò un forte ricambio generazionale (ad esempio con la presenza di esponenti di Comunione e Liberazione).

VII Legislatura (1976-1979) -Dal centrosinistra alla solidarietà nazionale [modifica]

Giulio Andreotti

La Dc decise di trattare con il Pci e il Psi per la costituzione di un monocolore Andreotti (detto della "non sfiducia"). nei mesi successivi l'inflazione arrivò a livelli particolarmente elevati (intorno al 20%), mentre la delusione per la tendenza del Pci ai compromessi favoriva il crescere di un forte movimento extraparlamentare (vedi Autonomia Operaia), anche con atti di violenza, e si preparava la crescita di organizzazioni come Brigate Rosse e Prima Linea, un fenomeno espresso nella denominazione di "anni di piombo".

Il Pci pretendeva a questo punto di poter concorrere alla definizione del programma di governo; una parte della Dc riteneva che fosse giunto il momento di elezioni anticipate, mentre Moro riteneva di poter concedere ai comunisti l'ingresso nella maggioranza parlamentare, senza però dare nulla in termini di definizione dell'organigramma ministeriale. La mattina del 16 marzo 1978, mentre si recava in parlamento per il voto di fiducia al nuovo Governo Andreotti IV (governo della "solidarietà nazionale"), Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse, che uccisero i 5 uomini della sua scorta. Seguirono 55 drammatici giorni in cui le Br tennero Moro prigioniero, divulgando una serie di lettere nelle quali il prigioniero sollecitava il suo partito ad accettare una trattativa, ma che furono giudicate come "estorte" e quindi da non considerarsi valide. Il 9 maggio Moro venne assassinato. Un mese dopo, un referendum sull'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti fu bocciato dagli elettori ma con una percentuale di "sì" superiore alle previsioni, segno di una crescita della sfiducia verso il sistema dei partiti. A luglio il Pci, cogliendo questi segnali (era stato battuto anche in svariate elezioni locali), dopo aver obbligato alle dimissioni il Presidente Leone, impose l'elezione del socialista Sandro Pertini, e nel gennaio 1979 uscì dalla maggioranza. venne quindi formato il Governo Andreotti V, creato appositamente per non ottenere la fiducia e andare a elezioni anticipate, nelle quali il Pci perse voti ma a vantaggio di altri partiti di sinistra, mentre la Dc rimase poco sopra il 38%.

Dal pentapartito verso la fine [modifica]

VIII-Legislatura 1979-1983 [modifica]

La nuova legislatura cominciò con un nuovo centro-sinistra (Governo Cossiga I, con Dc, Psdi, Pli e l'appoggio esterno del Psi). Nel 1980 si tenne il XIV Congresso del partito, che sancì la fine dell'esperienza della "solidarietà nazionale".

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Compromesso storico.

Arnaldo Forlani, uno dei principali artefici della nuova linea politica, venne eletto presidente del Consiglio nazionale del partito. Nuovo segretario fu il doroteo Flaminio Piccoli, che batté il candidato della sinistra Zaccagnini, sostenuto anche dagli andreottiani ("area Zac"). Ad aprile il Psi entrò a far parte del governo (Governo Cossiga II), ma in seguito scoppiarono polemiche su una possibile protezione accordata da Cossiga a Marco Donat Cattin, esponente di Prima Linea e figlio del leader di "Forze Nuove"; il 2 agosto un terribile attentato (strage di Bologna) sconvolse l'opinione pubblica e a settembre Cossiga si dimise; Forlani lo sostituì (Governo Forlani). Nel maggio 1981, il referendum sull'aborto fu vinto dal NO ancora più nettamente di quello del 1974 sul divorzio.

Dopo la sconfitta Forlani si dimise da premier, anche perché alcuni esponenti del governo erano stati coinvolti nel caso P2, mentre le Brigate Rosse continuavano a colpire. Per la prima volta dopo 36 anni la Dc accettò di lasciare la guida del governo, appoggiando il Governo Spadolini I, guidato dal segretario del Partito repubblicano.

Espressione del possibile rinnovamento e modernizzazione della Dc apparve allora un esponente dell'"area Zac", Ciriaco De Mita, che appariva come un leader più energico e determinato rispetto agli altri leader di corrente. De Mita vinse il XV Congresso (maggio 1982), venendo eletto segretario con il sostegno di alcuni settori della borghesia imprenditoriale[13]. Il governo cadde nell'estate 1982, per contrasti tra Dc e Psi, ma fu seguito dall'analogo Governo Spadolini II, durato però solo pochi mesi. Ancor meno durò il Governo Fanfani V, dopo il quale si andò a elezioni anticipate, nelle quali la Dc perse circa il 5% dei voti, a vantaggio degli altri partiti della coalizione di governo, e riducendo il proprio vantaggio sul Pci a soli 3 punti percentuali.

IX Legislatura - Dal 1983 al 1987 [modifica]

La Dc lasciò la guida del governo al leader socialista Craxi (Governo Craxi I), il primo Presidente del Consiglio della Repubblica appartenente al Psi, mentre nella Dc si confrontavano la posizione di De Mita, più competitiva con i socialisti, e quella di Andreotti, più propenso alla collaborazione. Nonostante la sconfitta elettorale, De Mita vinse anche il XVI Congresso del partito (1984), ma con uno scarto ridotto rispetto al previsto (ufficialmente, infatti, tutti i capi corrente sostenevano De Mita contro l'altro candidato, Vincenzo Scotti). Le elezioni europee del 1984 videro il sorpasso del Pci sulla Dc, sia pure per lo 0,36%, tuttavia il Psi di Craxi apparve come il più deluso dall'esito elettorale. L'anno dopo, comunque, alle lezioni regionali, la Dc apparve in lieve recupero mentre il Pci perse voti; il successivo referendum sul meccanismo della "scala mobile", fu vinto dallo schieramento governativo, apparendo quindi più una vittoria di Craxi che della Dc.

Nel 1985 De Mita ottenne comunque un successo: la Presidenza della Repubblica per Francesco Cossiga, votato anche dal Pci, mentre il suo alleato-rivale Craxi ricavò grande popolarità dall'atteggiamento di fermezza nel caso del sequestro della nave Achille Lauro.

Nel 1986, la gestione De Mita iniziò ad essere contestata da una parte della borghesia, che in teoria ne doveva essere la beneficiaria (inchieste su Il Giornale di Montanelli). comunque, il segretario viene rieletto dal XVI Congresso, ma con un Consiglio nazionale a lui poco fedele, a parte l'area guidata da Benigno Zaccagnini. Intanto Craxi, più volte battuto in Parlamento dai "franchi tiratori" Dc, si dimise, facendo in modo però di favorire la rinomina da parte di Cossiga (Governo Craxi II). Nel febbraio 1987 il governo entrò nuovamente in crisi. Uscito di scena Craxi, venne costituito il Governo Fanfani VI, un monocolore Dc, al solo scopo di non ottenere la fiducia delle Camere e andare così a elezioni anticipate, anche per allontanare la celebrazione di alcuni referendum. Le elezioni confermarono le difficoltà della Dc (34%), ma al tempo stesso mostrarono la debolezza del Pci e la relativa forza di uno schieramento di sinistra moderata basato sul Psi (salito al 14%).

X Legislatura - Dal 1987 al 1992 [modifica]

Poiché Craxi e De Mita si paralizzavano a vicenda, Cossiga affidò l'incarico di formare il governo a Giovanni Goria, esponente minore dell'area Zaccagnini. Per la prima volta in un governo Dc non comparvero esponenti del Veneto "bianco", proprio mentre stava prendendo piede nel Nord-Est il "leghismo". In autunno, si tennero con successo i vari referendum presentati da uno schieramento alleato al Psi (radicali e verdi).

Mentre aumentava il debito pubblico, per la prima volta Ciriaco De Mita accettava l'incarico di guidare un governo, che si insediò nell'aprile 1988. Il Governo De Mita iniziò a pensare a una nuova legge elettorale (premio di maggioranza alla coalizione vincente), con la consulenza di Roberto Ruffilli, il quale però fu ucciso il 16 aprile da un commando delle Brigate Rosse [14]. La nuova legge elettorale non si fece; comunque la maggioranza operò una modifica ai regolamenti parlamentari per ridurre il peso dei "franchi tiratori".

Nel febbraio 1989 si tenne il XVIII Congresso della Dc, nel quale si formò una maggioranza ostile a De Mita (il "grande centro" e gli andreottiani), che elesse segretario Arnaldo Forlani; alcuni esponenti del partito, peraltro, sostenevano l'irregolarità delle votazioni a livello di sezione. De Mita comunque mantenne una posizione antagonistica verso Craxi e i repubblicani, ma a maggio fu costretto a dimettersi. Nel giro di tre mesi non era più né segretario del partito né capo del governo. Dopo la sua uscita di scena venne formato il Governo Andreotti VI, sotto il quale peggiorarono le finanze pubbliche. Alle elezioni regionali del 1990 ottennero un grande successo la Lega Nord ed altri movimenti con base territoriale. Subito dopo Mario Segni, fino ad allora semplice deputato, si pose alla testa di un movimento che si proponeva di modificare le leggi elettorali per via referendaria. Di fronte a questi risultati il Presidente Cossiga iniziò a criticare l'immobilismo della Dc, con cui entrò in sempre più frequenti polemiche.

Nel 1991 si formò il Governo Andreotti VII. Il 9 giugno venne votato il referendum proposto da Segni (e avversato da Craxi), in seguito al quale Cossiga invitò il Parlamento a effettuare riforme istituzionali, senza che la proposta avesse seguito. Alle elezioni del 1992, la Dc scese al di sotto del 30% dei voti, persi soprattutto a vantaggio della Lega Nord.

XI Legislatura - Dal 1992 al 1994 [modifica]

Dopo la sconfitta elettorale, la Dc si impegnò nell'elezione del Presidente della Repubblica, essendosi Cossiga dimesso anticipatamente. Durante le votazioni, fu ucciso il noto magistrato antimafia Giovanni Falcone. Sostenendo che in tale grave condizione si dovesse votare un candidato "istituzionale", venne eletto il Presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro, magistrato, membro della Camera fin dall'Assemblea costituente. Scoppiato il caso Tangentopoli, la Presidenza del Consiglio fu affidata a Giuliano Amato del Psi, sotto il quale proseguì la crisi economica. Alle elezioni amministrative di autunno la Dc subì un crollo, dopo il quale Arnaldo Forlani rassegnò le dimissioni. Fu eletto nuovo segretario Mino Martinazzoli. Con il Governo Ciampi, la crisi divenne irreversibile, anche per l'introduzione di una nuova legge elettorale.

Il 16 gennaio 1994, Martinazzoli annunciò lo scioglimento del partito e la sua trasformazione in Partito Popolare Italiano, mentre una minoranza cattolico-liberale formò il Centro Cristiano Democratico

Le correnti interne alla DC [modifica]

Le prime tendenze [modifica]

* Degasperiani, poi Politica popolare: era il gruppo di politici, prevalentemente provenienti dall’ex PPI, più vicino ad Alcide De Gasperi. Con l'avanzata dei dossettiani (vedi), divenne corrente effettiva, guidata da Attilio Piccioni. Ne facevano parte Mario Scelba, Umberto Tupini, Maria Cingolani Guidi, Raffaele e Maria Jervolino, Pietro Campilli, Giuseppe Spataro, Salvatore Aldisio, Bernardo Mattarella ed il giovane Giulio Andreotti.

* Vespa o vespisti: area di destra nel periodo degasperiano, formata da ex Ppi moderati, come Stefano Jacini, ed elementi vicini ai ceti agrari meridionali e alla Confindustria. Leader della corrente era Carmine De Martino. Assunsero tale nome dal luogo di fondazione, il Vespa Club di Roma.

* Politica sociale o gronchiani: eredi della sinistra dell’ex Ppi, il leader era Giovanni Gronchi. Ne facevano parte Giuseppe Rapelli, Piero Malvestiti, Domenico Ravaioli, Achille Grandi e Fernando Tambroni. La corrente andò esaurendosi nel corso degli anni '50 e gli esponenti s’indirizzarono verso le altre tendenze interne.

* Cronache sociali o dossettiani e poi Iniziativa democratica: Cronache sociali fu fondata dall’omonima rivista, nell’estate 1946, e durò sino all’estate del 1951 quando si sciolse nella nuova corrente di Iniziativa democratica. Capo della corrente era Giuseppe Dossetti, che in seguito avrebbe lasciato la politica per la vita monastica. Ne erano esponenti molti membri dell’Assemblea costituente, come Amintore Fanfani e Giorgio La Pira, più intellettuali cattolici quali Giuseppe Lazzati e Achille Ardigò. Poiché molti suoi militanti erano docenti universitari, prevalentemente all’Università Cattolica di Milano, era detta anche la corrente dei professorini. Il 18 novembre 1951, dall'omonima rivista, fu fondata Iniziativa Democratica, area di sinistra e prima vera corrente della DC che raccolse i reduci dell’esperienza dossettiana di Cronache sociali, quali La Pira e Ardigò, più giovani esponenti della cosiddetta "seconda generazione", come Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, Luigi Gui, Emilio Colombo. Il leader indiscusso divenne Amintore Fanfani, sotto la cui guida la corrente raggiunse la guida della DC. Al congresso del 1954, la corrente ebbe il sostegno di Alcide De Gasperi. Il 9 marzo 1959 di fatto la corrente si sciolse perché la maggioranza della corrente, riunita presso il convento di Santa Dorotea a Roma, mise in minoranza Fanfani, il quale fu costretto a dimettersi da segretario del partito e fondare un suo gruppo, Nuove Cronache mentre la maggioranza fondò il gruppo dei dorotei, che ha guidato il partito nel corso degli anni '60 e nei primi anni '70 su posizioni moderate.

Lo strutturarsi delle correnti [modifica]

* Dorotei: il gruppo nacque il 9 marzo del 1959 dalle ceneri di Iniziativa Democratica e guidò il partito nel corso degli anni '60 e nei primi anni '70 su posizioni moderate.

* La Base: corrente di sinistra, fondata nel 1952 da ex dossettiani fuorusciti da Iniziativa democratica. Ne facevano parte molti esponenti del mondo economico, quali Ezio Vanoni, Giorgio Bo e Giovanni Marcora. Fu sostenuta da Enrico Mattei, presidente dell’Eni, e poi dal suo successore Eugenio Cefis. Afferivano a questa tendenza anche la sinistra fiorentina di Nicola Pistelli e la sinistra veneziana di Vladimiro Dorigo. Più recentemente, vi appartenevano Luigi Granelli, Giovanni Galloni e Ciriaco De Mita. Disponeva di un periodico, Politica, edito a Firenze.

* Forze sociali, poi Rinnovamento democratico, infine Forze Nuove: corrente della sinistra sindacale, vicina alla CISL. Ne fu capo Giulio Pastore. Nacque nel 1953. Ne facevano parte Renato Cappugi, Bruno Storti, Livio Labor, Carlo Donat Cattin, che succederà a Pastore; più recentemente, Vittorino Colombo, Guido Bodrato, Franco Marini. In occasione del Congresso DC del 1956, alla corrente si associarono le Acli ed essa assunse il nome di Rinnovamento democratico. Infine, prese il nome di Forze Nuove.

* Primavera: corrente della destra democristiana, fondata nel 1954 da Giulio Andreotti. Ne facevano parte Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella, Salvo Lima e Vito Ciancimino.

* Nuove cronache: corrente di sinistra fondata nel 1959 da Amintore Fanfani. Ne facevano parte Ettore Bernabei, presidente della Rai, Giampaolo Cresci, Lorenzo Natali, Arnaldo Forlani, Giovanni Gioia, Franco Maria Malfatti, Ivo Butini, Clelio Darida, Gian Aldo Arnaud, Gianni Prandini.

* Centrismo popolare, poi Forze libere: corrente della destra democristiana, che si poneva in continuità con il centrismo degasperiano, guidata da Mario Scelba e, successivamente, da Oscar Luigi Scalfaro. Ne facevano parte Franco Restivo e Giovanni Elkan.

* Amici di Moro, o morotei: la corrente, piccola ma influente, di Aldo Moro. Si scisse nel 1968 dalla corrente dorotea, attestandosi su posizioni progressiste. Esponenti erano Benigno Zaccagnini, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Tommaso Morlino, Luigi Gui, Leopoldo Elia, Bernardo Mattarella, Sergio Mattarella.

* Ponte, o pontieri: corrente staccatasi dai dorotei nel 1967 e capeggiata da Paolo Emilio Taviani. Ne facevano parte Remo Gaspari e Adolfo Sarti. In occasione del Congresso del 1973, riconfluì nella corrente dorotea.

* Nuova sinistra: piccola corrente staccatasi dalla Base, guidata da Fiorentino Sullo e Vito Scalia.

* Iniziativa popolare: corrente formatasi nel 1969 dalla scissione del gruppo doroteo. La corrente era guidata da Mariano Rumor e Flaminio Piccoli. Ne facevano parte Giovanni Spagnolli, Mario Ferrari-Aggradi, Antonio Gullotti, Antonio Gava. Negli corso degli anni '70, si ricompattò a Impegno democratico.

* Impegno democratico: l’altro troncone del gruppo doroteo, unitosi con la corrente di Giulio Andreotti. Ne facevano parte lo stesso Andreotti, Emilio Colombo, Franco Evangelisti, Salvo Lima. Nel corso degli anni '70, si ricompattò a Iniziativa popolare.

* Area Zac: corrente di sinistra che sorse in occasione del Congresso DC del 1980, raccogliendo ex morotei, la Base e fuoriusciti di Forze Nuove, come Guido Bodrato. Sosteneva la candidatura alla segreteria e la linea politica di Benigno Zaccagnini.

* Preambolo: gruppo di correnti moderate che si presentò al Congresso DC del 1980 a sostegno della candidatura a segretario di Flaminio Piccoli. Ne facevano parte i dorotei dello stesso Piccoli e di Antonio Bisaglia, Primavera di Andreotti e Forze Nuove di Carlo Donat Cattin.

L'ultimo Congresso Nazionale [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce XVIII Congresso Democrazia Cristiana.

Nel 1989 si svolse all'Eur, a Roma, l'ultimo congresso DC che vide la sostituzione alla segreteria di Ciriaco De Mita con Arnaldo Forlani con l'85% dei voti, e la creazione di un nuovo Consiglio Nazionale di 180 membri (160 elettivi più 20 donne cooptate) ripartito in 5 correnti:

* Alleanza Popolare (Grande centro "doroteo": area Forlani-Gava-Scotti) - 67 (37,22%)

* La Base (sinistra) - 63 (35%)

* Primavera (andreottiani) - 31 (17,22%)

* Forze nuove (Donat-Cattin) - 14 (7,78%)

* Nuove cronache (Fanfani) - 5 (2,78%)

Lo scioglimento del partito [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce La fine dell'unità politica dei cattolici italiani.

Alle elezioni politiche del 1992 la DC raccolse il 29,7% (il suo minimo storico) e anche gli altri partiti del Pentapartito furono penalizzati. Nello stesso anno scoppiò lo scandalo di Tangentopoli e, dopo oltre cinquant'anni di attività, dopo la crisi dovuta all'inchiesta giudiziaria denominata Mani pulite, il 18 gennaio 1994 il partito (guidato da Mino Martinazzoli) deliberò il mutamento di nome riprendendo quello del partito fondato da Sturzo nel 1919: Partito Popolare Italiano (PPI).

All'interno del Ppi confluì dunque gran parte della tradizione politico-culturale della Democrazia cristiana. Il partito, mostrava ad esempio una chiara linea "di centro che guarda a sinistra" ed era sostanzialmente spaccato in tre correnti: una sinistra (Amintore Fanfani, Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Beniamino Andreatta), un centro (Mino Martinazzoli, Pierluigi Castagnetti, Sergio Mattarella, Rosa Russo Iervolino, Giulio Andreotti) ed una destra (Rocco Buttiglione, Roberto Formigoni, Sergio D'Antoni, Emilio Colombo).

Circa dieci ore prima che si sciogliesse la Democrazia Cristiana, alcuni esponenti provenienti soprattutto dalla Destra forlaniano-dorotea, favorevoli all'entrata nella coalizione di centro-destra con Forza italia, Alleanza nazionale e Lega Nord, diedero invece vita al Centro Cristiano Democratico (CCD), guidato da Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Altra scissione dalla Democrazia cristiana fu provocata dalla frangia cattolico-sociale raccolta attorno ad Ermanno Gorrieri, che, fondendosi con la pattuglia di socialisti-cristiani di Pierre Carniti, diede vita al Movimento Cristiano Sociali, che contribuiranno a fondare i Democratici di Sinistra nel 1998.

La DC si vide così divisa in tre tronconi: il PPI che mantenne la collocazione centrista, il CCD collocato nel centrodestra e i CS collocati a sinistra.

Mariotto Segni e Leoluca Orlando, deputati DC e fautori di una moralizzazione del sistema politico, diedero invece vita rispettivamente a due movimenti politici:

* Popolari per la Riforma, poi transitati in Alleanza Democratica ed evolutisi nel movimento centrista Patto Segni. Il Patto Segni successivamente ha assunto l'attuale denominazione di Patto dei Liberaldemocratici;

* La Rete, movimento di centro-sinistra.

Nell'estate del 1994 Rocco Buttiglione viene eletto segretario del Partito Popolare Italiano, sconfiggendo al congresso l'avversario scelto dalla sinistra del partito, Nicola Mancino.

Successivamente anche il PPI, in seguito alla necessità di schierarsi imposta dal nuovo sistema elettorale bipolare, finì col dividersi: Rocco Buttiglione, insieme con una buona parte dell'ala destra del Ppi, fondò il movimento dei Cristiani Democratici Uniti (CDU), a cui spettavano il simbolo della DC e il settimanale La Discussione; il resto del partito elesse invece quale leader Gerardo Bianco, che contava anche sul sostegno della maggioranza del consiglio nazionale, conservò invece il nome di Partito Popolare Italiano e il quotidiano Il Popolo. Finì così l'unità politica dei cattolici italiani.

La diaspora democristiana [modifica]

Finita l'esperienza politica della Democrazia Cristiana, del partito, cioè, che ha governato l'Italia per il maggior numero di anni, e terminate anche le esperienze dei partiti (PPI, CCD, CDU) che ne erano i più immediati eredi, l'attuale situazione politica italiana ha visto la costituzione di nuovi partiti politici che si richiamano in qualche modo all'eredità democristiana, ma che sono ormai frazionati tra i due schieramenti imposti dal bipolarismo.

In ordine di consensi genericamente ricevuti, ovvero dal più rappresentativo al meno rappresentativo, esistettero i seguenti partiti politici, ora sciolti e confluiti in altri partiti:

* La Margherita, partito nato nel 2002 come aggregazione del PPI insieme al movimento de I Democratici di Romano Prodi e Rinnovamento Italiano di Lamberto Dini. È schierato con la coalizione di centro-sinistra e si caratterizza propriamente come un partito di centro che guarda a sinistra, collocato all'interno dell'area cattolico-sociale, pur non facendo parte né dell'Internazionale democristiana, né del Partito popolare europeo. A livello europeo i partiti fondatori del partito aderivano ad aggregazioni liberal democratiche (Rinnovamento italiano, i Democratici) e democratico-cristiane (il Partito popolare italiano). In seguito alla sempre maggiore connotazione del Ppe come partito moderato-conservatore di centrodestra, le diverse componenti cattolico-sociali e riformiste sono fuoriuscite dal partito, fondando un nuovo soggetto politico che concilia le istanze del riformismo cattolico, liberal democratico e socialdemocratico-liberale: il Partito Democratico Europeo. In Italia La Margherita ha sostenuto con convinzione la nascita del Partito Democratico, che unisce le diverse esperienze riformiste di centrosinistra. Il suo leader è stato fino allo scioglimento Francesco Rutelli.

* I Cristiano Sociali, partito fondato nel 1994 da Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti, confluito nel 1998 nei Democratici di Sinistra e ora guidato da Giorgio Tonini. Fa ora parte del Partito Democratico come semplice associazione e non più come partito politico.

Sempre in ordine di consensi genericamente ricevuti, ovvero dal più rappresentativo al meno rappresentativo, esistono ancora:

* L'Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro (UDC), nato anch'esso nel 2002 dall'unione dei precedenti CCD e CDU. È schierato al centro, all'opposizione di governo e fuori dai due grandi scheramenti, mantiene il simbolo storico dello Scudo Crociato con la scritta "Libertas" e fa apertamente riferimento alla sua collocazione al Centro. Aderisce al Partito Popolare Europeo. Il suo leader è Pier Ferdinando Casini: infatti, il simbolo del partito - dal 2006 - porta al suo interno il nome "Casini". Il segretario politico è Lorenzo Cesa.

* I Popolari UDEUR, partito nato nel 1999 dopo l'esperienza dell'UDR inizialmente voluta dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il suo leader è Clemente Mastella. Sostiene la sua collocazione centrista e aderisce al Partito Popolare Europeo. Il suo simbolo è un campanile, emblema delle strutture ecclesiastiche cristiane. Ha aderito, fino al 2008, alla coalizione di centro-sinistra. Dopo la sconfitta alle ultime elezioni politiche (il partito non è presente in Parlamento), l'UDEUR si è alleato con il PdL.

Una consistente componente democristiana è presente anche nel Popolo delle libertà, che attualmente è il principale rappresentante italiano del PPE. Esistono, inoltre, altri movimenti minori che si richiamano all'esperienza della DC ma che non hanno visibilità sullo scenario politico parlamentare nazionale.

Sono anche nate, su iniziativa di ex-membri della DC, componenti stabili all'interno di altri partiti, come:

* La Democrazia Cristiana per le Autonomie, nata nel 2005, è un partito che svolge un ruolo minoritario. Il suo leader è Gianfranco Rotondi. Fa esplicitamente richiamo al nome "Democrazia Cristiana" e aderisce alla coalizione di centrodestra. È uno dei partiti fondatori del Popolo della libertà, la coalizione presentatasi alle elezioni del 2008 che ha per leader il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e che presto dovrebbe costituirsi in un partito unico. Non è riconosciuta a livello internazionale dal PPE.

* I cattolici di Alleanza Nazionale come Gustavo Selva, Antonio Mazzocchi, Andrea Ronchi, Giuseppe Gallo e Gaetano Rebecchini (presidente della Consulta Religiosa di AN).

* I cattolici nella Lega Nord, riuniti nella Consulta Religiosa e nei Cattolici Padani, alcuni dei quali hanno militato nella DC (due "padri nobili" in particolare: Gianfranco Miglio e Giuseppe Leoni, presidente dei Cattolici Padani).

Sono inoltre presenti alcuni piccoli movimenti che rivendicano il nome o il simbolo in continuità con la DC storica: tra questi vi è stato dapprima il movimento Rinascita della Democrazia Cristiana successivamente suddivisosi in vari altri piccoli partiti (la Democrazia Cristiana - Scudo Crociato - Libertas, la Democrazia Cristiana - dc, il Partito Democratico Cristiano. Sono dunque numerosi i movimenti politici che portano il nome di Democrazia Cristiana.

Si sono costituiti altri piccoli movimenti che si ispirano all'eredità democristiana: l'Italia di mezzo di Marco Follini, ex segretario dell'UDC, che ha successivamente aderito al Partito Democratico, Rifondazione DC di Publio Fiori, uscito da Alleanza Nazionale e in ultimo una lista civica nazionale denominata Lista Civica Cristiana, fondata da Guglielmo Bonanno Segreatrio Amministrativo della Democrazia Cristiana ,[15] della quale Flaminio Piccoli fu il legale rappresentante fino all'ultimo dei suoi giorni. La Lista Civica Cristiana è balzata alla cronaca su diversi quotidiani nazionali come Libero, Il Giornale, La Stampa, Il Secolo XIX, a causa della somiglianza del suo simbolo, con quello storico della Democrazia Cristiana, per lo stesso motivo è stata oggetto di interrogazioni alla Camera dei Deputati [16] e il Senato della Repubblica,[17]. Le proteste non trovarono nel Ministro degli Interni Maroni, alcun riscontro, proprio per la leggitimazione riconosciuta a Bonanno, non solo dell'incarico di legale rappresentante del partito ma in qualità di fondatore della Lista Civica Cristiana.

Il disperdersi del patrimonio immobiliare [modifica]

La Democrazia Cristiana negli anni di potere, aveva accumulato un ingente patrimonio immobiliare, compresi molti immobili adibiti agli usi delle sezioni.

Alla diaspora delle forze del partito, corrispose una caotica fase di lotte tra le diverse "anime" confluite in partiti diversi.

Il grosso del patrimonio immobiliare fu rilevato da un immobiliarista veronese [18] (lo stesso che acquisterà molti degli immobili della Federconsorzi) e che fu poi travolto da un fallimento. [19]

I passaggi successivi, molto oscuri, videro poi la proprietà trasferita nella ex-Jugoslavia.[20]

Risultati elettorali [modifica]

Democrazia cristiana logo.jpg – Democrazia Cristiana alle Elezioni politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

8.101.004

12.741.299

10.899.640

10.864.282

9.692.584

12.522.279

10.782.262

11.775.970

10.032.458

12.441.553

10.965.790

12.919.270

11.466.701

14.218.298

12.226.768

14.046.290

12.018.077

12.153.081

10.081.819

13.241.188

10.897.036

11.640.265

9.074.096

35,2

48,5

48,1

40,1

39,9

42,4

41,2

38,3

36,5

39,1

38,3

38,7

38,1

38,7

39,3

38,3

38,3

32,9

32,4

34,3

33,6

29,7

27,3

207

305

131

263

113

273

123

260

129

266

135

266

135

263

135

262

138

225

120

234

125

206

107

Democrazia cristiana logo.jpg – Democrazia Cristiana alle Elezioni europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 12.753.708

11.570.973

11.460.702 36,4

33

32,9 29

26

26

Segretari [modifica]

* Alcide De Gasperi (luglio 1944 - settembre 1946)

* Attilio Piccioni (settembre 1946 - gennaio 1949)

* Giuseppe Cappi (gennaio - giugno 1949)

* Paolo Emilio Taviani (giugno 1949 - aprile 1950)

* Guido Gonella (aprile 1950 - settembre 1953)

* Alcide De Gasperi (settembre 1953 - giugno 1954)

* Amintore Fanfani (giugno 1954 - marzo 1959)

* Aldo Moro (marzo 1959 - gennaio 1964)

* Mariano Rumor (gennaio 1964 - gennaio 1969)

* Flaminio Piccoli (gennaio - novembre 1969)

* Arnaldo Forlani (novembre 1969 - giugno 1973)

* Amintore Fanfani (giugno 1973 - luglio 1975)

* Benigno Zaccagnini (luglio 1975 - febbraio 1980)

* Flaminio Piccoli (febbraio 1980 - maggio 1982)

* Ciriaco De Mita (maggio 1982 - febbraio 1989)

* Arnaldo Forlani (febbraio 1989 - ottobre 1992)

* Mino Martinazzoli (ottobre 1992 - gennaio 1994)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Roma, 24-27 aprile 1946

* II Congresso - Napoli, 15-19 novembre 1947

* III Congresso - Venezia, 2-6 giugno 1949

* IV Congresso - Roma, 21-26 novembre 1952

* V Congresso - Napoli, 26-29 giugno 1954

* VI Congresso - Trento, 14-18 ottobre 1956

* VII Congresso - Firenze, 23-28 ottobre 1959

* VIII Congresso - Napoli, 27-31 gennaio 1962

* IX Congresso - Roma, 12-16 settembre 1964

* X Congresso - Milano, 23-26 novembre 1967

* XI Congresso - Roma, 27-30 giugno 1969

* XII Congresso - Roma, 6-10 giugno 1973

* XIII Congresso - Roma, 18-24 marzo 1976

* XIV Congresso - Roma, 15-20 febbraio 1980

* XV Congresso - Roma, 2-6 maggio 1982

* XVI Congresso - Roma, 24-28 febbraio 1984

* XVII Congresso - Roma, 26-30 maggio 1986

* XVIII Congresso - Roma, 18-22 febbraio 1989

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1945 - 537.582

* 1946 - 602.652

* 1947 - 790.771

* 1948 - 1.095.359

* 1949 - 766.023

* 1950 - 882.674

* 1951 - 917.095

* 1952 - 954.723

* 1953 - 1.141.181

* 1954 - 1.252.524

* 1955 - 1.186.785

* 1956 - 1.377.286

* 1957 - 1.295.028

* 1958 - 1.410.179

* 1959 - 1.608.609

* 1960 - 1.473.789

* 1961 - 1.565.185

* 1962 - 1.446.500

* 1963 - 1.621.620

* 1964 - 1.633.003

* 1965 - 1.656.428

* 1966 - 1.592.134

* 1967 - 1.621.866

* 1968 - 1.696.182

* 1969 - 1.745.632

* 1970 - 1.738.996

* 1971 - 1.814.578

* 1972 - 1.828.998

* 1973 - 1.747.292

* 1974 - 1.843.515

* 1975 - 1.732.501

* 1976 - 1.365.187

* 1977 - 1.201.707

* 1978 - 1.355.423

* 1979 - 1.384.148

* 1980 - 1.395.584

* 1981 - 1.385.141

* 1982 - 1.361.066

* 1983 - 1.384.058

* 1984 - 1.382.278

* 1985 - 1.444.565

* 1986 - 1.395.784

* 1987 - 1.812.201

* 1988 - 1.693.346

* 1989 - 1.862.426

* 1990 - 2.109.670

* 1991 - 1.390.918

* 1992 - 1.800.000

* 1993 - 813.753

Cariche istituzionali [modifica]

Presidenti della Repubblica

* Francesco Cossiga

* Giovanni Gronchi

* Giovanni Leone

* Antonio Segni

* Oscar Luigi Scalfaro

 

Presidenti del Senato

* Cesare Merzagora

* Vittorino Colombo

* Francesco Cossiga

* Amintore Fanfani

* Tommaso Morlino

* Giovanni Spagnolli

* Ennio Zelioli-Lanzini

 

Presidenti della Camera

* Brunetto Bucciarelli-Ducci

* Giovanni Gronchi

* Giovanni Leone

* Oscar Luigi Scalfaro

Presidenti del Consiglio dei Ministri

* Giulio Andreotti

* Emilio Colombo

* Francesco Cossiga

* Alcide De Gasperi

* Ciriaco De Mita

* Amintore Fanfani

* Arnaldo Forlani

* Giovanni Goria

* Giovanni Leone

* Aldo Moro

* Giuseppe Pella

* Mariano Rumor

* Mario Scelba

* Antonio Segni

* Fernando Tambroni

* Adone Zoli

Note [modifica]

1. ^ Alle Elezioni europee del 1984 la DC fu superata, anche se di poco, dal Partito Comunista Italiano.

2. ^ Giorgio Galli, I partiti politici italiani, 1991, pagg. 305-320

3. ^ Avvenire del 22 aprile 2005. La frase è citata anche dallo storico Paolo Trionfini.

4. ^ Avvenire del 22 aprile 2005

5. ^ Elena Aga-Rossi Victor Zaslavskyy: Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana, p. 115

6. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, il Mulino, 2007

7. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor: Top. cit., pp. 231-254. L'insurrezione armata e le elezioni del 1948

8. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, op. cit., p. 240. L'insurrezione armata e le elezioni del 1948

9. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Editore: Il Mulino data publ.: 2007 - Capitolo V pag 157-I prigionieri di guerra italiani nell'URSS

10. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, op. cit., cap. IV, pp. 135-156. Il PCI nella politica estera italiana e il problema di Triste

11. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victorop. cit., cap. VI pp. 179-209. L'autarchia comunista e il rifiuto del piano Marshall

12. ^ Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Capitolo : L'insurrezione armata e le elezioni del 1948 - pag 239-240 - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

13. ^ Salvatore Rea, Si fa presto a dire sinistra. Storia di Ciriaco De Mita dalla Magna Grecia a Palazzo Chigi, Leonardo 1990, pp. 85-86

14. ^ L'omicidio di Ruffilli fu interpretato da Up &Down, mensile dell'Ispes, come un segnale ostile al "cambiamento".

15. ^ [1]

16. ^ [2]

17. ^ [3]

18. ^ [4]

19. ^ La Padania

20. ^ Lega nazionale

Bibliografia [modifica]

* Igino Giordani, Alcide De Gasperi il ricostruttore, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1955

* Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Milano, Mondadori, 1956

* Gianni Baget Bozzo, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Firenze, Vallecchi, 1974.

* Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 1977.

* Roberto Ruffilli, La DC e i problemi dello Stato democratico (1943-1960), ne Il Mulino, 6, novembre-dicembre 1976, pp. 835-853.

* Gianni Baget Bozzo, Il partito cristiano e l'apertura a sinistra: la DC di Fanfani e di Moro 1954-1962, Firenze, Vallecchi, 1977.

* Pasquale Hamel, "Nascita di un partito", Palermo, Dario Flaccovio, 1982.

* Giulio Andreotti, De Gasperi visto da vicino, Milano, Rizzoli, 1986.

* Nico Perrone, De Gasperi e l'America, Palermo, Sellerio, 1995, ISBN 8-83891-110-X.

* Agostino Giovagnoli, Il partito italiano: la Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Bari, Laterza, 1996

* Nico Perrone, Il segno della DC, Bari, Dedalo, 2002, ISBN 88-220-6253-1.

* Giovanni Sale, De Gasperi gli USA e il Vaticano - All'inizio della guerra fredda, Milano, Jaca Book, 2005

* Gabriella Fanello Marcucci, Il primo governo De Gasperi - (dicembre 1945-giugno 1946) - Sei mesi decisivi per la democrazia in Italia, Soveria Manelli, Rubbettino, 2005

* Luciano Radi, La Dc da De Gasperi a Fanfani, Soveria Manelli, Rubbettino, 2005

* Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

* Giorgio Galli, Storia della Dc, Kaos edizioni, 2007

Altri progetti [modifica]

* Wikiquote

* Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla Democrazia Cristiana

Voci correlate [modifica]

* Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana

* La fine dell'unità politica dei cattolici italiani

* Elenco dei Governi Italiani

* Cristianesimo

* Chiesa cattolica

* Resistenza Italiana

* Fiamme Verdi

* Brigate Osoppo

* Brigate del popolo

* Comitati Civici

* Uccisione di ecclesiastici nel secondo dopoguerra (1945-1947)

* Giorgio Morelli

* Mario Simonazzi

* Eccidio dei conti Manzoni

* Apparato paramilitare del PCI

* Terrorismo Italiano

* Opposti estremismi

* Lista delle stragi avvenute in Italia

Collegamenti esterni [modifica]

* Tre milizie, tre fedeltà: storia della Democrazia Cristiana - La storia siamo noi - Rai Educational

* La storia delle sedi della Democrazia Cristiana a Roma

* Cronologia della DC sul sito del centro studi Malfatti

* [5]approfondimento DC del 1951

* [6] approfondimento: La DC delle origini

 

 

 

 

Partito Socialista Italiano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Vai a: Navigazione, cerca

bussola Disambiguazione – Se stai cercando altri partiti con lo stesso nome, vedi Partito Socialista Italiano (disambigua).

Partito Socialista Italiano

Psi1980.png

Partito politico italiano del passato

Leader storici Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Giuseppe Saragat, Alessandro Pertini, Pietro Nenni, Riccardo Lombardi, Francesco De Martino, Bettino Craxi

Periodo di attività 14 agosto 1892 - 12 novembre 1994

Sede Milano, poi Roma

Coalizioni Elettorali o di governo:

* CLN (1944-1947)

* Fronte Democratico Popolare (1948)

* Centro-sinistra "organico" (1963-1980)

* Pentapartito (1980 - 1993)

* Alleanza dei Progressisti (1994)

Partito Europeo Partito del Socialismo Europeo

Ideologia Socialismo democratico

Socialdemocrazia

Numero massimo di seggi alla Camera 156 (nel 1919)

Numero massimo di seggi al Senato 49 (nel 1992)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 12 (nel 1989)

Organo ufficiale Avanti!

Il Partito Socialista Italiano (PSI) fu un partito politico, fondato nel 1892, che si chiamò così dal 1895 ed operante, con tale nome fino al 1994.

Durante il regime fascista e, in particolare, dopo la messa al bando di tutti i partiti ad eccezione del PNF, il PSI continuò, nei limiti del possibile, la sua attività nella clandestinità, mentre la direzione del partito tentava d'informarsi sulla vita politica del Paese e d'influire sulla stessa dall'esilio francese.

Indice

[nascondi]

* 1 Le origini del movimento socialista in Italia

* 2 Il Partito dalla nascita all'avvento della Repubblica

o 2.1 1892: fondazione del partito

o 2.2 1907: uscita dei sindacalisti rivoluzionari

o 2.3 1910: crescenti divisioni, la presenza di Mussolini

o 2.4 1912: la scissione del PSRI di Bissolati

o 2.5 1914: la crisi dell'interventismo

o 2.6 La scissione dei comunisti (1921), quella riformista (1922) e la clandestinità

o 2.7 La rinascita (1943); tra la Resistenza e la Repubblica

* 3 Dalla Costituente al centro-sinistra

o 3.1 La scissione socialdemocratica

o 3.2 I primi governi di centro-sinistra: il "centro-sinistra organico"

o 3.3 La breve esperienza del PSI-PSDI Unificati

* 4 Da Craxi alla fine del PSI

o 4.1 La segreteria di Bettino Craxi

* 5 Il simbolo del garofano rosso

* 6 L'allontanamento dal marxismo

o 6.1 1992: la crisi del partito

o 6.2 La diaspora socialista

o 6.3 La rinascita del PSI

* 7 Risultati elettorali

* 8 Segretari

* 9 Congressi

* 10 Iscritti

* 11 Esponenti, iscritti illustri e simpatizzanti

* 12 Giornali e riviste

* 13 Voci correlate

* 14 Note

Le origini del movimento socialista in Italia [modifica]

In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso all'anarchismo. L'episodio anarchico di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese). La strategia insurrezionale fallisce mentre riscuote molto successo il partito Socialdemocratico nelle elezioni del 1877. I primi a sostenere la necessità di incanalare le energie rivoluzionarie in un'organizzazione partitica sono Bignami e Gnocchi-Viani con la rivista " La Plebe" al quale poi si affiancano le "Lettere aperte agli amici di Romagna", dove si denuncia il carattere settario del movimento anarchico e l'astensionismo elettorale. Nel 1881 Andrea Costa organizza il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva, fra l'altro, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per riforme economiche e politiche, la partecipazione alle elezioni amministrative e politiche. Il partito di Costa incontrò grandi difficoltà anche se riesce ad essere eletto alla Camera come primo deputato socialista. Alle elezioni del 1882 si presenta il Partito Operaio Italiano ma senza successo. Frattanto il movimento operaio si organizza in forme più complesse: Federazioni di mestiere, Camere di lavoro, etc. Le Camere di Lavoro si trasformano in organizzazioni autonome e divengono il punto di aggregazione a livello cittadino di tutti i lavoratori.

Il Partito dalla nascita all'avvento della Repubblica [modifica]

1892: fondazione del partito [modifica]

Filippo Turati

Su queste basi nel 1892 nasce a Genova il Partito dei Lavoratori Italiani che fonde in sé l'esperienza del Partito Operaio Italiano nato nel 1882 a Milano, la Lega Socialista Milanese - d'ispirazione riformista, fondata nel 1889 per iniziativa di Turati - e molte leghe e movimenti italiani che si rifanno al socialismo di ispirazione marxista. Tra fondatori della formazione del PSI e' Filippo Turati nato a Canzo in Brianza. Altri promotori furono Claudio Treves . Leonida Bissolati, Ghisleri, Ferri, che erano provenienti dall'esperienza del Positivismo. Turati è erede del radicalismo democratico; nel 1885 si era unito con la rivoluzionaria Anna Kuliscioff; conosce le opere di Marx ed Engels, fu attratto dalla socialdemocrazia tedesca e dalle associazioni operaie lombarde. Turati considera il Socialismo non dal punto di vista insurrezionale, ma come un'ideale da calare nelle specifiche situazioni storiche. È nel 1893, nel Congresso di Reggio Emilia, che il partito si dà un'autonomia e un nome ufficiale come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, inglobando anche il Partito Socialista Rivoluzionario Italiano. Nell'ottobre del 1894 il partito venne sciolto per decreto a causa della repressione crispina. In contrapposizione alla repressione vi fu un'alleanza democratico-socialista alle elezioni del 1895, mentre gli attivisti si riorganizzavano come Partito Socialista Italiano.

1907: uscita dei sindacalisti rivoluzionari [modifica]

La repressione dei moti popolari del 1898 affievolisce il partito che decide di promuovere l'alleanza di tutti partiti dell'estrema sinistra (socialista, repubblicano, radicale). La direzione turatiana vede di buon occhio l'apertura liberale di Giovanni Giolitti nel 1901. Ma in reazione alla politica dei blocchi popolari e al ministerialismo dei riformisti, dal 1902 appare una corrente rivoluzionaria, guidata da Arturo Labriola, che condivide con l'intransigente Enrico Ferri la direzione del partito dal 1904 al 1906. Dopo lo sciopero generale del settembre 1904 - il primo di questa ampiezza in Italia -, questa corrente propugna i metodi del sindacalismo rivoluzionario mentre i suoi rapporti con il resto del partito vanno peggiorando a tal punto che in un suo congresso, avvenuto a Ferrara nel 1907, è decisa l'uscita dal partito e l'incremento dell'azione autonoma sindacale.

1910: crescenti divisioni, la presenza di Mussolini [modifica]

Il congresso tenuto a Milano nel 1910 mette in luce crescenti insoddisfazioni e nuove divisioni: Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi criticano Turati da destra, Giuseppe Emanuele Modigliani e Gaetano Salvemini da sinistra. All'estrema sinistra si schiera invece Benito Mussolini, che, in qualità di rappresentante della federazione di Forlì, partecipa per la prima volta ad un congresso nazionale del partito.

1912: la scissione del PSRI di Bissolati [modifica]

Il congresso straordinario, convocato a Reggio Emilia, inasprisce le divisioni che attraversano il Partito riguardo all'impresa di Libia. Trionfa la corrente massimalista di Benito Mussolini e si sancisce l'espulsione di una delle aree riformiste, capeggiata da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. Quest'ultimo, nel 1911 si era recato al Quirinale per le consultazioni susseguenti la crisi del Governo Luzzatti, causando il malcontento del resto del partito, compreso quello di Turati, esponente di spicco dell'altra corrente riformista. Bissolati e i suoi danno vita al Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI).

1914: la crisi dell'interventismo [modifica]

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il partito sviluppò un forte impegno per la neutralità dell'Italia, ma con forti spaccature al suo interno che troveranno un punto di mediazione nella formula "né aderire né sabotare" di Costantino Lazzari.

A partire dagli anni venti, con l'emergere del Partito Nazionale Fascista, le diverse anime del movimento socialista si mossero separatamente dando vita a tre differenti partiti.

La scissione dei comunisti (1921), quella riformista (1922) e la clandestinità [modifica]

Nel 1921 si tiene a Livorno il XVII congresso del partito. Dopo giorni di dibattito serrato, i massimalisti unitari di Serrati raccolgono 89.028 voti, i comunisti puri 58.783, e i riformisti concentrazionisti 14.695. I comunisti di Bordiga e Gramsci escono dal congresso e fondano il Partito Comunista d'Italia, con lo scopo di aderire ai 14 punti dell'Internazionale. Lenin, infatti, aveva invitato il PSI a conformarsi ai dettami e ad espellere la corrente riformista di Turati, Treves e Prampolini, ricevendo il diniego da parte di Giacinto Menotti Serrati che non intendeva affatto rompere con alcune delle voci più autorevoli (sia pur minoritarie) del partito.

Nell'estate del 1922 Filippo Turati, senza rispettare la disciplina del partito, si reca da Vittorio Emanuele III per le rituali consultazioni per risolvere la crisi di governo. Tuttavia non fu possibile raggiungere un accordo con Giolitti, ed il re diede l'incarico a Facta. Per aver violato il divieto di collaborazione con i partiti borghesi, la corrente riformista viene espulsa, ad ottobre, nei giorni che precedono la Marcia su Roma di Benito Mussolini. Turati e i suoi danno vita al Partito Socialista Unitario, il cui segretario, Giacomo Matteotti, sarà rapito ed ucciso da alcuni fascisti il 10 giugno 1924. Tra il 1925 e il 1926 Mussolini vieta i partiti e costringe all'esilio o al confino i socialisti. È proprio durante l'esilio che, nel 1930, in Francia, avviene la riunificazione tra i riformisti di Turati ed i massimalisti, guidati dal giovane Pietro Nenni.

La rinascita (1943); tra la Resistenza e la Repubblica [modifica]

Sandro Pertini

Il 22 agosto 1943 nasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come i futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, il giurista Giuliano Vassalli, lo scrittore Ignazio Silone e l'avvocato Lelio Basso. A diventare segretario del partito è il romagnolo Pietro Nenni.

Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.

In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come "il partito della Repubblica".

Dalla Costituente al centro-sinistra [modifica]

La scissione socialdemocratica [modifica]

Il 10 gennaio 1947 il PSIUP riprende la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI). Il cambio di nome avviene nel contesto della scissione della corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat (scissione di palazzo Barberini), il quale darà vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), e marcherà una profonda distanza dai comunisti (ormai definitivamente agganciati allo stalinismo sovietico). Il PSI invece, proseguirà sulla strada delle intese con il PCI, e con quest'ultimo deciderà anche di fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, in vista delle elezioni dell'aprile 1948. Questa posizione "unitaria" dei due partiti della sinistra italiana, l'anno successivo farà però perdere la corrente della nuova destra del partito socialista, capeggiata da Giuseppe Romita, che nel dicembre 1949 si unirà a una parte dei socialisti democratici usciti dal PSLI -perché in polemica con il suo eccessivo "centrismo"- dando vita a un nuovo partito che prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU).

Nel maggio 1951 Il PSLI e il PSU si fonderanno nel Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS), che nel gennaio 1952 diventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Dopo la sconfitta elettorale del 1948, la lista del Fronte Democratico Popolare non verrà più riproposta, ma il PSI resta alleato col PCI, all'opposizione, per ancora molti anni, ed insieme conducono la battaglia contro la c.d. legge truffa.

I primi governi di centro-sinistra: il "centro-sinistra organico" [modifica]

Una svolta importante nella storia del PSI è costituita dal Congresso di Venezia del 1957, quando, in seguito anche all'invasione sovietica dell'Ungheria, che porta ad una rottura col PCI, il partito comincia a guardare favorevolmente all'alleanza con i moderati della Democrazia Cristiana: si rafforza il nesso socialismo-democrazia e il PSI abbandona i legami con il blocco sovietico.

Il PSI condurrà comunque una forte battaglia al fianco del PCI contro il Governo Tambroni

Nel 1963 il PSI entra definitivamente al Governo, con l'esecutivo guidato da Aldo Moro. Con questo, però, il Partito viene segnato da una nuova spaccatura: la corrente di sinistra esce dal partito e nel gennaio del 1964 dà vita a un nuovo Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP).

La breve esperienza del PSI-PSDI Unificati [modifica]

Il 30 ottobre 1966 il PSI e il PSDI, dopo alcuni anni di comune presenza all'interno dei governi di centro-sinistra, si riunificano nel PSI-PSDI Unificati.

Ma l'unità dura meno di due anni. La componente socialista del PSI-PSDI Unificati il 28 ottobre 1968 riprenderà la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI), mentre la componente socialdemocratica nel luglio 1969 prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU), che nel febbraio 1971 ridiventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Tutti questi passaggi e queste scissioni danno un'idea del travaglio politico del PSI di quegli anni, periodo nel quale convivono nel Partito due anime: una tendente a una maggiore coesione con il PCI su ideali che si ispirano a Karl Marx e un'altra tendente a perseguire una politica di riforme progressive che non mettano in discussione l'assetto sostanziale del sistema. All'epoca tra le file socialiste la posizione generalmente maggioritaria era quella della sinistra, tendente ad intensificare i legami con i comunisti, mentre i cosiddetti "autonomisti", sostenitori delle riforme progressive (e quindi più vicini ad un'idea di tipo socialdemocratico), si trovavano in minoranza.

Da Craxi alla fine del PSI [modifica]

La segreteria di Bettino Craxi [modifica]

Bettino Craxi

Nel marzo 1976 si tenne il XL congresso del PSI. Le correnti erano cinque:

* area Francesco De Martino (42,7%)

* area Giacomo Mancini (19,8%)

* area Riccardo Lombardi (17,8%)

* area Pietro Nenni (14%)

* area Gino Bertoldi (5,7%)

La maggioranza venne costituita da un'alleanza fra De Martino e Mancini e prevedeva il primo segretario.

Sotto la guida di Francesco De Martino, il PSI ritira l'appoggio ai governi della DC, con l'obiettivo di supportare la crescita elettorale del PCI al fine di arrivare ad un esecutivo guidato dalle sinistre. De Martino scrisse che il PSI aveva una funzione politica a termine: permettere la completa maturazione del PCI fino alla sua partecipazione diretta al governo. Una volta raggiunta tale maturazione, di fatto, il PSI avrebbe esaurito le proprie funzioni. Alle elezioni politiche del 1976 il partito socialista ottiene gli stessi risultati elettorali del 1972, il punto più basso di sempre mai raggiunto dal PSI, con un'imprevista flessione negativa rispetto al precedente turno di elezioni amministrative. Lo squilibrio elettorale col PCI sfiora il 25%.Alle elezioni politiche del 1976 dunque il Partito Socialista dopo una campagna per l’alternativa di sinistra alla DC ottenne il risultato elettorale più basso di sempre mai raggiunto dal PSI, con una flessione decisamente negativa. In ogni caso, nel 1976 ,dopo le elezioni politiche, proprio dal PSI la sopraddetta alternativa era stata resa possibile : vi fu il non dissenso di PSDI,PRI,DP ma non l’assenso del PCI.

In questo contesto il PSI ritira nel comitato centrale del luglio 1976 la fiducia a De Martino, eleggendo segretario nazionale il quarantenne Bettino Craxi, in quel momento vicesegretario e membro di punta della corrente autonomista di Pietro Nenni. Nuovo vicesegretario sarà il dirigente siciliano Salvatore Lauricella.

Nel 1978 si tiene il XLI congresso che vede riconfermato Craxi alla segreteria col 65% di voti (cifra mai raggiunta da un segretario socialista) grazie a un'alleanza con Claudio Signorile e alla "benedizione" dell'ex segretario Giacomo Mancini. L'opposizione è guidata da Enrico Manca. Il partito si rinnova nell'immagine e nell'ideologia: nuovo simbolo del partito diventa (accanto alla tradizionale falce e martello) il garofano rosso in omaggio alla portoghese Rivoluzione dei garofani del 1974, mentre, con un lungo articolo su L'espresso, titolato "Il Vangelo Socialista" (agosto 1978), si sancisce la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli.

 

Il simbolo del garofano rosso [modifica]

 

Il logo del partito ha subito molti mutamenti nel corso della sua storia.

Un primo mutamento avvenne alla fine degli anni '40 e una, successiva, nel 1971, senza però pregiudicare il simbolo della falce e martello.

In seguito, il garofano rosso diviene uno dei simboli del patrimonio ideale socialista.

* In occasione del 1° maggio 1973 Ettore Vitale realizza per la festa dei lavoratori l'immagine di un pugno chiuso che stringe un garofano rosso in orizzontale: la stessa foto verrà utlizzata come logo del XL Congresso socialista (febbraio 1976). Nel frattempo, c'era stata la Rivoluzione dei garofani in Portogallo (1974) e i socialisti francesi avevano adottato un nuovo simbolo che vede un pugno stringere una rosa rossa (1975). Fu così che, nel 1978 al XLI Congresso socialista viene presentato il nuovo simbolo del Psi dove campeggia enorme un garofano rosso a danno di falce, martello e libro, rimpiccioliti in basso. Il simbolo divenne ufficiale, con alcune modifiche.

* Il simbolo muterà nuovamente nel 1985, quando il sancito allontanamento del marxismo comportò l'abbandono della falce e martello e del libro.

Il garofano rosso sarà definitivamente accantonato nel 1993 a favore di una rosa rossa.

 

L'allontanamento dal marxismo [modifica]

L'abbandono del marxismo era stato già effettuato dalla SPD tedesca, durante il drammatico congresso di Bad Godesberg del 1959. La stessa trasformazione avviene in seno agli altri partiti socialisti europei. Nello stesso anno, Lauricella è promosso presidente del PSI.

Nel 1980 si inaugura la stagione del "Pentapartito", costituito dal PSI insieme a DC, PSDI, PLI e PRI, formalizzato con guida socialista nel 1983 (Governo Craxi I e II) e con guida democristiana nel 1988.

Nel 1985 il PSI di Bettino Craxi rimuove la falce e il martello dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI.

L'elettorato premia questa scelta: la percentuale di consensi infatti sale dal 9,8% ottenuto nel 1979 al 14,3% nel 1987. Il PSI però è ancora ben lontano dal rappresentare una guida alternativa al PCI, il quale ottiene il 26,6% dei voti nel 1987.

Con la caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989, reputando imminente una conseguente crisi del Partito Comunista Italiano, Craxi inaugura l'idea della "Unita Socialista" da costruire insieme con il fidato Psdi e nella quale coinvolgere anche ciò che nascerà dalle ceneri del PCI. Craxi dimostrerà così una certa lungimiranza: come previsto infatti il PCI viene sciolto e gli ex comunisti confluiranno nel più moderato e riformista PDS. Anche i primi riscontri elettorali da parte del PSI paiono incoraggianti, poiché alle elezioni regionali del 1990 i socialisti si portano al 18% come media nazionale. In questo periodo l'immagine del partito viene quasi a coincidere con quella del suo leader, al punto da parlare di craxismo.

1992: la crisi del partito [modifica]

Nel partito scoppia la crisi nel 1992 in seguito allo scandalo di Tangentopoli, sollevato dalla magistratura con l'inchiesta "Mani Pulite", che colpisce prevalentemente Bettino Craxi ma mette in crisi tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il partito cambia rapidamente molti segretari fino al definitivo sfaldamento in tante parti.

Alle elezioni dell'aprile 1992, il PSI raccoglie il 13,5% dei consensi (perdendo l'1% rispetto alle elezioni politiche precedenti, ma il 4,5% rispetto alle elezioni regionali del 1990) ed elegge 92 deputati e 49 senatori. Il Capo dello Stato Scalfaro chiede a Craxi una terna di candidati all'incarico di Presidente del Consiglio e ne riceve l'indicazione "Amato, De Michelis, Martelli, in ordine rigorosamente alfabetico[1]". La presidenza del Consiglio sarà così affidata al socialista Giuliano Amato ma il suo governo durerà meno di un anno, indebolito dalle critiche al finanziamento pubblico dei partiti, e soprattutto dalla sconfitta dei partiti di governo ai referendum del 18 e 19 aprile 1993.

Nel maggio 1992 arrivano i primi avvisi di garanzia a molti parlamentari tra cui spiccano i nomi dei due ex-sindaci di Milano, Paolo Pillitteri e Carlo Tognoli. A novembre del 1992 l'on. Sergio Moroni e l'amministratore del PSI Vincenzo Balzamo ricevono avvisi di garanzia per ricettazione, corruzione e violazione della legge sui finanziamenti ai partiti. Quello stesso mese Claudio Martelli prende definitivamente le distanze da Craxi fondando il gruppo interno di Rinnovamento Socialista.

Il 26 novembre 1992 l'Assemblea Nazionale del PSI si spacca per la prima volta dopo 11 anni di sostanziale unanimismo craxiano. Vengono presentati tre documenti da parte di Giuseppe La Ganga (pro Craxi), Mauro Del Bue (pro Martelli) e Valdo Spini. Al primo vanno 309 voti (63%), al secondo 160 (33%) e a Spini 20 (4%). Craxi resta ancora saldamente alla guida del partito, ma per la prima volta con una maggioranza più ristretta per via della defezione del gruppo di Martelli.

Bettino Craxi riceve il primo suo avviso di garanzia nel dicembre del 1992, alla vigilia delle elezioni amministrative dalle quali il PSI uscirà decimato: molti voti passano alla Lega Nord e al Movimento Sociale Italiano, unici partiti non pesantemente coinvolti in Tangentopoli.

Il 26 gennaio 1993 i "quarantenni" del partito organizzati da poco come Alleanza Riformista promuovono la manifestazione nazionale Uscire dalla crisi. Costruire il futuro. Ad aprire la manifestazione è il Presidente della Regione Emilia-Romagna Enrico Boselli.

Il 31 gennaio sarà il gruppo che a novembre aveva votato la mozione Spini a promuovere l'assemblea aperta Il rinnovamento del PSI.

Craxi si dimette da segretario del PSI l'11 febbraio 1993, dopo rivelazioni sul "conto protezione" che coinvolgevano - insieme a Craxi - il suo ex delfino Claudio Martelli nell'accusa di bancarotta fraudolenta.

Lo stesso Martelli in quel momento era in lizza per succedere come segretario a Craxi, ma la notizia dell'avviso di garanzia lo spinge a dimettersi dal governo e dal PSI.

Resta dunque Giorgio Benvenuto che verrà eletto segretario all'Assemblea Nazionale del 12 febbraio insieme a Gino Giugni come presidente, ma dopo appena cento giorni è costretto alle dimissioni per il continuo ostruzionismo degli ultimi craxiani al progetto di rinnovamento del partito che portava avanti Benvenuto. Anche Giugni si dimette, ma sarà riconfermato nel suo ruolo.

Durante la sua segreteria, Benvenuto aveva ottenuto il 4 maggio dall'esecutivo del PSI che gli inquisiti fossero sospesi da ogni attività di partito.

Il 28 maggio l'Assemblea nazionale elegge Ottaviano Del Turco nuovo segretario nazionale. Il gruppo di Spini presenta un documento alternativo.

Il giorno dopo nasce il gruppo di Rinascita Socialista guidato da Benvenuto e Enzo Mattina, che via via si defilerà dal PSI.

Alle elezioni amministrative del 6 giugno 1993 il PSI ne uscirà decimato. A Milano, vecchia roccaforte del craxismo il PSI che candida il sindaco uscente Borghini riceve un catastrofico 2,2%. Nelle altre grandi città la situazione non è migliore. A Torino, dove il PSI è in alleanza con il PSDI raccoglie l'1,8%. A Catania, dove la DC faticosamente tiene, il PSI non si presenta nemmeno. Queste elezioni, per quanto limitate a un campione non rappresentativo di tutto l'elettorato italiano, indicano però l'imminente collasso del Partito Socialista. Grazie al voto del sud comunque il PSI è al 5% su base nazionale. Ma al nord, il PSI è svanito schiacciato da una Lega dirompente e un PDS in crescita.

Ottaviano Del Turco sconfessa la posizione difensiva di Craxi rifiutando di raccogliere la sua indicazione di alcuni conti bancari esteri[2]; per salvare il partito promette di non candidare tutti gli esponenti accusati di corruzione.

Il 16 dicembre si tiene l'ultima Assemblea Nazionale, dove Craxi prenderà la parola e dove i craxiani tentano di riprendere il controllo del partito. All'ordine del giorno c'è la proposta di cambiamento del nome e del simbolo (da PSI a PS e dal garofano alla rosa). L'intervento di Craxi è in difesa di tutti i socialisti nella sua stessa condizione di indagato o rinviato a giudizio e contro il gruppo dirigente che vuole portare avanti il rinnovamento e l'ancoramento definitivo a sinistra del partito. Il PSI si schiera con Del Turco con 156 voti contro i 116 pro Craxi.

Ormai il PSI è allo sbando. Nell'agosto 93 il partito, per cause di morosità, deve lasciare la sede storica di Via del Corso, simbolo del potere craxiano. Ormai il palazzone viene definito Palazzo delle Mazzette. Il Garofano, già nel mirino delle inchieste giudiziarie, deve anche affrontare un deficit pari a 70 miliardi e una galassia di debiti circa pari a 240 miliardi. La crisi finanziaria spinge il PSI a liquidare le riviste storiche di MondOperaio e Critica Sociale. Anche il quotidiano l'Avanti! chiude i battenti. Infatti la direzione nazionale del partito si trasferisce nei locali di Via Tomasseli a Roma, ex-sede dell'Avanti.

Molti craxiani però non condividono le scelte di Del Turco. Con la sostituzione del Garofano con la rosa nel nuovo simbolo del PSI molti dichiarano di lasciare il partito. Ugo Intini e altri craxiani (Boniver, Piro) il 28 gennaio 1994 danno vita alla Federazione dei Socialisti: essa, alle successive elezioni politiche 1994, si presenterà congiuntamente con il Psdi, dando luogo alla lista Socialdemocrazia per le Libertà. La federazione, il 18 dicembre, diventerà poi Movimento Liberal Socialista, dopo una prima "convention" per la costituzione del movimento (15 maggio 1994) e il lancio del quindicinale Non mollare (16 giugno 1994). Ciò che resta dei gruppo parlamentari viene diviso tra quelli pro-Del Turco e pro-Craxi. Il PSI, che per molti anni poteva vantarsi di una centralità nello scenario politico e un'unità stetta attorno al suo capo storico, viene visto come un partito ormai alla fine della sua storia sia politica che culturale.

In occasione delle Elezioni politiche del 1994 ciò che resta del PSI si allea con il PDS nell'Alleanza dei Progressisti, che però perde le elezioni. Si spera di passare il 4% di sbarramento. Il PSI di Del Turco raccoglie il 2,5% dei consensi (pari a circa 800.000 voti). I socialisti riescono così a eleggere (nei collegi uninominali) 14 deputati contro i 92 eletti nel 1992. Del Turco rassegna le dimissioni e viene sostituito da Valdo Spini come coordinatore nazionale. Alle Elezioni europee del 1994, in lista comune con Alleanza Democratica, raccoglie l'1,8%.

La diaspora socialista [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partiti e movimenti politici italiani di ispirazione socialista (ex-PSI).

Schiacciato dall'offensiva giudiziaria e da una feroce campagna giornalistica, e dopo una temporanea alleanza con AD, il PSI si scioglie definitivamente con un congresso il 13 novembre 1994 presso la Fiera di Roma. Da quel giorno ha inizio ufficialmente la diaspora socialista in Italia, già iniziata nel 1993.

Lo stesso 13 novembre 1994, subito dopo lo scioglimento, nascono diverse formazioni socialiste distinte:

* Socialisti Italiani;

* Partito Socialista Riformista.

Altre formazioni attorno alle quali si coagulano le istanze socialiste sono inoltre:

* Federazione Laburista;

* Alleanza Democratica.

Oltre che nelle formazioni politiche sopra elencate, importanti esponenti del disciolto Partito socialista italiano sono anche confluiti attraverso varie esperienze in:

* Forza italia/Il Popolo della Libertà

* Democratici di Sinistra-Democrazia è Libertà/Partito Democratico

Collaterali a questi partiti vi sono infatti spesso vere e proprie associazioni politico-culturali d'ispirazione socialista: con Forza italia Noi Riformatori Azzurri, Fondazione Free e Giovane Italia, con il Partito Democratico l'associazione politico-culturale Socialisti Democratici per il Partito Democratico e l'ex corrente diessina dei Socialisti Liberali.

Nella XV legislatura la pattuglia di ex-socialisti del PSI eletti nei due rami del Parlamento e al Parlamento Europeo fu molto ridotta, solo 63 su 1030 provenivano dal PSI: 33 sono di Forza Italia, 13 PS, 12 PD, 2 del MpA, 1 del Nuovo PSI, 1 dell'UDC e 1 non aderisce a nessun partito (Giovanni Ricevuto)[3].

In definitiva, caratteristica italiana è quella di vedere il proprio panorama politico seminato da diversi gruppi d'ispirazione socialista, a differenza di quanto si riscontra generalmente in altri Paesi, dove esiste di norma un unico partito di ispirazione socialista e/o socialdemocratica. Tuttavia idee e contributi di matrice socialista hanno contaminato larga parte della sinistra italiana, con la possibilità di influire nei successivi processi di aggregazione che si sono realizzati e che si profileranno nello scenario politico.

La rinascita del PSI [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Italiano (attuale).

Nel luglio 2007, però Enrico Boselli, segretario dei Socialisti Democratici Italiani (gruppo Rosa nel Pugno), ha annunciato di voler ricostituire l'originale PSI, dando vita ad una Costituente, aperta alle forze laiche, di sinistra moderata e democratica, che non si riconosce, però, nel Partito Democratico. Si è così costituito un nuovo soggetto politico che ha preso il nome di "Partito Socialista". Alle elezioni politiche dell'aprile 2008 il PS ha ottenuto lo 0,9% dei consensi. Il risultato elettorale, insufficiente per eleggere rappresentanti socialisti in parlamento, ha portato alle dimissioni di Enrico Boselli in forte polemica con Walter Veltroni [4]. Il congresso di fine giugno 2008 vedrà affrontarsi due candidati per la carica di segretario: Riccardo Nencini, attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana e forte esponente della linea continuatrice alla visione di Enrico Boselli che punta all'alleanza con il Partito Democratico, Pia Locatelli, eurodeputata e sostenitrice della tesi lanciata all'assemblea di Chianciano Terme, per un soggetto politico liberale, radicale, socialista e laico e Angelo Sollazzo che auspica un'apertura con i partiti della sinistra radicale. Il 7 ottobre 2009 il PS riprende lo storico nome di Partito Socialista Italiano.

Risultati elettorali [modifica]

Psi1980.png – Partito Socialista Italiano alle Elezioni Politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1895

 

1897

 

1900

 

1904

 

1909

 

1913

 

1919

 

1921

 

1924

 

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

 

1994

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

?

 

?

 

97.368

 

108.510

 

170.000

 

902.809

 

1.834.792

 

1.569.559

 

341.528

 

4.758.129

8.137.047°

6.969.122°

3.441.305

2.893.148

4.208.111

3.682.806

4.257.300

3.849.878

4.605.832^

4.355.506^

3.210.427

3.225.804

3.542.998

3.209.987

3.596.802

3.255.104

4.223.362

3.541.101

5.505.690

4.497.672"

5.343.930

4.513.354

849.429

nei Progressisti

2,95

 

2,95

 

6,5

 

5,7

 

8,1

 

17,7

 

32,3

 

24,7

 

4,9

 

20,7

31,0 nel FDP°

30,8 nel FDP°

12,6

11,9

14,2

14,0

13,8

14,0

14,4

15,2

9,6

10,7

9,6

10,3

9,8

10,3

11,4

11,3

14,2

13,9"

13,6

13,5

2,1

-

15

 

15

 

33

 

29

 

41

 

52

 

156

 

123

 

22

 

115

57

41*

75

26

84

35

87

44

91

46

61

33

57

29

62

32

73

38

94

45

92

49

14

6

° in comune col PCI nel Fronte Democratico Popolare

^ ingloba il PSDI

" con alcune candidature congiunte con PSDI e PR

* con i senatori aventiniani di diritto

Psi1980.png – Partito Socialista Italiano alle Elezioni Europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989

1994 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 3.858.295

3.932.812

5.154.515

600.106 11,3

11,2

14,8

1,8 9

9

12

2

Segretari [modifica]

Parte delle serie politiche sul

Socialismo

Red flag waving transparent.png

Attuali

Comunismo

Socialismo democratico

Socialismo libertario

Socialismo rivoluzionario

Socialdemocrazia

Influenze

Anarchia

Marxismo

Internazionalismo

Sindacato

Utilitarismo

Socialismo utopico

Idee

Lotta di classe

Democrazia

Egualitarismo

Rivoluzione proletaria

Giustizia sociale

Varie

Partito Socialista

Storia del socialismo

Critiche al socialismo

Organizzazioni

Associazione internazionale dei lavoratori

Seconda Internazionale

Internazionale Socialista

Portale del Socialismo

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* Pompeo Ciotti (1909-?)

* Costantino Lazzari (1912-1918, 1919)

* Egidio Gennari (1918-1919)

* Nicola Bombacci (1919-1921)

* Domenico Fioritto (1921-1923)

* Olindo Vernocchi (1924-1930)

* Ugo Coccia (1930-1931)

* Pietro Nenni (agosto 1931 - aprile 1945)

* Sandro Pertini (aprile 1945 - aprile 1946)

* Ivan Matteo Lombardo (aprile 1946 - gennaio 1947)

* Lelio Basso (gennaio 1947 - giugno 1948)

* Alberto Jacometti (giugno 1948 - maggio 1949)

* Pietro Nenni (maggio 1949 - novembre 1963)

* Francesco De Martino (novembre 1963 - ottobre 1966)

* Francesco De Martino e Mario Tanassi, co-segretari (ottobre 1966 - ottobre 1968)

* Mauro Ferri (ottobre 1968 - luglio 1969)

* Francesco De Martino (luglio 1969 - aprile 1970)

* Giacomo Mancini (aprile 1970 - novembre 1972)

* Francesco De Martino (novembre 1972 - luglio 1976)

* Bettino Craxi (luglio 1976 - febbraio 1993)

* Giorgio Benvenuto (febbraio - maggio 1993)

* Ottaviano Del Turco (maggio 1993 - novembre 1994)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Genova, 14-15 agosto 1892

Fondazione di un nuovo partito che unisce diverse associazioni a due partiti nati pochi anni prima. Il nuovo partito viene nominato Partito dei Lavoratori Italiani e assume le idee socialiste come linee guida.

* II Congresso - Reggio Emilia, 8-10 settembre 1893

Il partito muta il suo nome in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

* III Congresso - Parma, 13 gennaio 1895

Il congresso venne tenuto in clandestinità a causa dello scioglimento per decreto voluto da Crispi. Il partito assume la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI).

* IV Congresso - Firenze, 11-13 luglio 1896

Nasce il quotidiano socialista L'Avanti!.

* V Congresso - Bologna, 18-20 settembre 1897

* VI Congresso - Roma, 8-11 settembre 1900

Formazione di una corrente del socialismo riformista all'interno del partito.

* VII Congresso - Imola, 6-9 settembre 1902

Il Tempo di Milano diventa quotidiano della corrente socialista riformista.

* VIII Congresso - Bologna, 8-11 aprile 1904

Prevalgono le istanze intransigenti e rivoluzionarie del partito.

* IX Congresso - Roma, 7-10 ottobre 1906

Prevalgono le istanze integraliste del partito.

* X Congresso - Firenze, 19-22 settembre 1908

Prevalgono le istanze integraliste e riformiste del partito. È proclamata l'incompatibilità dei sindacalisti rivoluzionari con il partito.

* XI Congresso - Milano, 21-25 ottobre 1910

Prevalgono le istanze riformiste del partito.

* XII Congresso (straordinario) - Modena, 15-18 ottobre 1911

Prevalgono le istanze riformiste del partito.

* XIII Congresso - Reggio Emilia, 7-10 luglio 1912

Prevalgono le istanze rivoluzionarie del partito. Espulsione di alcuni componenti della frazione riformista che andranno a fondare il Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI).

* XIV Congresso - Ancona, 26-29 aprile 1914

Prevalgono le istanze rivoluzionarie del partito. Dichiarazione di opposizione alla prima guerra mondiale.

* XV Congresso - Roma, 1-5 settembre 1918

Prevalgono le istanze massimaliste del partito, legate al marxismo.

* XVI Congresso - Bologna, 5-8 ottobre 1919

Prevalgono le istanze massimaliste del partito. Formazione di un nuovo programma per il partito, sull'onda della rivoluzione d'ottobre in Russia e sul successo elettorale in Italia. Lotta e conquista delle 8 ore lavorative.

* XVII Congresso - Livorno, 15-21 gennaio 1921

Il congresso si apre con forti discussioni sulla linea strategica e programmatica. La frazione rivoluzionaria si scinde e forma il Partito Comunista d'Italia (PCd'I).

* XVIII Congresso - Milano, 10-15 ottobre 1921

* XIX Congresso - Roma, 1-4 ottobre 1922

Il congresso si apre con forti discussioni sulla linea strategica e programmatica. Vi è l'espulsione dell'ala riformista del movimento che fonderà il Partito Socialista Unitario (PSU).

* XX Congresso - Milano, 15-17 aprile 1923

* XXI Congresso - Parigi, 19-20 luglio 1930, in esilio

* XXII Congresso - Marsiglia, 17-18 aprile 1933, in esilio

* XXIII Congresso - Parigi, 26-28 giugno 1937, in esilio

* XXIV Congresso - Firenze, 11-17 aprile 1946

* XXV Congresso - Roma, 9-13 gennaio 1947

* XXVI Congresso - Roma, 19-22 gennaio 1948

* XXVII Congresso - Genova, 27 giugno - 1° luglio 1948

* XXVIII Congresso - Firenze, 11-16 maggio 1949

* XXIX Congresso - Bologna, 17-20 gennaio 1951

* XXX Congresso - Milano, 8-11 gennaio 1953

* XXXI Congresso - Torino, 31 marzo - 3 aprile 1955

* XXXII Congresso - Venezia, 6-10 febbraio 1957

* XXXIII Congresso - Napoli, 15-18 gennaio 1959

* XXXIV Congresso - Milano, 16-18 marzo 1961

* XXXV Congresso - Roma, 25-29 ottobre 1963

* XXXVI Congresso - Roma, 10-14 novembre 1965

* XXXVII Congresso - Roma, 27-29 ottobre 1966

* XXXVIII Congresso - Roma, 23-28 ottobre 1968

* XXXIX Congresso - Genova, 9-14 novembre 1972

* XL Congresso - Roma, 3-7 marzo 1976

* XLI Congresso - Torino, 30 marzo - 2 aprile 1978

* XLII Congresso - Palermo, 22-26 aprile 1981

* XLIII Congresso - Verona, 11-15 maggio 1984

* XLIV Congresso - Rimini, 31 marzo - 5 aprile 1987

* XLV Congresso - Milano, 13-16 maggio 1989

* XLVI Congresso (straordinario) - Bari, 27-30 giugno 1991

* XLVII Congresso - Roma, 11-12 novembre 1994

Scioglimento del Partito.

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1945 - 700.000

* 1946 - 860.300

* 1947 - 822.000

* 1948 - 531.031

* 1949 - 430.258

* 1950 - 700.000

* 1951 - 720.000

* 1952 - 750.000

* 1953 - 780.000

* 1954 - 754.000

* 1955 - 770.000

* 1956 - 710.000

* 1957 - 477.000

* 1958 - 486.652

* 1959 - 484.652

* 1960 - 489.837

* 1961 - 465.259

* 1962 - 491.216

* 1963 - 491.676

* 1964 - 446.250

* 1965 - 437.458

* 1966 - 700.964 (Con il PSDI)

* 1967 - 633.573 (Con il PSDI)

* 1968 - —

* 1969 - —

* 1970 - 506.533

* 1971 - 592.586

* 1972 - 560.187

* 1973 - 465.183

* 1974 - 511.741

* 1975 - 539.339

* 1976 - 509.388

* 1977 - 482.916

* 1978 - 479.769

* 1979 - 472.544

* 1980 - 514.918

* 1981 - 527.460

* 1982 - 555.956

* 1983 - 566.612

* 1984 - 571.821

* 1985 - 583.282

* 1986 - 593.231

* 1987 - 620.557

* 1988 - 630.692

* 1989 - 635.504

* 1990 - 660.195

* 1991 - 674.057

* 1992 - 51.224

* 1993 - -

* 1994 - 43.052

Esponenti, iscritti illustri e simpatizzanti [modifica]

* Elenco degli esponenti del Partito Socialista Italiano

Giornali e riviste [modifica]

* Avanti!

* Avanti Europa

* Azione Socialista

* Critica Sociale

* Mondoperaio

Voci correlate [modifica]

* Politica

* Socialismo

* Catto-Socialisti (con radici e rifondazione di esperienza politiche ) definibili nell'alveo del Partito Cristiano Sociale e del Socialismo non marxista

* Sistema politico della Repubblica Italiana

* Storia del sistema politico italiano

* Corte di nani e ballerine, espressione coniata da Rino Formica con riferimento a molti membri dell'Assemble Nazionale

Note [modifica]

1. ^ Dall'archivio storico del Corriere della Sera. Sul fatto che Giuliano Amato non esprimesse una corrente radicata sul territorio, vedasi Rino Formica nell'intervista a Claudio Sabelli Fioretti per "La Stampa" del 10 dicembre 2008, secondo cui, a differenza della lunga esperienza ministeriale, Amato nella vita del partito "contava meno del due di briscola". Nella stessa intervista, alla domanda "Non sapeva del sistema delle tangenti…?" Formica risponde :"Come uno che fa parte di una famiglia dove entra uno stipendio di mille euro al mese ma si vive al ritmo di 2 mila euro al giorno (...) Amato non era un intellettuale organico. Era ingaggiato. Un professionista. Praticamente un tassista". Uno degli atout di questo professionismo svincolato da un mandato politico era rappresentato dal vivo gradimento degli Stati Uniti d'America: ricordando che per la propria nomina a premier nella sede della CIA si brindò a spumante, Cossiga chiosò, in riferimento a quella di Amato: "Sono sicuro che a Langley, Virginia, avranno brindato a champagne per la sua nomina..."("Caro Berlusconi, con Amato per te sarà dura", intervista a Cossiga di Ugo Magri,La Stampa, 30 aprile 2000).

2. ^ Secondo il Corriere della sera, 14 luglio 2008, "si parlò di una busta con i conti esteri, consegnata al nuovo segretario e strappata. "A Del Turco — racconta Bobo Craxi — fu fatto sapere che, come tutti i partiti "leninisti", anche il nostro aveva munizioni nascoste in caso di guerra. Insomma, risorse altrove da usare per le calamità; e la calamità era arrivata. Lui rispose che non voleva saperne"." L'episodio, secondo Marco Travaglio, non troverebbe conferma negli atti processuali: la sentenza All Iberian, pronunciata in primo grado ma conclusasi nei successivi gradi per prescrizione, affermava che "Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi (...) Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti". Nelle confessioni del coimputato Tradati si legge poi che "i soldi non finirono al partito, a parte 2 miliardi per pagare gli stipendi". Peraltro, si dà conto anche del fatto che "Raggio ha manifestato stupore per il fatto che, dopo la sua cessazione dalla carica di segretario del Psi, Craxi si sia astenuto dal consegnare al suo successore i fondi contenuti nei conti esteri". Cfr. ((http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2409496&title=2409496)).

3. ^ Forza Italia (Simone Baldelli, Massimo Baldini, Paolo Bonaiuti, Margherita Boniver, Anna Bonfrisco, Renato Brunetta, Francesco Brusco, Giulio Camber, Giampiero Cantoni, Fabrizio Cicchitto, Francesco Colucci, Stefania Craxi, Luigi Cesaro, Gaetano Fasolino, Antonio Gentile, Paolo Guzzanti, Raffaele Iannuzzi, Vanni Lenna, Chiara Moroni, Francesco Musotto, Emiddio Novi, Gaetano Pecorella, Marcello Pera, Mauro Pili, Sergio Pizzolante, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi, Jole Santelli, Amalia Sartori, Aldo Scarabosio, Giorgio Stracquadanio, Renzo Tondo e Giulio Tremonti), PS (Rapisardo Antinucci, Alessandro Battilocchio, Enrico Boselli, Enrico Buemi, Giovanni Crema, Mauro Del Bue, Gianni De Michelis, Lello Di Gioia, Pia Elda Locatelli, Giacomo Mancini Jr., Angelo Piazza, Valdo Spini e Roberto Villetti), PD (Giuliano Amato, Giorgio Benvenuto, Antonello Cabras, Laura Fincato, Carlo Fontana (politico), Linda Lanzillotta, Maria Leddi, Beatrice Magnolfi, Pierluigi Mantini, Gianni Pittella, Tiziano Treu e Sergio Zavoli), MpA (Pietro Reina e Giuseppe Saro), Nuovo PSI (Lucio Barani), UDC (Giuseppe Drago) indipendenti (Giovanni Ricevuto).

4. ^ http://www.partitosocialista.it/site/artId__500/307/281-Veltroni_consegna_l_Italia_a_Berlusconi_br_Boselli_-_il_Congresso_scegliera_il_nuovo_leader.aspx

 

 

 

 

 

 

 

Partito Socialista Democratico Italiano

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Partito Socialista Democratico Italiano

PSDI.png

Partito politico italiano del passato

Leader storici Giuseppe Saragat, Mario Tanassi

Periodo di attività 11 gennaio 1947 - 10 maggio 1998

Sede Piazza di Spagna, Roma

Coalizioni *elettorali o di governo:

* Unità Socialista (1948)

* Centrismo (1947-1963)

* Centro-sinistra "organico" (1963-1980)

* Pentapartito (1980 - 1994)

Partito Europeo Partito del Socialismo Europeo

Ideologia socialdemocrazia

Numero massimo di seggi alla Camera 33 (nel 1963)

Numero massimo di seggi al Senato 23 (nel 1948)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 4 (nel 1979)

Organo ufficiale L'Umanità

Il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) è un partito politico italiano socialdemocratico fondato l'11 gennaio 1947, in seguito alla cosiddetta "Scissione di Palazzo Barberini". La denominazione iniziale del nascente partito socialdemocratico, in rievocazione dell'antecedente esperienza prefascista, fu Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Entrato in una lunga fase di agonia dopo lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli fra il 1992 e il 1994, scomparve nel 1998 per aderire ai Socialisti Democratici Italiani.

Nel 2004 viene rifondato, in continuità giuridica con l'esperienza precedente, senza tuttavia riottenere una significativa consistenza.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Prodromi

o 1.2 La rinascita del PSLI

o 1.3 Il centrismo

o 1.4 Il centro-sinistra

o 1.5 Gli anni della presidenza Saragat

o 1.6 Il pentapartito

o 1.7 La parabola discendente

o 1.8 La diaspora socialdemocratica

* 2 Ricostituzione del PSDI

o 2.1 Le elezioni politiche del 2006 e la crisi del 2007

o 2.2 Le elezioni politiche 2008

o 2.3 Segretari

o 2.4 Congressi nazionali

o 2.5 Risultati elettorali

o 2.6 Voci correlate

o 2.7 Collegamenti esterni

o 2.8 Note

o 2.9 Bibliografia

Storia [modifica]

Prodromi [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Riformista Italiano.

Fin da quando il Partito Socialista Italiano cominciò a divenire un'importante e consistente formazione politica agli inizi del Novecento, al suo interno cominciarono a delinearsi due distinte correnti, una più estremista, rivoluzionaria e massimalista, e all'opposto un'altra più moderata, parlamentarista e riformista. Le due fazioni si alternarono più volte alla guida del partito, finché nel 1912 si giunse al punto di rottura sul tema dell'atteggiamento verso la Guerra di Libia, dagli uni vista come un esempio di aggressione imperialista, e dagli altri come un'occasione per procurare nuove terre ed occasioni d'impiego per i contadini e i lavoratori in generale: i pacifisti prevalsero, e fu così che il gruppo facente capo a Leonida Bissolati e a Ivanoe Bonomi fu espulso e formò il Partito Socialista Riformista Italiano, dando vita alla prima esperienza socialdemocratica in Italia, le cui fortune non superarono però la Prima guerra mondiale, anche se durante il conflitto il nuovo partito fu cooptato in varie compagini governative.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Unitario.

La seconda crisi all'interno del movimento proletario italiano avvenne nel quadro delle forti tensioni del Primo dopoguerra, quando in Italia si profilava sempre più forte la minaccia fascista. Il PSI, nonostante avesse perso nel 1921 la sua componente più estremista che aveva creato il Partito Comunista, non seppe trovare al suo interno l'unità e la compattezza necessarie nell'affrontare l'ondata nera che calava sul paese. La frangia più moderata guidata da Giacomo Matteotti e Filippo Turati sosteneva la creazione di un'alleanza governativa moderata che sapesse ergersi a freno rispetto all'estrema destra, ma tale intendimento non fu accettato dalla dirigenza massimalista che il 1ş ottobre 1922 espulse i dissidenti, i quali andarono a formare il Partito Socialista Unitario. Il nuovo soggetto politico seppe invero raccogliere il maggior consenso nello schieramento progressista, seppur nel difficilissimo quadro delle sempre maggiori violenze fasciste, e nelle controverse elezioni del 1924 riuscì a porsi come il primo partito della Sinistra, davanti sia al PSI che al PCI. Sciolto come tutti i partiti democratici in seguito all'instaurazione della dittatura nel 1926, assunse in clandestinità il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, per poi addivenire alla riunificazione con la casa madre socialista a Parigi nel 1930.

La rinascita del PSLI [modifica]

Conclusasi la Seconda guerra mondiale, il fascismo fu spazzato via e in Italia si restaurarono le istituzioni democratiche. Il XXIV Congresso socialista, celebrato a Firenze dal 11 al 17 aprile 1946, vide accendersi lo scontro fra la maggioranza allora guidata da Pietro Nenni e la minoranza di Giuseppe Saragat, includente simpatizzanti di Critica sociale di Ugo Guido Mondolfo ed Iniziativa socialista di Mario Zagari che sostenevano una linea politica più autonoma del Partito rispetto al PCI. La linea politica di Nenni, che riteneva indispensabile l'attiva collaborazione col PCI venne confermata da un nuovo patto di unità d'azione PCI-PSIUP stretto il 25 ottobre 1946.

Il gruppo di Saragat trovò diretta conferma alle loro tesi dai risultati delle elezioni amministrative del 10 novembre dello stesso anno. In quell'occasione il Partito Comunista superò per la prima volta i socialisti, divenendo la prima forza della sinistra italiana: mentre Nenni, tralasciando la riduzione del numero dei votanti socialisti, sottolineava la crescita elettorale globale della sinistra interpretandola come una vittoria, Saragat in una intervista sostenne invece che la dirigenza del partito paralizzava l'azione socialista, con l'effetto ultimo che avrebbe portato lo stesso alla dissoluzione. [1]

Il conseguente XXV congresso straordinario socialista, tenutosi a Roma dal 9 al 13 gennaio 1947, e voluto fortemente da Nenni per analizzare la situazione di attrito tra le componenti di maggioranza e minoranza con l'obiettivo di riunire le diverse posizioni, fallì però il suo scopo primario. L'11 gennaio 1947 con la scissione dal PSIUP dell'ala democratico-riformista guidata da Giuseppe Saragat, al termine di una concitata riunione presso Palazzo Barberini in Roma, venne infatti fondato il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

La scissione costa al PSIUP la trasmigrazione di 50 parlamentari socialisti nel nuovo partito e di una folta schiera di dirigenti ed intellettuali fra cui Treves, D'Aragona e Modigliani. Il PSIUP guidato da Nenni, per evitare che questo possa diventare la denominazione del nuovo partito di ispirazione socialista fondato da Saragat, decide di riprendere il vecchio nome di Partito Socialista Italiano.

Nel mese di dicembre dello stesso anno, socialdemocratici e repubblicani, tramite un rimpasto governativo, entrano nel IV Governo De Gasperi. Varato il 31 maggio 1947 in una coalizione centrista a guida DC includente anche PLI, in questo governo Saragat ottiene il titolo di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri: il PSI ed il PCI, presenti nel precedente governo finirono esclusi, andando all'opposizione per la prima volta dalla costituzione della Repubblica Italiana.

Nel 1948 si tengono elezioni politiche decisive per il futuro del Paese. Il PSLI si presenta dunque alle elezioni del 18 aprile come forza indipendente "autenticamente socialista e democratica", schierata su un terreno di centrosinistra rispetto alla scena politica italiana, ma aperta anche al contributo di altre forze laico-riformiste di centro e di centrosinistra. L'apertura del partito ai laico-riformisti nonché naturalmente a qualunque spezzone socialista che avversasse il PCI e l'URSS, ebbe successo e tra gli altri aderì alla proposta anche il gruppo fuoriuscito dal PSI guidato da Ivan Matteo Lombardo e comprendente, tra gli altri, intellettuali quali Ignazio Silone, Piero Calamandrei e Franco Venturi. Tale operazione portò così alla costituzione della lista "Unità Socialista", che con il suo 7,1% di voti alla Camera dei deputati e il 4,2% al Senato contribuì ad impedire in Italia la vittoria del Fronte Popolare, costituito dall'alleanza fra PCI e PSI mirante alla formazione di un governo marxista ispirato ai modelli di governi socialisti dell'est Europa e basati su di una fratellanza con l'Unione Sovietica. L'ottimo piazzamento del PSLI situato al terzo posto dopo DC e Fronte Democratico Popolare nei risultati elettorali per la Camera dei Deputati, consentì ai socialdemocratici di costituire in Parlamento un gruppo consistente formato da trentatre deputati, mentre al Senato la situazione fu ancor più rosea, dato che con il contibuto dei senatori aventiniani di diritto provenienti dall'esperienza del PSU, alla Camera alta si riuscì a comporre una pattuglia socialdemocratica di ben ventitré membri.

Il 23 maggio 1948 nel conseguente V Governo De Gasperi entrarono a farne parte due ministri socialdemocratici: Saragat come Vicepresidente del Consiglio e Ministro della Marina mercantile e Lombardo al ministero dell'industria.

Il centrismo [modifica]

Targa commemorativa della Scissione di Palazzo Barberini

La vittoria della DC e il buon risultato di Unità Socialista favorì così la collocazione dell'Italia nell'area occidentale e permise la costituzione di governi fondati sull'alleanza dei partiti dai liberali ai riformisti (PLI, DC, PRI e PSLI, poi PSDI).

Nell'arco di due anni però, tra il 1948 e il 1950, il PSLI tenne quattro congressi nei quali vi fu una continua uscita di militanti e dirigenti tra cui Giuseppe Faravelli, Ugo Guido Mondolfo, Mario Zagari.

Questi confluiscono, con Giuseppe Romita ed altri piccoli gruppi laico-socialisti, nel Partito Socialista Unitario (PSU), che tenne il suo primo congresso nel dicembre 1949. In quel tempo il PSLI contava ufficialmente 80.000 iscritti e il PSU circa 170.000, ma in realtà le continue fuoriuscite nonché le pressioni del PSI, che con l'aiuto del PCI e sotto la direzione di Rodolfo Morandi riorganizzava la sua presenza sociale, ridussero gli iscritti complessivamente al di sotto dei 50.000.

Dopo breve tempo però, nel PSU si fecero sentire le sue simpatie nei confronti del PSLI di Saragat e così al II Congresso del PSU venne trattata la tematica dell'unificazione PSU-PSLI. Su tale proposito si scontrarono due correnti: una guidata da Romita favorevole all'unificazione, la seconda guidata dalla sinistra di Mondolfo e Codignola contrari. Prevalse la prima e il 1ş maggio 1951 i due partiti si unificarono dando vita al Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS). Il simbolo era il classico sole nascente, ma con l'unione del libro dell'Internazionale, ovviamente rosso-arancioni. Questo nome fu però contestato dalla corrente più a destra, poiché ricordava troppo l'internazionalismo di stampo stalinista: quando l'unificazione venne sancita il 7 gennaio 1952 nel VII Congresso del partito, questo assunse dunque la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) ed elesse segretario Giuseppe Saragat.

Nelle elezioni del 1953 intanto il PSDI scese al 4,5%. Tuttavia l'esistenza del sindacato UIL, a forte carattere socialdemocratico, e l'azione di governo consentirono di portare avanti anche in Italia gli ideali della socialdemocrazia. Il PSDI si identificava nel suo leader indiscusso, nonché fondatore Giuseppe Saragat.

Gli anni del centrismo andarono dal 1948-1960 e la coalizione di governo fu comunque sempre guidata dalla DC, partito di "centro che guarda a sinistra" come disse lo stesso Alcide De Gasperi, ruolo primario ebbe anche il PSDI, mentre PLI e PRI furono penalizzati a causa degli scarsi risultati elettorali. Gli anni del "centrismo" furono segnati dalla ricostruzione e da una maggioranza politicamente forte in cui l'azione politica era accompagnata da una forte ripresa economica e benessere sociale. Gli anni del centrismi furono quelli della ricostruzione, che negli anni sessanta porterà poi al cosiddetto boom economico.

Il centro-sinistra [modifica]

A partire dagli inizi degli anni sessanta, la Democrazia Cristiana (guidata da Amintore Fanfani ed Aldo Moro), stava maturando l'apertura verso il Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni, il quale proprio allora stava affrancando il suo partito dal patto di unità d'azione che fino a quel momento aveva unito socialisti e comunisti. Il Partito Socialista Democratico Italiano dunque (da sempre alleato leale della DC), dopo un iniziale periodo di titubanza, approva la svolta di centro-sinistra accelerandone il processo e conducendo un formidabile lavoro di mediazione tra socialisti e democristiani, per mezzo del suo fondatore e leader indiscusso Giuseppe Saragat.

L'apertura ai socialisti causò la fuoriuscita dalla compagine governativa del PLI, ma diede inizio ad una forte fase riformatrice nel Paese e migliorò anche la performance elettorale del partito socialdemocratico, che raggiunge il 6% alle elezioni politiche. L'esperienza governativa nel centro-sinistra nel frattempo, facilita il nuovo incontro tra socialdemocratici e socialisti e così il 30 ottobre 1966, il PSDI si riunificò con il PSI, dando vita al PSI-PSDI Unificati.

Il 5 luglio 1969 però - in seguito a scarsi risultati elettorali - nel PSU le strade della componente socialista e di quella socialdemocratica si dividono nuovamente: la prima ritornò al PSI, mentre la seconda ricostituì un soggetto socialdemocratico chiamato Partito Socialista Unitario (PSU), che il 10 febbraio 1971 riprese la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Nel frattempo, a metà degli anni settanta, Francesco De Martino mise per la prima volta - dopo oltre un decennio - in discussione la compatibilità politica tra socialisti e democristiani. In questa fase, se da un lato il PSDI rese più forti i suoi legami con la DC, dall'altro incoraggiò la corrente degli "autonomisti" di Bettino Craxi a mettere in discussione la segreteria di De Martino; quando questi venne eletto alla segreteria del PSI, ribadì la disponibilità dei socialisti ad entrare in nuovi esecutivi di centro-sinistra e riprese i contatti con i fratelli socialdemocratici del PSDI, chiudendo nuovamente le prospettive politiche dei socialdemocratici.

Gli anni della presidenza Saragat [modifica]

Giuseppe Saragat, capo indiscusso del PSDI

Ritratto di Mario Tanassi

Il 1964 si apre amaramente per i socialisti a causa di una nuova scissione. L'11 gennaio la corrente di sinistra guidata da Tullio Vecchietti, Lelio Basso e Emilio Lussu, fuoriscita dal PSI perché contraria alla formazione di un governo di centro-sinistra formato dal PSI e dal PSDI insieme alla DC, rifonda il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Il 28 dicembre 1964, dopo le dimissioni anticipate del Presidente della Repubblica Antonio Segni (DC), colto il 7 agosto da un improvviso ictus cerebrale, una vasta coalizione di parlamentari di sinistra su indicazione di Giorgio Amendola (PCI) e di Ugo La Malfa (PRI) vota Giuseppe Saragat nuovo Capo dello Stato che, con i voti dei Grandi elettori di PCI, PSI, PSDI, PRI e buona parte della DC - che aveva visto "bruciato" il suo candidato ufficiale Giovanni Leone - diviene al 21° scrutinio con 646 preferenze su 927 votanti, il primo socialista a insediarsi al Quirinale. Colonne portanti della presidenza Saragat furono i valori della Resistenza e la volontà di attivarsi sempre per la costituzione di governi allargati all'intero centro-sinistra. Gli anni del presidente socialdemocratico, anni difficili per via del mutamento sociale in atto, furono caratterizzati dall'inizio del terrorismo, dalle drammatiche alluvioni di Firenze, Venezia e Grosseto del 1966 e dalla aspra contestazione del '68. Nel 1971 il democristiano Giovanni Leone succede a Giuseppe Saragat - al quale non sarebbe dispiaciuta una rielezione - nella carica di Presidente della Repubblica. Pochi altri uomini politici, tra i quali è d'obbligo annoverare Palmiro Togliatti e Giovanni Spadolini, seppero coniugare l'azione politica con l'impegno culturale come Saragat.

Mario Tanassi, più volte ministro della Difesa, nel 1975 era alla guida del PSDI quando fu travolto, insieme a Mariano Rumor (Dc) e Luigi Gui (Dc), dal primo grande scandalo della politica italiana, venendo posto in stato d'accusa per corruzione dalla commissione inquirente. La Corte Costituzionale nel 1979 condannò Tanassi a 28 mesi di carcere, per tangenti ricevute dalla società americana Lockheed per facilitare la vendita dei C-130 all'Aeronautica militare italiana.

A causa dello scandalo P2, Pietro Longo, nei cui elenchi degli iscritti fu trovato il suo nome associato alla tessera con il numero 926, fu costretto a dimettersi prima dal suo incarico di governo (13 luglio 1984) e poi dalla guida del PSDI nel 1985.

La fine degli anni ottanta vede il coinvolgimento di due segretari del PSDI, Vizzini e Nicolazzi, in scandali giudiziari. L'ex ministro delle Poste Carlo Vizzini, dopo alcuni avvisi di garanzia - che non porteranno però a nessuna condanna - lascia per diversi anni la scena politica. Contemporaneamente il cosiddetto scandalo delle "carceri d'oro" travolse invece il segretario Franco Nicolazzi, che proprio in quegli anni aveva tentato di caratterizzare la propria segreteria sottraendo il partito socialdemocratico al suo ruolo subalterno rispetto alla Democrazia Cristiana e richiamando, sia pure vagamente, ad una posizione alternativa riformista e compiutamente di sinistra.

Il pentapartito [modifica]

Durante gli anni successivi, la maggioranza di governo si estese al PLI, rappresentante tradizionale della borghesia moderata e per questo escluso dai precedenti "governi riformatori"; iniziò così la fase del cosiddetto "Pentapartito".

Nel corso degli anni incominciarono però a riscontrarsi nel PSDI i primi dissapori: il 15 febbraio 1989 una "miniscissione", capeggiata da Pietro Longo e Pier Luigi Romita, porta infatti alla costituzione del movimento di Unità e Democrazia Socialista (UDS). Questo movimento aveva come obiettivo esplicito facilitare il riavvicinamento tra PSDI e PSI, riavvicinamento che avrebbe dovuto inserirsi nel più ampio progetto del leader socialista Bettino Craxi di creare in Italia una grande famiglia ispirata al riformismo socialdemocratico europeo, comprendente anche i nuovi riformisti del neonato PDS. Questo obiettivo di Longo e Romita si risolse però in un fallimento e il 13 ottobre 1989 l'UDS finì per confluire nel PSI.

La parabola discendente [modifica]

In seguito alle inchieste di "Tangentopoli", che vedono implicati diversi esponenti di primo piano, il PSDI vide diminuire drasticamente il proprio consenso elettorale. L'ex segretario nazionale Pietro Longo venne arrestato il 30 aprile del 1992 per aver ricevuto una tangente di un miliardo e mezzo di lire dalla ditta milanese Icomec in relazione all'appalto di costruzione della centrale idroelettrica di Edolo, in provincia di Brescia, nel periodo in cui egli ricopriva anche l'incarico di consigliere di amministrazione dell'ENEL, e viene successivamente condannato per concussione a quattro anni e sei mesi di reclusione. L'11 giugno del 1992 Lamberto Mancini, assessore della Provincia di Roma ed ex Presidente della stessa Provincia, venne sorpreso dal Carabinieri nell'atto di intascare una tangente di 28 milioni di lire, ed arrestato in flagranza di reato. Nello stesso anno Antonio Cariglia viene accusato di aver violato le regole del finanziamento pubblico ai partiti. Di lui si occuperanno per diversi anni le procure di Foggia, Milano e Roma, dopo oltre dieci anni di attese processuali, l'ex segretario del PSDI viene infine assolto dall'accusa.

Tra il 1992 e il 1994 il Partito Socialista Democratico Italiano, condivise la sorte degli altri partiti della coalizione "Pentapartito" (DC, PSI, PLI e PRI) di governo, vivendo un progressivo tracollo elettorale che portò allo scardinarsi dell'apparato del partito ed al moltiplicarsi di fenomeni scissionisti.

Alle elezioni politiche del 1994 il PSDI diede vita a una lista, insieme con una parte craxiana e ribelle del PSI, denominata Socialdemocrazia per le Libertà, che presentò candidati autonomi dagli schieramenti principali in alcuni collegi uninominali soprattutto in Molise, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Tra questi si candidò anche il segretario Enrico Ferri che nel collegio di Carrara alla Camera raccolse da solo il 23,7% ma non viene eletto.

Molti esponenti del PSDI, invece, si divisero tra:

* la coalizione centrista del Patto per l'Italia facendo riferimento all'area riformista di Giuliano Amato (tra questi Gian Franco Schietroma candidato nel collegio di Frosinone).

* la sinistra costituita dai Progressisti (tra questi venne eletta alla Camera in un collegio della Basilicata Magda Cornacchione Milella).

Ciò che rimase del PSDI continuò a cercare di rimanere in vita e così, alle elezioni europee del 1994, il partito si ripresentò raccogliendo lo 0,7% a livello nazionale e riuscendo ad eleggere il segretario Enrico Ferri al Parlamento europeo. Successivamente però proprio il segretario Ferri si candida alla presidenza della provincia di Massa-Carrara schierando l'ormai decimato PSDI con il centro-destra di Silvio Berlusconi (al quale aderiva anche Alleanza Nazionale). Ciò comportò ulteriori fratture dentro il partito, che portarono a scissioni di interi gruppi dirigenti verso i partiti moderati della coalizione di centro-sinistra. A ciò si aggiunse un richiamo ufficiale da parte dell'Internazionale Socialista e del Partito del Socialismo Europeo al quale il PSDI e lo stesso Ferri aderivano. Anche per questo motivo il 10 dicembre 1994 Enrico Ferri insieme con Luigi Preti, fonda nel PSDI la corrente di Socialdemocrazia Liberale Europea (SOLE).

Nel gennaio 1995, però, un regolare congresso mise in minoranza la corrente di Ferri e Preti, nominando segretario del partito Gian Franco Schietroma: la corrente di Ferri e Preti (SOLE) esce così dal PSDI divenendo partito autonomo. Il SOLE si avvicina così all'area di centro-destra, stringendo una collaborazione privilegiata prima con il Centro Cristiano Democratico e poi con Forza Italia. In realtà però, dopo poco tempo, molti e lo stesso E. Ferri lasceranno la CDL, avvicinandosi al centro-sinistra. Un altro gruppo invece si unirà ad un gruppo di ex-craxiani guidati da Enrico Manca e Fabrizio Cicchitto fondando il Partito Socialista Riformista, che avrà però vita breve. I seguaci di Manca aderiranno poi a La Margherita, mentre i seguaci di Fabrizio Cicchitto confluiranno invece in Forza Italia. La maggior parte dei vecchi socialdemocratici tuttavia, in seguito alla scomparsa del Patto per l'Italia (dove erano confluiti in massima parte fin dal 1993) aderirono all' Unione democratica (successivamente confluito ne i Democratici) oppure a Rinnovamento Italiano, se non addirittura al Partito popolare italiano, che assorbì parte dell'elettorato ex-psdi. Nel 2001 infine i Democratici, Rinnovamento Italiano e Ppi si fusero in un nuovo partito politico centrista e moderatamente riformista: La Margherita.

La lunga storia di un PSDI che oramai esisteva solo in teoria si trascinava stancamente fino a quando, sotto la guida di Gian Franco Schietroma, dà vita - insieme ai Socialisti Italiani, ad una parte del Partito Socialista e della Federazione Laburista - al nuovo partito dei Socialisti Democratici Italiani (SDI). Ciò avvenne l'8 febbraio del 1998 quando il segretario del PSDI Gianfranco Schietroma, senza un mandato esplicito del Consiglio Nazionale, volle dar vita, insieme ai socialisti del SI, a un nuovo partito politico denominato SDI, che poi aderì alla coalizione di centrosinistra.

In seguito a questa scelta, i socialdemocratici rimasti fedeli ad una visione autonomista, legittimati dal mancato pronunciamento dell'organo politico del PSDI, decisero di riprendere nome e simbolo celebrando nel gennaio 2004 quello che verrà definito, come segno di continuità, il venticinquesimo congresso del partito fondato da Giuseppe Saragat, eleggendo Giorgio Carta come segretario nazionale.

La diaspora socialdemocratica [modifica]

Già dal 1989 erano iniziate in seno al PSDI i primi fenomeni di scissione e le prime fratture, tale fenomeno divenne però insostenibile a partire dal 1993. Da allora infatti il PSDI non fu più presente unitariamente su tutto il territorio nazionale e ciò favorì il distacco dal partito di interi gruppi e di numerosi dirigenti sia locali che nazionali. Così, in uno scenario in cui i "nuovi partiti" erano ideologicamente trasversali, numerosi ex-socialdemocratici hanno portato la loro cultura di matrice sostanzialmente centrista e laico-riformista in altri soggetti politici. Oggi elementi di cultura socialdemocratica, oltre ad essere rappresentati dallo stesso PSDI, sono presenti nei seguenti partiti:

* La Margherita (DL), dove sono confliti attraverso i partiti fondatori Rinnovamento Italiano ed i Democratici. DL è parte stabile della coalizione di centro-sinistra. Alcuni ex-psdi ed ex-psi (soprattutto del Nord Italia) hanno fondato l'associazione politico-culturale Socialisti democratici per il Partito Democratico, a forte carattere piemontese;

* Socialisti Democratici Italiani, aderente al centro-sinistra;

* Forza Italia ed UDC, dove sono confluiti soprattutto grazie al movimento Socialdemocrazia Liberale Europea (molti ex-psdi di Forza Italia aderiscono ai Circoli d'Iniziativa Riformista);

* Il Movimento della Rinascita Socialdemocratica, poi Rinascita Socialdemocratica, poi Partito dei Socialdemocratici di Luigi Preti.

 

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Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

Ricostituzione del PSDI [modifica]

Partito Socialista Democratico Italiano

PSDI.png

Partito politico italiano

Segretario Mimmo Magistro

Vicesegretario {{{vicesegretario}}}

Fondazione 11 gennaio 1947 (PSLI)

Sede Piazza del Popolo 18, Roma

Coalizione nessuna

Ideologia Socialdemocrazia

Internazionale nessuna

Partito europeo nessuna

Organo ufficiale Socialdemocratici Europei

Iscritti {{{iscritti}}}

Sito web Partito Socialdemocratico

Alla fine del 2003, dopo un periodo di oblio dovuto allo sfaldamento dei ranghi nazionali, diversi esponenti socialdemocratici - alcuni dei quali inizialmente confluiti nei Socialisti Democratici Italiani - si riorganizzarono sotto le insegne dello storico Partito Socialista Democratico Italiano. Nel mese di gennaio 2004, dopo aver ripreso su scala nazionale l'organizzazione del tesseramento rimasto operativo grazie all'apporto delle federazioni territoriali, venne celebrato il XXIV Congresso Nazionale, conclusosi con l'elezione a Segretario di Giorgio Carta e del Presidente onorario, Antonio Cariglia. In occasione della competizione elettorale per le Europee 2004, la continuità giuridica del Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) guidato da Carta è sancita dalla Suprema Corte di Cassazione - Ufficio Elettorale Nazionale per il Parlamento Europeo con la sentenza del 01/05/2004.

Nel biennio 2004/2005, il partito ritornò ad essere presente con diversi suoi rappresentanti eletti lungo tutto il territorio della penisola, partecipando nel 2005 anche alle elezioni primarie dell'Unione sostenendo la candidatura di Romano Prodi a leader della coalizione. In occasione delle elezioni politiche del 2006, per la competizione della Camera presentò propri candidati nelle liste dell'Ulivo (il segretario Giorgio Carta fu candidato in Basilicata).

Al Senato, invece, dove non era presente la lista de L'Ulivo il PSDI, in virtù dell'accordo politico-organizzativo sottoscritto da Piero Fassino per i Democratici di Sinistra e da Giorgio Carta per il partito socialdemocratico, presentò soltanto in 10 regioni il proprio simbolo, stringendo in tale occasione una collaborazione con il Nuovo Partito d'Azione, che schierò nelle liste del PSDI alcuni suoi candidati.

Le elezioni politiche del 2006 e la crisi del 2007 [modifica]

Nelle liste dell'Ulivo alla Camera il segretario nazionale Giorgio Carta, risultato il primo dei non eletti in Basilicata, è stato eletto per il c.d. "ripescaggio". Iscritto dapprima al Gruppo Parlamentare de L'Ulivo, in seguito alla scelta della costituzione del Partito Democratico nell'agosto 2007 ha comunicato la volontà di continuare a rappresentare il PSDI iscrivendosi al Gruppo Misto.

Al Senato le liste del PSDI alleate col centro-sinistra presenti in 10 regioni non riescono in nessuna a superare lo sbarramento del 3% (a livello nazionale il dato è dello 0,2%). Il dato più alto è in Calabria ed in Puglia con lo 0,8%.

In seguito alle dimissioni improvvise del segretario nazionale Giorgio Carta rimesse il 25 novembre 2006, la Direzione Nazionale del 14 dicembre elegge segretario Renato D'Andria. L'elezione viene però fatta oggetto di contestazione dal gruppo rimasto legato a Carta e che si proclama maggioritario. D'Andria procede invece a farsi confermare segretario con un congresso celebrato a Fiuggi (26-27-28 gennaio 2007). Vengono dunque chiamati i tribunali a chiarire su quale sia il PSDI legittimo. In ogni caso a Carta restano fedeli i 2/3 dei membri della Direzione Nazionale. Intanto il 1ş marzo la fazione estromessa da D'Andria si riorganizza come "Associazione Politico Culturale Socialdemocratici Europei". Il 13 aprile il Tribunale di Roma sospende cautelativamente l'elezione di D'Andria e tutte le sue decisioni da segretario (tra cui diverse espulsioni eccellenti dal partito). Il 18 e il 21 maggio lo stesso tribunale respinge un reclamo di D'Andria. Il Partito Socialista Democratico Italiano, sotto la guida del vice Segretario Vicario Mimmo Magistro, riprende la sua attività organizzativa ed il 19 maggio la ritrovata Direzione Nazionale respinge all'unanimità le dimissioni di Carta, il quale guiderà il partito fino al XVII Congresso nazionale di Bellaria (RN). Il 15 giugno D'Andria fonda infine il Partito dei Riformatori Democratici, perdendo in data 19 luglio l'ennesimo ricorso contro il PSDI. Il XVII Congresso nazionale nell'ottobre 2007 ripristina la pace all'interno del PSDI con la proclamazione all'unanimità di Mimmo Magistro Segretario, di Alberto Tomassini Presidente del partito e di Giorgio Carta Presidente onorario.

Le elezioni politiche 2008 [modifica]

Dopo la caduta del Governo Prodi II, il PSDI assiste alla fine dell'Unione e, non trovando accordi per un'alleanza con il Partito Democratico decide di aderire alla neonata Costituente di Centro [2] assieme all'UDC e alla Rosa per l'Italia. Successivamente l'accordo sfuma e il partito dichiara il suo impegno elettorale esclusivamente per le elezioni amministrative locali; per le elezioni politiche nazionali ai suoi iscritti viene indicata come forma di protesta, contro quella che viene definita una oligarchia politica escludente alcuni partiti storici italiani, di votare scheda bianca o annullare la scheda apponendovi il nome di "Saragat"[3].

Segretari [modifica]

* Giuseppe Saragat (gennaio 1947)

* Alberto Simonini (febbraio 1948)

* Ugo Guido Mondolfo (maggio 1949)

* Ludovico D'Aragona (giugno 1949)

* Giuseppe Saragat (novembre 1949)

* Ezio Vigorelli (gennaio 1952)

* Giuseppe Romita (maggio 1952)

* Giuseppe Saragat (ottobre 1952)

* Gian Matteo Matteotti (febbraio 1954)

* Giuseppe Saragat (aprile 1957)

* Mario Tanassi (gennaio 1964)

* Unificazione Socialista (ottobre 1966)

* Mauro Ferri (luglio 1969)

* Mario Tanassi (febbraio 1972)

* Flavio Orlandi (giugno 1972)

* Mario Tanassi (giugno 1975)

* Giuseppe Saragat (marzo 1976)

* Pier Luigi Romita (ottobre 1976)

* Pietro Longo (ottobre 1978)

* Franco Nicolazzi (ottobre 1985)

* Antonio Cariglia (marzo 1988)

* Carlo Vizzini (maggio 1992)

* Enrico Ferri (aprile 1993)

* Gian Franco Schietroma (gennaio 1995)

* partecipazione alla fondazione dello SDI (gennaio 1998)

* Giorgio Carta (gennaio 2004)

* Mimmo Magistro (aprile 2007)

Congressi nazionali [modifica]

* I Congresso - Napoli, 1-5 febbraio 1948

* II Congresso - Milano, 23-26 gennaio 1949

* III Congresso - Roma, 16-19 giugno 1949

* IV Congresso (straordinario) - Napoli, 4-8 gennaio 1950

* V Congresso (straordinario) - Roma, 10-13 giugno 1950

* VI Congresso - Roma, 31 marzo - 2 aprile 1951

* VII Congresso - Bologna, 3-6 gennaio 1952

* VIII Congresso - Genova, 4-7 ottobre 1952

* IX Congresso - Roma, 6-9 giugno 1954

* X Congresso - Milano, 31 gennaio - 8 febbraio 1956

* XI Congresso - Milano, 16-18 ottobre 1957

* XII Congresso - Roma, novembre-dicembre 1959

* XIII Congresso - Roma, 22-25 novembre 1962

* XIV Congresso - Roma, 8-11 gennaio 1966

* XV Congresso - Roma, 6-9 febbraio 1971

* XVI Congresso - Genova, 2-6 aprile 1974

* XVII Congresso - Firenze, 11-15 marzo 1976

* XVIII Congresso - Roma, 16-20 gennaio 1980

* XIX Congresso - Milano, 24-30 marzo 1982

* XX Congresso - Roma, 30 aprile - 2 maggio 1984

* XXI Congresso - Roma, 10-14 gennaio 1987

* XXII Congresso - Rimini, 8-12 marzo 1989

* XXIII Congresso - Rimini, 13-16 maggio 1991

* XXIV Congresso - Bologna, 28-29 gennaio 1995

* XXV Congresso - Roma, 9-10-11 gennaio 2004

* XXVI Congresso - Roma, 9-10-11 dicembre 2005

* XXVII Congresso - Bellaria (RN), 5-6-7 ottobre 2007

Risultati elettorali [modifica]

Voti % Seggi

Politiche 1948 (lista Unità Socialista) Camera 1.858.116 7,07 33

Senato 1.627.560[4] 7,21[4] 8

Politiche 1953 Camera 1.222.957 4,51 14

Senato 1.046.301 4,31 4

Politiche 1958 Camera 1.345.447 4,55 22

Senato 1.136.803 4,35 5

Politiche 1963 Camera 1.876.271 6,10 33

Senato 1.743.837 6,35 14

Politiche 1968 col PSI col PSI col PSI

Politiche 1972 Camera 1.718.142 5,14 29

Senato 1.614.273 5,36 11

Politiche 1976 Camera 1.239.492 3,38 29

Senato 974.940 3,10 6

Politiche 1979 Camera 1.407.535 3,84 29

Senato 1.320.729 4,22 9

Europee 1979 1.514.272 4,32 4

Politiche 1983 Camera 1.508.234 4,09 23

Senato 1.184.936 3,81 8

Europee 1984 1.225.462 3,49 3

Politiche 1987 Camera 1.140.209 2,96 17

Senato 822.593[5] 2,54[5] 6[5]

Europee 1989 945.383 2,72 2

Politiche 1992 Camera 1.066.672 2,72 16

Senato 853.895 2,56 3

Politiche 1994 (lista Socialdemocrazia per le Libertà) Camera 179.495 0,46 -

Senato 66.589 0,20 -

Europee 1994 227.439 0,69 1

Politiche 2006 Camera nell'Ulivo nell'Ulivo 1

Senato 57.343 0,17 -



Voci correlate [modifica]

* Socialdemocrazia

* Lista dei partiti socialdemocratici

* Giuseppe Saragat

* Palazzo Barberini

Collegamenti esterni [modifica]

* Partito Socialdemocratico (Sito Ufficiale)

* Laboratorio dei Socialdecratici Europei

Note [modifica]

1. ^ Vedi Spencer Di Scala (cap 4)

2. ^ http://www.partitosocialdemocratico.eu/?p=1

3. ^ http://www.socialdemocraticieuropei.it/dblog/articolo.asp?articolo=320

4. ^ a b Dato complessivo sia delle candidature proprie, sia di quelle presentate in alcune regioni assieme al PRI.

5. ^ a b c Il dato non comprende i suffragi di alcune regioni in cui il PSDI si presentò assieme a PSI e PR, comprende invece la candidatura presentata coi Verdi.

Bibliografia [modifica]

* Francesco Malgeri, La stagione del centrismo: politica e società nell'Italia del secondo dopoguerra (1945-1960),Rubbettino Editore, 2002, ISBN 8849803354

* Spencer Di Scala, Renewing Italian Socialism: Nenni to Craxi, Oxford University Press, 1988, ISBN 0195052358

* Antonio G. Casanova, La lezione di Palazzo Barberini, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987

* Felice La Rocca, La presidenza Saragat: sette anni difficili, il Mulino, 1971, ISSN 0027-3120

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Partiti politici italiani Bandiera dell'Italia

Maggiori Il Popolo della Libertà – Partito Democratico

Medi Lega Nord – Italia dei Valori – Unione di Centro (Unione dei Democratici Cristiani e di Centro – Rosa Bianca)

Minori Alleanza per l'Italia – Movimento per le Autonomie – Radicali Italiani – Federazione della Sinistra (Partito della Rifondazione Comunista – Partito dei Comunisti Italiani) – Sinistra Ecologia Libertà (Movimento per la Sinistra – Sinistra Democratica) – Federazione dei Verdi – Partito Socialista Italiano – Partito Repubblicano Italiano – Movimento Repubblicani Europei – Liberal Democratici – Alleanza di Centro – Popolari UDEUR – Partito Liberale Italiano – La Destra – Fiamma Tricolore – Partito Comunista dei Lavoratori – Movimento Associativo Italiani all'Estero

Regionali Union Valdôtaine – Stella Alpina – Fédération Autonomiste – Renouveau Valdôtain/Vallée d'Aoste Vive – Moderati per il Piemonte – Südtiroler Volkspartei – Die Freiheitlichen – Süd-Tiroler Freiheit – Unione per il Trentino – Partito Autonomista Trentino Tirolese – Progetto NordEst – Io Sud – La Puglia prima di tutto – Riformatori Sardi – Partito Sardo d'Azione – Unione Democratica Sarda

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

 

 

 

 

 

Partito Liberale Italiano

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Partito Liberale Italiano

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Partito politico italiano del passato

Leader storici Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Giovanni Malagodi, Valerio Zanone, Renato Altissimo

Periodo di attività 08/10/1922 - 09/11/1926

-

17/04/1944 - 06/02/1994

Sede Via Frattina, Roma

Coalizioni Lista Nazionale (1924), Unione Democratica Nazionale (1946),

Blocco Nazionale (1948), Pentapartito (1980-1994)

Partito Europeo Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori

Ideologia Liberalismo, Liberismo, Laicismo

Numero massimo di seggi alla Camera 39 (nel 1963)

Numero massimo di seggi al Senato 18 (nel 1963)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 3 (nel 1979)

Organo ufficiale L'Opinione

Il Partito Liberale Italiano (PLI) era un partito politico italiano fondato nel 1922 da vari esponenti della classe politica che aveva governato il Regno d'Italia nel suo primo sessantennio di vita, e poi ricreato nel 1944 ad opera di Benedetto Croce dopo la chiusura della parentesi del Ventennio fascista.

Il partito partecipò alla formazione di molti governi della Repubblica Italiana, soprattutto in alleanza con la Democrazia Cristiana e fu protagonista dell'esperienza politica del cosiddetto Pentapartito. Si sciolse nel 1994, così come molti partiti della Prima Repubblica, travolto dalle inchieste di Mani Pulite sui finanziamenti illeciti ai partiti.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Le origini

o 1.2 Il periodo fascista

o 1.3 La costituzione del PLI

o 1.4 L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale

o 1.5 L'adesione al pentapartito

o 1.6 Lo scioglimento dopo Tangentopoli

o 1.7 La diaspora liberale

* 2 Risultati elettorali

* 3 Segretari

* 4 Congressi

* 5 Note

* 6 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Le origini [modifica]

Le forze politiche liberali furono le protagoniste del processo che si compì nel 1861 all'Unità d'Italia in alleanza con la monarchia di Casa Savoia. La natura estremamente elitaria del nuovo Stato italiano fece sì che praticamente l'intero Parlamento divenisse espressione di tale ideologia politica, seppur suddivisa fra una fazione rigidamente conservatrice, ed un'altra più progressista e innovatrice. Quest'assoluto predominio, unito ai fenomeni di trasformismo che ben presto caratterizzarono la politica nazionale, impedirono la costituzione di un partito vero e proprio. La breccia di Porta Pia nel 1870, e il conseguente insorgere della Questione romana, scavarono un solco profondissimo fra i liberali e il mondo cattolico, spingendo quest'ultimo all'opposizione del regime sabaudo e dell'ordine politico vigente. Fu così che, anche quando tra la fine Ottocento e l'inizio del Novecento il suffragio elettorale fu allargato ai ceti medi prima, e popolari poi, le forze politiche cattoliche occuparono lo spazio centrista dello schieramento politico italiano, chiudendo i liberali su posizioni conservatrici di destra.

Il periodo fascista [modifica]

L'introduzione del sistema proporzionale nel 1919 e il conseguente trionfo dei partiti di massa socialista e popolare costrinse anche i liberali a cominciare a porsi il problema di più stabili forme organizzative. Il Partito Liberale Italiano fu fondato nel 1922 dagli eredi della classe dirigente liberale che, da Camillo Benso di Cavour a Giovanni Giolitti, aveva fino a quel momento guidato il governo statale.

Il nuovo soggetto fu tuttavia più un punto di riferimento aperto che un partito che intendesse esaurire la rappresentanza politica liberale. Di fronte all'ascesa del fascismo, i liberali avanzarono sì critiche a difesa delle garanzie statutarie, ma in molti casi collaborarono all'instaurazione del nuovo regime autoritario, sia a livello centrale dove molti esponenti entrarono nel Governo Mussolini all'indomani della Marcia su Roma, sia a livello locale dove in molti casi fornirono al PNF il materiale umano per abbattere le esperienze amministrative socialiste e popolari. In vista delle elezioni del 1924 la maggioranza dei liberali accettò di entrare nel Listone Mussolini, seppur con rilevanti ed autorevoli eccezioni, prima fra tutte quella di Giovanni Giolitti. L'avvento della dittatura comportò lo scioglimento di tutti i partiti all'infuori del PNF, e un certo numero di liberali trovò un modus vivendi con il regime. D'altra parte, il più importante tra gl'intellettuali liberali, Benedetto Croce, fu per tutto il Ventennio, in Italia e all'estero, il simbolo vivente dell'opposizione morale e intellettuale alla dittatura, in nome della "religione della libertà" e del richiamo al Risorgimento nazionale: un'opposizione che, per il grande prestigio internazionale del filosofo, il fascismo fu costretto a tollerare, almeno fino a un certo segno.

La costituzione del PLI [modifica]

Benedetto Croce

Il Partito Liberale Italiano si ricostituì nell'inverno del 1944 grazie a Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando partecipando, seppur in maniera debole, sia alla Resistenza partigiana che ai governi di unità nazionale guidati da Ivanoe Bonomi e Ferruccio Parri. In questo periodo due liberali divennero presidenti della Repubblica: prima Enrico De Nicola (1946-1948) e poi Luigi Einaudi (1948-1955).

Nel referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia, il PLI si schierò per la monarchia.[1]

Il PLI non svolse mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, non raggiungendo mai un ragguardevole consenso di voti, ma ebbe sempre grande prestigio intellettuale, svolgendo il ruolo di pungolo liberale verso tutti i partiti democratici, specialmente sui temi dell'economia. Faceva parte della cultura liberale, sia pure quella più laica ed europea, il settimanale, Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio (1910-1968), che a partire dal 1949 rappresentò un punto di riferimento per il laicismo e liberalismo italiani.

L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale [modifica]

Luigi Einaudi

Sotto la segreteria di Giovanni Malagodi il partito si orientò su posizioni più coerentemente liberiste, più vicine agli insegnamenti di Einaudi che di Croce, con una durissima e storica opposizione alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e in generale alla formula del Centrosinistra che condusse il Partito ad un periodo felice che vide molto salire i consensi. Il Partito liberale fu uno dei più strenui oppositori della riforma urbanistica ideata dal Ministro Fiorentino Sullo e che cercava di limitare gli effetti negativi della speculazione edilizia, fenomeno che si protrae ancora oggi. Questa nuova strategia politica non fu apprezzata da alcuni giovani liberali (fra cui Eugenio Scalfari e Marco Pannella), ispirati soprattutto dalla redazione del Mondo di Mario Pannunzio. Essi si staccarono dal PLI e fondarono il Partito Radicale nel 1955, su posizioni più laiciste.

Rimasto all'opposizione per tutti gli anni sessanta, il PLI subì poi una crisi elettorale che lo portò a diventare un partito marginale nello scacchiere politico italiano. Nel 1972 Malagodi si dimise dall'incarico di segretario, e dopo il crollo del 1976 (quando il PLI ottenne solo l'1,6% dei voti alle elezioni politiche) fu scelto come segretario Valerio Zanone.

L'adesione al pentapartito [modifica]

Negli anni ottanta il PLI fu parte del pentapartito, un'eterogenea coalizione di partiti che metteva insieme la Democrazia Cristiana (all'epoca dominata dalle correnti dorotee e più o meno di destra), il Partito Socialista Italiano, il PSDI e il PRI, uniti solamente dalla strenua volontà di escludere in ogni modo il PCI da qualunque ruolo di governo. La regione coi migliori risultati per il PLI fu il Piemonte, e in particolare la provincia di Cuneo, storico feudo elettorale di Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e, nell'ultimo terzo del XX secolo, Raffaele Costa.

Neanche sotto la segreteria di Zanone il PLI aumentò i suoi consensi, e nel 1985, dopo un ennesimo insuccesso elettorale, il vertice nazionale cambiò ancora: si successero alla segreteria Alfredo Biondi, Renato Altissimo (che portò il partito al 2,8% dei voti durante le elezioni politiche del 1992) e Raffaele Costa.

Lo scioglimento dopo Tangentopoli [modifica]

Partendo da dati elettorali e di militanza così esigui, era inimmaginabile che il PLI avrebbe resistito al ciclone Tangentopoli. Renato Altissimo fu costretto a dimettersi e al suo posto divenne segretario Raffaele Costa. La situazione era ormai difficile ed un congresso furente sancì lo scioglimento del partito il 6 febbraio 1994.

In realtà si trattava di riconoscere la fine di un partito ormai ridotto al minimo. Già nel corso del 1993 alcuni esponenti liberali avevano tentato, pur mantenendo l'appartenenza al partito, di ricostituire una presenza liberale sotto nuovi simboli e nuove formule.

Nel giugno 1993, il presidente dimissionario Valerio Zanone aveva dato vita all'Unione Liberaldemocratica, un movimento di ispirazione liberal-democratica, di stampo non conservatore. Analogamente il segretario in carica Raffaele Costa, sempre nel giugno 1993, aveva fondato l'Unione di Centro inteso a raggruppare attorno a sé l'elettorato moderato di centrodestra, alternativo alla sinistra. Alcuni esponenti del PLI inoltre, come Paolo Battistuzzi e Gianfranco Passalacqua, aderirono sempre nel corso del 1993 al progetto di Alleanza Democratica, con una collocazione più decisamente di centrosinistra.

Il giorno dopo lo scioglimento, alcuni esponenti dell'ex-PLI scelsero di dare vita a un coordinamento dei liberali ormai sparsi in diversi movimenti nella prospettiva di riunificare in futuro le diverse esperienze dei liberali: Raffaello Morelli (su posizioni più progressiste) con l'appoggio di Alfredo Biondi (su posizioni più moderate-conservatrici) fondò così la Federazione dei Liberali Italiani.

Il simbolo della Federazione dei liberale italiani

In occasione delle elezioni politiche del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani non si presentò unitariamente ma si limitò a stendere un documento di indirizzi politico-programmatici cui si invitavano ad aderire i diversi esponenti liberali candidati nei vari schieramenti: Costa e Biondi traghettarono la loro Unione di Centro (UdC), fondata l'anno prima – e da molti giudicata causa della presentazione da parte di Costa della mozione di scioglimento – verso il centrodestra, divenendo una forza del primo governo Berlusconi. Altri liberali come Zanone aderirono invece alla coalizione centrista del Patto per l'Italia e al progetto di Mario Segni, altri ancora scelsero di candidarsi autonomamente sotto le bandiere dei radicali (Lista Pannella e Riformatori).

Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, molti ex esponenti del PLI (come il prof. Antonio Martino, il prof. Carlo Scognamiglio, i consiglieri Gianfranco Ciaurro e Pietro Di Muccio) migrarono verso Forza Italia , che realizzava l'antica ambizione sonniniana [2]del "partito liberale di massa"; altri migrarono verso Alleanza Nazionale come Gabriele Pagliuzzi, Giuseppe Basini e Luciano Magnalbò.

Pochi mesi dopo alle elezioni europee del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani di Morelli spinse affinché fosse possibile, dato anche il sistema elettorale proporzionale, ripresentare una lista che unisse tutti i liberali al di là degli schieramenti e in nome dell'appartenenza al Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR). Tuttavia ciò non fu possibile: i liberali erano ormai dispersi per strade diverse e si rivelò impossibile una lista unitaria. La FdL si presentò comunque in 2 circoscrizioni ma non raccolse risultati significativi (0,16%).

Nel 1996, dopo le elezioni politiche, terminò la breve esperienza dell'UdC dell'ultimo segretario Costa, che confluì definitivamente in Forza Italia.

La diaspora liberale [modifica]

Dopo lo scioglimento del PLI, uomini politici liberali si possono trovare in vari partiti italiani.

* Nel 2004 è stato rifondato un nuovo Partito Liberale Italiano sotto la guida di Stefano De Luca (ex-Forza Italia), con vari esponenti ex-PLI come Giuseppe Basini, Renato Altissimo, Gian Nicola Amoretti (presidente dell'Unione Monarchica Italiana), Attilio Bastianini, Salvatore Grillo, Savino Melillo, Carla Martino. Il PLI è rappresentato in Parlamento da Paolo Guzzanti .

* Alcuni liberali fanno parte del Popolo delle Libertà, come il governatore del Veneto Giancarlo Galan, l'associazione Liberalismo Popolare di Raffaele Costa e Alfredo Biondi, il movimento dei Riformatori Liberali e alcuni uomini iscritti ad Alleanza Nazionale come Enzo Savarese e Luciano Magnalbò. In particolare questi liberali si rifanno alle moderne ideologie del conservatorismo liberale, del liberalismo nazionale e del liberismo economico. Molti liberali del PDL sono dentro il Parlamento,come Antonio Martino o Benedetto Della Vedova .

* Altri liberali fanno parte del Partito Democratico, come per esempio Federico Orlando, Giovanni Marongiu e Valerio Zanone. Questi liberali si rifanno soprattutto a correnti del liberalismo quali il socialismo liberale, il liberalismo sociale e il liberalismo progressista.

* Alcuni liberali, a livello locale, sono entrati nel movimento politico della Lega Nord, come l'ex presidente della provincia di Vicenza Manuela Dal Lago.

* Alcuni liberali sono membri della Destra Liberale Italiana (più spostata a destra rispetto al Partito Liberale attuale),altri membri di partiti liberali regionali si sono riuniti in un Coordinamento dei Liberali Italiani.

 

Risultati elettorali [modifica]

– Partito Liberale Italiano alle Elezioni politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1946 (nell'UDN)

 

1948 (nel BN)

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

1.560.638

1.003.727

1.216.934

816.287

695.985

1.046.939

1.008.830

2.143.954

2.028.379

1.851.060

1.936.943

1.297.105

1.316.058

478.335

436.751

712.646

691.464

1.066.980

834.228

810.216

700.330

1.121.264

937.709

6,78

3,82

6,20

3,01

2,86

3,54

3,86

6,97

7,38

5,82

6,77

3,88

4,37

1,3

1,4

1,94

2,21

2,89

2,68

2,1

2,16

2,86

2,82

33

15

10

13

3

17

4

39

18

31

16

20

8

5

2

9

2

16

6

11

3

17

4

 

– Partito Liberale Italiano alle Elezioni europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984 (col PRI)

1989 (col PRI e PR) Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 1.270.152

2.136.075

1.533.053 3,63

6,09

4,40 3

5

4

Segretari [modifica]

* Alberto Giovannini (ottobre 1922 - 1924)

* Quintino Piras (1924- novembre 1926)

 

* Giovanni Cassandro (aprile-giugno 1944)

* Manlio Brosio (giugno-dicembre 1944)

* Leone Cattani (dicembre 1944 - dicembre 1945)

* Triumvirato dei vicesegretari Giovanni Cassandro, Anton Dante Coda e Francesco Libonati (dicembre 1945 - dicembre 1947)

* Roberto Lucifero (dicembre 1947 - ottobre 1948)

* Bruno Villabruna (ottobre 1948 - febbraio 1954)

* Alessandro Leone di Tavagnasco (febbraio-aprile 1954)

* Giovanni Malagodi (aprile 1954 - luglio 1972)

* Agostino Bignardi (luglio 1972 - febbraio 1976)

* Valerio Zanone (febbraio 1976 - luglio 1985)

* Alfredo Biondi (luglio 1985 - maggio 1986)

* Renato Altissimo (maggio 1986 - maggio 1993)

* Raffaele Costa (maggio 1993 - febbraio 1994).

Congressi [modifica]

* I Congresso - Bologna, 8-10 ottobre 1922

* II Congresso - Livorno, 4-7 ottobre 1924

* III Congresso - Roma, 29 aprile - 3 maggio 1946

* IV Congresso - Roma, 30 novembre - 3 dicembre 1947

* V Congresso - Roma, 9-11 luglio 1949

* VI Congresso - Firenze, 23-26 gennaio 1953

* VII Congresso - Roma, 13 dicembre 1955

* VIII Congresso - Roma, 29 novembre - 1ş dicembre 1958

* IX Congresso - Roma, 5-8 aprile 1962

* X Congresso - Roma, 4-8 febbraio 1966

* XI Congresso - Roma, 7-12 gennaio 1969

* XII Congresso - Firenze, 9-15 gennaio 1971

* XIII Congresso - Roma, 7-11 febbraio 1973

* XIV Congresso - Roma, 18-23 aprile 1974

* XV Congresso - Napoli, 7-11 aprile 1976

* XVI Congresso - Roma, 24-28 gennaio 1979

* XVII Congresso - Firenze, 18-22 novembre 1981

* XVIII Congresso - Torino, 29 marzo - 1ş aprile 1984

* XIX Congresso - Genova, 22-25 maggio 1986

* XX Congresso - Roma, dicembre 1988

* XXI Congresso - Roma, 9-12 maggio 1991

* XXII Congresso - Roma, 5-6 febbraio 1994 - Liberali sempre, per una federazione di liberali italiani

Note [modifica]

1. ^ Partito Liberale Italiano - La storia - RaiNet - News

2. ^ Il 16 settembre 1901, nell’editoriale Questioni urgenti scritto per il suo quotidiano, Il Giornale d’Italia, Sonnino propone il partito liberale di massa: cfr. ((http://www.cielilimpidi.com/?p=382)).

Collegamenti esterni [modifica]

* Articolo sulla storia del PLI

* La Fondazione Einaudi di Roma, che conserva parte dell'archivio storico dei segretari del PLI

* Liberalismo e PLI sul sito di Alleanza Cattolica

 

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

 

 

 

 

Partito Repubblicano Italiano

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Partito Repubblicano Italiano

Partito politico italiano

Segretario Francesco Nucara

Vicesegretario Corrado De Rinaldis Saponaro

Luca Ferrini

Gianfranco Polillo

Fondazione 12 aprile 1895

Sede Corso Vittorio Emanuele II

n.326, 00186 Roma

Coalizione Pentapartito (1981-1991)

Patto per l'Italia (1994)

L'Ulivo (1996)

CdL (2001-2006)

PdL-LN-MpA (2008)

Ideologia Liberalismo sociale, Laicismo,

Repubblicanesimo, Atlantismo

Partito europeo Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori

Gruppo parlamentare europeo Gruppo del Partito Europeo

dei Liberali, Democratici e Riformatori (1953-1999)

Deputati 2

Senatori 0

Europarlamentari 0

Organo ufficiale La Voce Repubblicana

Iscritti 12.000 (2005)

Sito web www.pri.it

" Il PRI è un piccolo partito di massa "

(Palmiro Togliatti)

Il Partito Repubblicano Italiano (PRI) è il più antico partito politico italiano[1] essendo l'unico ad aver sempre mantenuto immutati nome, simbolo (una foglia di edera) e le basi ideologiche fondate sul pensiero di Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini[2]. Il PRI è un partito laico e di sinistra, ma non marxista, così lo definì Ugo La Malfa. In economia liberalsociale e in politica estera atlantista.

Il primo congresso ufficale si svolse a Bologna il 12 aprile del 1895, ma la data di nascita del partito può essere fatta risalire a prima del 1861, con il Patto di Fratellanza e la nascita dell'organo di stampa ufficiale dei Repubblicani italiani: L'Unità Italiana; poi con il primo congresso della Federazione dei Movimenti Democratici Italiani, svoltosi a Parma nel 1866, che fu il nucleo e la base del PRI.[3]

Il suo attuale segretario nazionale è Francesco Nucara.

In Europa il PRI è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR) ed è stato presente all'interno delle assemblee parlamentari comunitarie come membro del Gruppo del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori dal 1953 fino al 1999.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Il Risorgimento e l'Unità d'Italia

o 1.2 La fine dell'astensionismo e la nascita del Partito Repubblicano Italiano

o 1.3 La Prima guerra mondiale e l'avvento del fascismo

o 1.4 L'antifascismo, la Resistenza e il CLN

o 1.5 L'Assemblea Costituente e il centrismo

o 1.6 Anni Sessanta e Settanta: la guida di Ugo La Malfa

o 1.7 Anni Ottanta: Spadolini al Governo e la nascita del Pentapartito

o 1.8 1991-1994: Giorgio La Malfa segretario, il Patto e la diaspora

o 1.9 1995-2001: nel centro-sinistra con l'Ulivo

o 1.10 2001-2006: nel centro-destra di Berlusconi e la scissione dei Repubblicani Europei

o 1.11 Dal 2006: all'opposizione e l'adesione al PdL

* 2 Valori

* 3 Risultati elettorali

* 4 Governi italiani cui ha preso parte il PRI

* 5 Segretari

* 6 Congressi

* 7 Note

* 8 Bibliografia

* 9 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Il Risorgimento e l'Unità d'Italia [modifica]

Giuseppe Mazzini

Come il PLI e il Partito Radicale, anche il PRI affonda le proprie radici politiche, culturali, ideali nel Risorgimento, per la precisione nel filone democratico, mazziniano, radicale e rivoluzionario, i cui massimi rappresentanti sono stati Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Carlo Pisacane e Aurelio Saffi.

I repubblicani, in contrapposizione con i moderati raccolti attorno alla monarchia dei Savoia e Cavour, si opponevano alla guerra regia, ai plebisciti, alle annessioni e alla piemontesizzazione dell'Italia, sostenendo invece la necessità di una sollevazione del popolo per conseguire l'Unità, un'Assemblea Costituente, il suffragio universale in luogo di quello ristretto e censitario.

Negli anni immediatamente successivi all'Unità i repubblicani, visto il trionfo e l'egemonia dei moderati, si estraniarono dalla vita politica, predicando l'astensionismo elettorale. Ciò non comportò certo l'inattività politica, anzi: i repubblicani furono in prima fila nel reclamare una soluzione decisa per l'unione all'Italia del Veneto e di Roma, e diedero vita alle prime organizzazioni del movimento dei lavoratori (associazioni operaie, casse mutue, cooperative, scuole popolari). Nel 1871, per iniziativa di Mazzini, venne fondato a Roma il Patto di fratellanza tra le Società operaie. La morte di Mazzini, l'anno seguente, e la propaganda degli Internazionalisti, misero in difficoltà i repubblicani, che tuttavia riuscirono a mantenere un radicamento a livello locale e popolare anche se limitato alla Romagna, alle Marche, all'Umbria, al litorale toscano e al Lazio, che rimarranno sempre le roccaforti repubblicane.

La fine dell'astensionismo e la nascita del Partito Repubblicano Italiano [modifica]

L'astensionismo elettorale rischiava di isterilire l'azione politica dei repubblicani, così venne deciso, in occasione delle elezioni politiche del 1880, di partecipare alle consultazioni elettorali. La composizione sociale dei deputati repubblicani era molto eterogenea, comprendendo sia piccoloi borghesi, come Giovanni Bovio e Napoleone Colajanni, ma anche operai, come Valentino Armirotti.

Nel 1895 si costituì ufficialmente come forza politica organizzata con strutture permanenti. La fine secolo vede il PRI stipulare alleanze con i socialisti e con i radicali, grazie alle quali conquista il governo di grandi città come Milano, Firenze, Roma, ma ciò non porta alla formazione di un grande partito democratico di sinistra, perché da una parte i socialisti vedono ascendere alla guida del loro partito i massimalisti, incompatibili con le forze laiche e progressiste borghesi, e dall'altra gli stessi repubblicani non possono vantare un radicamento nelle masse come i socialisti; così repubblicani e radicali rimasero partiti elitari, destinati quindi a rimanere marginali nell'epoca della società di massa.

La decisione inoltre di non partecipare ai governi, fino al 1909, impedì al PRI di dare seguito alle sue enunciazioni programmatiche, in particolare la lotta ai monopoli e il riscatto del Mezzogiorno e il PRI finì così per lasciarsi coinvolgere nel sistema trasformista giolittiano.

La Prima guerra mondiale e l'avvento del fascismo [modifica]

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il PRI si schierò dalla parte degli interventisti, collocandosi nel filone democratico-irredentista; obiettivo dei repubblicani era correre in aiuto della Francia (considerata la patria dei diritti dell'uomo) contro gli Imperi centrali tedesco e austriaco (visti come gli emblemi dell'autoritarismo e della reazione), nonché per riunire all'Italia Trento e Trieste.

Dopo la guerra il PRI ritentò un accordo con le altre forze di sinistra al Convegno di Firenze del 1918, ma fallì perché il PSI era ormai sotto il controllo dei massimalisti. Nel 1921 Pietro Nenni uscì dal PRI per entrare nel PSI. Il Fascismo nascente mise nel mirino tutti i partiti antifascisti, e tra loro anche il PRI, che sarà messo fuori legge nel 1926.

L'antifascismo, la Resistenza e il CLN [modifica]

Molti esponenti e militanti repubblicani vennero arrestati o inviati al confino, altri dovettero recarsi in esilio. Il PRI si impegnò nella lotta antifascista, invitando i suoi aderenti ad entrare nel movimento Giustizia e Libertà. Nel 1927 aderì alla Concentrazione Antifascista. Il PRI fu anche in prima fila durante la guerra civile spagnola (comandante del Battaglione Garibaldi era Randolfo Pacciardi), raccogliendo per primo il celeberrimo appello di Carlo Rosselli Oggi in Ispagna, domani in Italia!. L'occupazione tedesca della Francia, dove si erano rifugiati numerosi antifascisti, mise in difficoltà i già complicati rapporti tra i vari esponenti del PRI. La lotta contro il nazifascismo vide la partecipazione dei repubblicani, attraverso le proprie formazioni armate, le Brigate Mazzini, ma anche nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Alcuni repubblicani manifestarono, perciò, l'intenzione di entrare nel Partito d'Azione, ma prevalse la tendenza a ricostituire il partito, sostenuta dagli esponenti storici Giovanni Conti, Cipriano Facchinetti, Oliviero Zuccarini e Cino Macrelli.

Pur facendo parte dei Comitati di Liberazione Nazionale provinciali delle zone occupate dai nazifascisti, per non compromettere l'unità della lotta, il PRI rimase fuori dai governi del CLN, avendo posto un'imprescindibile pregiudiziale repubblicana contro i Savoia, considerati complici del fascismo, oltre che per l'avversione all'istituto monarchico in sé.

L'Assemblea Costituente e il centrismo [modifica]

Carlo Sforza

Presentatosi all'elezione dell'Assemblea Costituente nel 1946 il PRI ottenne il 4,4%, confermandosi forte nelle regioni dove tradizionalmente già lo era e di scarso seguito dove erano forti la DC e i partiti marxisti. Caduta la Monarchia, il PRI vedeva soddisfatta la sua pregiudiziale fondamentale ed entrava nel governo formato dai partiti di massa e guidato da Alcide De Gasperi. Il repubblicano Carlo Sforza, Ministero degli Esteri dal 1947 al 1948, firmò il Trattato di pace con gli alleati e contribuì all’adesione dell’Italia al Piano Marshall, al Patto Atlantico (4 aprile 1949) e al Consiglio d'Europa (5 maggio 1949); condusse anche i negoziati e firmò per l'Italia il 18 aprile 1951 il trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA).

Nell'autunno del 1946 confluisce nel PRI la Concentrazione Democratica Repubblicana guidata da Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, usciti dal Partito d'Azione nel febbraio insieme a Oronzo Reale e Michele Cifarelli.

Al XIX Congresso del 1947 si scontrarono due tendenze, quella del segretario Randolfo Pacciardi, favorevole ad una collaborazione al governo col PCI, e quella di Conti e Facchinetti, che invece riteneva il PCI responsabile dell'inefficienza del governo e voleva interrompere la collaborazione. Prevalse quest'ultima tendenza e il PRI ritirò i propri ministri dal governo. Ciononostante Pacciardi, confermato segretario, rifiutò l'anticomunismo e la divisione in blocchi della guerra fredda, e non fece entrare il partito nel IV governo De Gasperi che escludeva le sinistre. Ma il radicalizzarsi della politica del PCI in ossequio alle nuove direttive di Mosca, convinse il PRI ad entrare nel governo, cosa che avvenne nel dicembre del 1947.

Le elezioni del 1948 vedono quindi il PRI saldamente schierato nel campo della democrazia occidentale a fianco della Democrazia Cristiana, ma anche un cattivo risultato: il 2,5% dei voti. L'alleanza con il centrismo dura fino al 1957, quando i repubblicani ritirano l'appoggio esterno al governo Segni; Randolfo Pacciardi, messo in minoranza, lascia la direzione del partito. Nel 1959 Ugo La Malfa assume la direzione de "La Voce Repubblicana" e nel 1965 diventa segretario del partito.

Anni Sessanta e Settanta: la guida di Ugo La Malfa [modifica]

Dai primi anni sessanta il PRI rientra stabilmente nella maggioranza di governo. Amintore Fanfani e La Malfa lanciano: la nazionalizzazione delle industrie elettriche; l'imposta cedolare d'acconto (il repubblicano Bruno Visentini ebbe un ruolo importante nella preparazione tecnica di questa imposta); la Commissione della programmazione economica. Infine, per affrontare la questione degli squilibri settoriali e territoriali, Ugo La Malfa propone per primo l'avvio di una politica dei redditi. Tale collaborazione andrà in crisi nel 1974, per dissidi in materia di politica economica. In quell'anno, infatti, La Malfa esce, e con lui il PRI, dalla maggioranza per insanabili divergenze sulla politica economica col ministro del Bilancio.

Nei primi mesi del 1979, il capo dello Stato affida a Ugo La Malfa l'incarico di formare il nuovo governo. È la prima volta dal 1948 che un politico non democristiano riceve l'incarico. Il tentativo però non riesce, e il 21 marzo viene varato il quinto governo Andreotti, del quale la Malfa è comunque vicepresidente. Cinque giorni dopo La Malfa muore, colto da un male improvviso. In settembre il Pri elegge Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini segretario del partito.

Anni Ottanta: Spadolini al Governo e la nascita del Pentapartito [modifica]

Giovanni Spadolini

Negli anni ottanta Spadolini prima e il figlio di Ugo, Giorgio La Malfa poi, legano il PRI al Pentapartito, alleanza formata da DC, PSI, PSDI, PLI e quindi PRI, che dal 1983 al 1990 governa l'Italia. Il PRI romperà con la maggioranza solo nel 1991 in merito alla Legge Mammì sulle telecomunicazioni. Secondo gli accordi del Pentapartito la DC sarà il partito egemone, ma il presidente del consiglio potrà essere anche un non democristiano.

Nel giugno del 1981 così Giovanni Spadolini fu nominato Presidente del Consiglio dei Ministri, il primo non democristiano della storia dell'Italia repubblicana. Il 21 gennaio Spadolini presiedette a Palazzo Chigi una riunione operativa a cui parteciparono i responsabili delle forze dell'ordine, dove denunciò l'intreccio perverso fra mafia, camorra e terrorismo e a breve il Parlamento approvò il disegno di legge presentato dal governo per l'attuazione del divieto costituzionale delle associazioni segrete; fu sciolta la loggia P2. Lo Spadolini I però durò poco e terminò nell'estate del 1982. Nell'agosto di quell'anno Spadolini ricostituì un governo perfettamente identico al precedente, lo Spadolini-bis detto dai giornali governo fotocopia, ma in novembre dovette dimettersi a causa della lite tra i due ministri Beniamino Andreatta, del Tesoro, e Rino Formica, delle Finanze, che sarà detta "lite delle comari". Grazie al cosiddetto "effetto Spadolini" alle elezioni politiche anticipate del 1983, per la prima volta nella sua storia, il PRI superò il 5% dei voti alla Camera dei Deputati; in alcune grandi città come Torino divenne il terzo partito, dietro DC e PCI, ma davanti ai socialisti.

Nella successiva legislatura, con Craxi presidente del consiglio, Spadolini ricoprì la carica di Ministro della Difesa dal 1983 al 1987. Fu quindi uno dei protagonisti della crisi di Sigonella, su posizioni atlantiste e quindi in constrasto rispetto a quelle filo-palestinesi di Craxi.

Nel luglio 1987, all'indomani delle elezioni politiche del 14 giugno, Giovanni Spadolini viene eletto alla carica di presidente del Senato. Il 12 settembre dello stesso anno il Consiglio nazionale elegge il suo successore: il nuovo segretario politico del PRI è Giorgio La Malfa.

1991-1994: Giorgio La Malfa segretario, il Patto e la diaspora [modifica]

La Malfa porta i repubblicani all'opposizione, non partecipando al governo Andreotti VII (1991), ma, dopo lo scoppio di Tangentopoli, lo stesso La Malfa risulterà indagato e lascerà l'incarico di segretario che sarà assunto per qualche mese da Giorgio Bogi. Bogi mira a guidare il partito all'interno di una più ampia coalizione di centrosinistra in Alleanza Democratica, ma la linea non è condivisa da tutto il partito.

PATTO SEGNI.jpg

Nel gennaio 1994, con La Malfa tornato segretario, il partito sceglie di collocarsi al centro, nella coalizione del Patto per l'Italia di Segni e Martinazzoli. Nella quota maggioritaria però nessun seggio va ai repubblicani, che scelgono di candidare solo nomi nuovi (tra questi Denis Verdini, Giannantonio Mingozzi, Piero Gallina, Mauro Fantini, lo stesso segretario La Malfa non si candida). Nella quota proporzionale il PRI presenta candidati nelle liste del Patto Segni e risulta eletta solo una esponente repubblicana, Carla Mazzuca Poggiolini. L'ipotesi centrista di fatto fallisce.

Con la discesa in campo di Berlusconi molti ex-repubblicani aderiscono a Forza Italia. Ha inizio una diaspora repubblicana:

* aderiscono a Forza Italia: Piergiorgio Massidda, Luigi Casero, Guglielmo Castagnetti, Jas Gawronski, Mario Pescante, Denis Verdini e Alberto Zorzoli;

* Giorgio Bogi lascia il partito e rimane in Alleanza Democratica, successivamente fonda il movimento della Sinistra Repubblicana che confluirà nei Democratici di Sinistra con altri illustri repubblicani (Stelio De Carolis, Antonio Duva, Andrea Manzella, Libero Gualtieri e Stefano Passigli);

* nel corso degli anni '90 altri esponenti repubblicani si collocano in formazioni di centrosinistra: Antonio Maccanico prima fonda l'Unione Democratica poi confluisce ne i Democratici, ai quali aderisce anche il sindaco di Catania Enzo Bianco.

Alle elezioni europee del 1994 il PRI si ripresenta col proprio simbolo e raccoglie lo 0,7% dei voti che consentono al segretario La Malfa di entrare nell'europarlamento e collocandosi del Gruppo del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori.

1995-2001: nel centro-sinistra con l'Ulivo [modifica]

Nel 1995 il PRI entra nell'Ulivo. Preso atto dell'impossibilità di dar vita a un'alternativa centrista, il Partito Repubblicano, così come il Partito Popolare Italiano, decide di avvicinarsi alle forze di centro-sinistra con l'intento di creare uno schieramento di unità nazionale che sappia affrontare i problemi del paese. Nel frattempo in Parlamento La Malfa riesce a ricostituire una piccola presenza repubblicana: due deputati di origine repubblicana, eletti nelle file dei Progressisti, accettano di tornare nel PRI: si tratta di Luciana Sbarbati e Denis Ugolini. La deputata Carla Mazzuca Poggiolini invece non accetta di lasciare Segni e quindi esce dal partito.

Alle elezioni politiche del 1996, il PRI si presenta quindi nell'alleanza di centrosinistra nel maggioritario detta L'Ulivo Alleanza per il Governo e con la lista Popolari per Prodi composta da Partito Popolare Italiano, Unione Democratica e Südtiroler Volkspartei nella quota proporzionale, sostenendo la candidatura di Romano Prodi a Presidente del Consiglio dei Ministri. Due sono i deputati eletti: Luciana Sbarbati e Giorgio La Malfa, che subito abbandonano il progetto dell'Unione Democratica di Maccanico (cui aderivano anche Alleanza Democratica e i liberali di Valerio Zanone) e scelgono di andare nel gruppo misto.

Nel corso della legislatura poi i due deputati repubblicani si uniranno al gruppo di Rinnovamento Italiano per poi distaccarsene formando un piccolo gruppo denominato Federalisti, Liberaldemocratici e Repubblicani con l'adesione al partito anche del deputato Gian Antonio Mazzocchin.

Nel 1997-98 tra gli esponenti ex-repubblicani che non accettano la scelta di centro-sinistra del partito nasce un piccolo movimento guidato da Armando Corona, denominato Unità Repubblicana (adotta come simbolo tre foglie di edera, una verde, una bianca e una rossa), che si colloca nel centro-destra. Il movimento nel 1998 aderirà per breve tempo al progetto dell'Unione Democratica per la Repubblica), ma se ne distaccherà dopo la scelta dell'UDR a favore del Governo D'Alema I, confermando una scelta di centro-destra.

Alle elezioni europee del 1999 il PRI si allea con la Federazione dei Liberali Italiani, ottenendo lo 0,54 % dei voti ed eleggendo Luciana Sbarbati.

2001-2006: nel centro-destra di Berlusconi e la scissione dei Repubblicani Europei [modifica]

A fine legislatura (dopo cinque anni di governi dell'Ulivo a guida Prodi, D'Alema e Amato) il PRI cambia schieramento: il XLII congresso del partito, a Bari nel gennaio del 2001, decreta l'adesione alla coalizione di centrodestra, mentre un ingresso ufficiale nella CdL non fu mai formalmente ratificato. Luciana Sbarbati, in aperta polemica con questa decisione, esce dal partito alla guida di un piccolo gruppo di scissionisti (5% dei voti congressuali) che daranno vita al Movimento Repubblicani Europei, alleato del centrosinistra. Alla scissione a sinistra corrisponde anche un recupero a destra: riconfluiscono nel PRI gli esponenti del movimento di Unità Repubblicana.

Il 6 ottobre 2001 Giorgio La Malfa, dopo 14 anni, lascia la segreteria del partito per assumerne la presidenza. Il consiglio nazionale elegge nuovo segretario nazionale Francesco Nucara.

Ad ottobre del 2002 il XLIII Congresso nazionale che si svolge a Fiuggi conferma le scelte del congresso di Bari e la collocazione del partito nell'alleanza della CdL. A giugno del 2003, riprendono le pubblicazioni de La Voce Repubblicana, sotto la direzione di Francesco Nucara. Nel maggio 2004 il tribunale di Roma annulla temporaneamente i risultati del congresso del 2001 per un presunto mancato rispetto dello statuto del partito. Tali risultati, confermati dal successivo congresso di Fiuggi, saranno infine convalidati dal tribunale.

Nell'aprile 2005 La Malfa e Nucara vengono rispettivamente nominati Ministro per le Politiche Comunitarie il primo e vice-ministro per l'Ambiente il secondo nel nel Governo Berlusconi III. Nell'ottobre 2005, all'indomani dell'approvazione della nuova legge elettorale proporzionale, il PRI contesta alcuni aspetti della normativa e cala il gelo nei rapporti con gli alleati, in attesa della conferenza programmatica del 3 febbraio 2006, dove interviene lo stesso Berlusconi ed il PRI riconferma l'alleanza con la CdL ed avvia un legame elettorale con Forza Italia.

Nel 2006 il PRI ottiene il riconoscimento dell'esclusività del simbolo dell'edera: il Tribunale di Roma emette un'ordinanza vietando al Movimento Repubblicani Europei e ai Repubblicani Democratici l'uso contemporaneo del simbolo dell'edera e della parola Repubblicani, che resta diritto esclusivo del PRI; il 20 febbraio 2008, il MRE rinuncerà al ricorso contro la sentenza con cui il Tribunale di Roma respingeva la richiesta, fatta dallo stesso Movimento, di annullamento del Congresso di Bari.[4]

Dal 2006: all'opposizione e l'adesione al PdL [modifica]

In occasione delle elezioni del 2006 si crea un rapporto elettorale tra PRI e Forza Italia, che gli garantisce un diritto di rappresentanza parlamentare ospitando candidati repubblicani in proprie liste alla Camera dei Deputati. Al Senato, il PRI si presenta in alcune regioni con liste e simbolo propri, ma vi è comunque un candidato nelle liste di FI, il senatore uscente Antonio Del Pennino, nella circoscrizione regionale della Lombardia. Il PRI elegge i due deputati repubblicani inseriti a fini elettorali nelle liste di FI: il presidente La Malfa e il segretario Nucara, ma anche il senatore Antonio Del Pennino (dopo la rinuncia all'elezione di Roberto Formigoni in quanto presidente della Regione Lombardia), il 12 luglio 2006 rientra in Senato.

In occasione del referendum costituzionale del giugno 2006 Giorgio La Malfa, contrario alla riforma costituzionale, si dissocia dalla delibera della maggioranza della direzione nazionale che dà indicazione di seguire l'orientamento della CdL di votare sì e si dimette dalla presidenza; il partito, pur avendo dato indicazione di voto, aveva comunque lasciato libertà di scelta ai propri iscritti.

Il 16 marzo 2007 si forma la componente politica Repubblicani, Liberali, Riformatori nel Gruppo Misto alla Camera dei Deputati e vi aderiscono i deputati del PRI, Giorgio La Malfa e Francesco Nucara, e Giovanni Ricevuto, eletto in Forza Italia per il Nuovo PSI e non legato ad alcun partito. Il 18 marzo viene stipulato un patto federativo, poi confermato dai rispettivi congressi, tra il PRI e il Partito Liberale Italiano, nella logica della comune appartenenza al Partito ELDR, per promuovere liste comuni per le prossime elezioni.

Francesco Nucara e Luciana Sbarbati durante la lettura del documento comune Pri-Mre, 28 febbraio 2009

Il XLV Congresso, tenutosi a Roma dal 30 marzo al 1ş aprile 2007, riconferma i vertici del partito e mantiene una netta opposizione al governo Prodi, tendente però a esaltare l'autonomia e peculiarità del partito rispetto agli attuali schieramenti bipolari, sancendo quindi anche un allentamento dei rapporti con la CdL. La mozione finale viene approvata all'unanimità, senza opposizione interna; l'unica che sarebbe potuta crearsi era quella di una parte di Riscossa repubblicana, che aveva tentato di presentare una mozione, ma non aveva raggiunto il quorum necessario. Nucara tentò la riconciliazione cooptando i dissidenti nel Consiglio nazionale.

Per le elezioni del 2008, il PRI ha inserito tre propri candidati nelle liste de Il Popolo della Libertà (come già accaduto nel 2006 con FI) mantenendo però totale autonomia. Il risultato elettorale ha visto rieletti i due deputati repubblicani uscenti La Malfa e Nucara. All'avvio dei lavori parlamentari, Nucara si è iscritto al gruppo parlamentare misto, mentre La Malfa, per ragioni di opportunità concernenti la formazione delle commissioni parlamentari, si è provvisoriamente iscritto al gruppo del PdL; settembre 2008 anche Giorgio La Malfa è passato al gruppo misto nella componente Liberaldemocratici-Repubblicani. Al congresso fondativo de Il Popolo della Libertà del marzo del 2009 il PRI vi partecipa, ma solo come alleato, non sciogliendosi all'interno del nuovo partito unico del centro-destra.

All'indomani della modifica della legge elettorale per le elezioni europee, che prevede lo sbarramento al 4%, il Movimento dei Repubblicani Europei, guidato da Luciana Sbarbati, tenta un riavvicinamento al PRI. [5]. Al congresso del MRE, a Roma tra 28 febbraio e 1 marzo 2009, viene letto un documento comune nel quale i due partiti si impegnano a prendere posizioni comuni nei due rami del Parlamento.

Il 13 maggio, contestualmente all'accordo elettorale intervenuto tra LD e MAIE e alla costituzione della componente Liberaldemocratici-MAIE del gruppo misto alla camera, i deputati repubblicani costituiscono con Mario Baccini la componente del gruppo misto denominata Repubblicani Regionalisti Popolari.

Valori [modifica]

" Aderiscono al Partito Repubblicano Italiano tutti i cittadini maggiorenni che si riconoscono negli insegnamenti della scuola repubblicana, da Giuseppe Mazzini a Carlo Cattaneo, da Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini; nelle lotte del Risorgimento e della Resistenza e nello sforzo di realizzazione di una società basata sul rispetto dei diritti individuali, sulla responsabilità civica, sulla democrazia come metodo per la scelta del governo. "

(dall'art. 1 dello statuto del P.R.I.)

Il PRI è un partito di centro-sinistra, non marxista. In quanto repubblicano, fu fin dalle sue origini anti-monarchico e promotore di un'assemblea costituente. È laico, difensore della divisone tra Stato e Chiesa. Fa riferimento al Liberalismo e soprattutto alla sua componente sociale, il Liberalismo sociale. In politica estera è un convinto atlantista. Come dice il suo statuto, il partito ha realizzato collegamenti internazionali con partiti e movimenti politici che si muovono nell'ambito della tradizione liberaldemocratica. Infatti è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori e i suoi europarlamentari hanno sempre aderito ai gruppi di matrice liberale all'interno delle assemblee comunitarie.

Risultati elettorali [modifica]

Anno Lista Voti % Seggi

Politiche 1897 PRI - 4,92 25

Politiche 1900 PRI - 5,71 29

Politiche 1904 PRI - 4,72 24

Politiche 1909 PRI - 4,72 24

Politiche 1913 PRI - 3,5 17

Politiche 1919 PRI 53.197 0,9 4

Politiche 1921 PRI 120.000 ca 1,9 6

Politiche 1924 PRI 133.714 1,9 7

Costituente 1946 PRI 1.003.007 4,4 23

Politiche 1948 Camera PRI 652.477 2,5 9

Senato PRI 605.192 2,6 8[6]

Politiche 1953 Camera PRI 437.988 1,6 5

Senato PRI 261.713 1,1 0

Politiche 1958 Camera PRI-Partito Radicale 405.574 1,4 8

Senato PRI-Partito Radicale 367.340 1,4 0

Politiche 1963 Camera PRI 420.419 1,4 6

Senato[7] PRI 231.599 0,8 0

Politiche 1968 Camera PRI 626.567 2,0 9

Senato PRI 622.420 2,2 2

Politiche 1972 Camera PRI 954.597 2,9 15

Senato PRI 918.397 3,1 15

Politiche 1976 Camera PRI 1.134.936 3,0 14

Senato PRI 846.415 2,7 6

Politiche 1979 Camera PRI 1.110.209 3,0 16

Senato PRI 1.053.251 3,4 6

Europee 1979 PRI 895.558 2,6 2

Politiche 1983 Camera PRI 1.874.512 5,1 29

Senato PRI 1.452.279 4,7 10

Europee 1984 PRI-PLI 2.136.075 6 5

Politiche 1987 Camera PRI 1.429.628 3,7 21

Senato PRI 1.248.641 3,9 8

Europee 1989 PRI-PLI-Federalisti 1.533.053 4,4 4

Politiche 1992 Camera PRI 1.722.465 4,4 27

Senato PRI 1.565.142 4,7 10

Politiche 1994 Camera Patto Segni - - 8

Senato Patto per l'Italia - - 7

Europee 1994 PRI 223.099 0,7 1

Politiche 1996 Camera Popolari per Prodi - - 2

Senato L'Ulivo - - 2

Europee 1999 PRI-FdL 168.620 0,5 1

Politiche 2001 Camera Forza Italia - - 1

Senato Casa delle Libertà - - 1

Europee 2004 PRI-Liberal Sgarbi 232.799 0,7 0

Politiche 2006 Camera Forza Italia - - 2

Senato[8] PRI 45.098 0,13 1

Politiche 2008 Camera PDL - - 2

Senato PDL - - 0

Governi italiani cui ha preso parte il PRI [modifica]

* Governo Boselli

o Alfredo Comandini, Ministro senza portafoglio alla Propaganda bellica

* Governo De Gasperi IV

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Giuseppe Facchinetti al Ministero della Difesa

* Governo De Gasperi V

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Randolfo Pacciardi al Ministero della Difesa

* Governo De Gasperi VI

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Ugo La Malfa è Ministro senza portafoglio, col compito di procedere alla riorganizzazione dell'IRI

* Governo De Gasperi VII

o Ugo La Malfa è Ministro per il Commercio Estero

* Governo Fanfani IV (1960-1962)

o Ugo La Malfa è Ministro del Bilancio e della programmazione economica.

* Governo Rumor IV (1973-74)

o Ugo La Malfa Ministro del Tesoro (fino al 28/02/1974)

* Governo Moro IV (novembre 1974-gennaio 1976)

o Bruno Visentini Ministro delle Finanze

o Giovanni Spadolini Ministro dei Beni Culturali e Ambientali (primo della storia)

* Governo Andreotti V (marzo-aprile 1979)

o Ugo La Malfa Vicepresidente del Consiglio e Ministro del Bilancio.

o Bruno Visentini al Bilacio dopo la scomparsa di La Malfa del 26/3/1979

o Giovanni Spadolini Ministro della Pubblica Istruzione (primo non DC della storia repubblicana)

* Governi Spadolini I e Spadolini II (1981-1982)

o Il primo governo della Repubblica non guidato dalla DC.

* Governi Craxi I e Craxi II (1983-1987)

o Bruno Visentini ministro delle Finanze

o Giovanni Spadolini Ministro della Difesa

* Governo Andreotti VI (luglio 1989-marzo 1991)

o Antonio Maccanico Riforme istituzionali

o Adolfo Battaglia all'Industria

o Oscar Mammì alle Poste e telecomunicazioni.

* Governo Dini (gennaio 1995-maggio 1996)

o Guglielmo Negri sottosegretario alla Presidenza per i rapporti con il parlamento.

* Governo Prodi I (maggio 1996-ottobre 1998)

o Giovanni Marongiu sottosegretario al Ministero delle Finanze.

* Governo Berlusconi II (giugno 2001-aprile 2005)

o Francesco Nucara, sottosegretario al Ministero dell'Ambiente.

* Governo Berlusconi III (aprile 2005-aprile 2006)

o Giorgio La Malfa, Ministro senza portafoglio alle Politiche comunitarie

o Francesco Nucara, viceministro dell'Ambiente.

Segretari [modifica]

* Giuseppe Gaudenzi (novembre 1895-maggio 1897)

* Giovanbattista Pirolini (maggio 1897-maggio 1898)

* Giuseppe Gaudenzi (settembre 1898-settembre 1899)

* Urbano Urbani (settembre 1899-aprile 1900)

* Giovanbattista Bosdari (aprile 1900-ottobre 1900)

* Eugenio Chiesa (novembre 1900-ottobre 1902)

* Umberto Serpieri (ottobre 1902-ottobre 1903)

* Carlo Alberto Guizzardi (ottobre 1903-marzo 1907)

* Mario Alliata, Bartolomeo Filipperi, Carlo Alberto Guizzardi (Segreteria collegiale da marzo 1907 a maggio 1908)

* Mario Alliata, Carlo Quartieroni, Eugenio Chiesa, Carlo Alberto Guizzardi, Filomeno Filoni (Segreteria collegiale da maggio 1908 a giugno 1908)

* Umberto Serpieri (giugno 1908-aprile 1910)

* Otello Masini (aprile 1910-maggio 1912)

* Oliviero Zuccarini (luglio 1912-luglio 1916)

* Armando Casalini (luglio 1916-giugno 1919)

* Carlo Bazzi, Armando Casalini, Oliviero Zuccarini (Segreteria collegiale da giugno 1919 a dicembre 1919)

* Armando Casalini, Mario Gibelli, Giuseppe Gaudenzi (Segreteria collegiale da dicembre 1919 a aprile 1920)

* Fernando Schiavetti (aprile 1920-novembre 1922)

* Giuseppe Gaudenzi (vicesegretario di fatto segretario da dicembre 1922 a maggio 1925)

* Mario Bergamo (maggio 1925-giugno 1928)

* Cipriano Facchinetti (giugno 1928-marzo 1932)

* Raffaele Rossetti (marzo 1932-aprile 1933)

* Randolfo Pacciardi (aprile 1933-marzo 1934)

* Giuseppe Chiostergi (marzo 1934-febbraio 1935)

* Mario Angeloni (fino a luglio 1936), Cipriano Facchinetti (Segreteria collegiale affidata alla sezione di Parigi da febbraio 1935 a aprile 1938)

* Ottavio Abbati (aprile 1938-luglio 1938)

* Randolfo Pacciardi, Cipriano Facchinetti (Segreteria collegiale di fatto da luglio 1938 a gennaio 1942)

* Mario Carrara (segretario della Federazione Repubblicana delle Americhe, ottobre 1942-luglio 1943)

* Giovanni Conti (Italia centrale e territori liberati, luglio 1943-aprile 1945)

* Umberto Pagani (territori occupati, luglio 1943-aprile 1945)

* Randolfo Pacciardi (maggio 1945-settembre 1946)

* Giulio Andrea Belloni (ottobre 1946-gennaio 1947)

* Randolfo Pacciardi (gennaio 1947-dicembre 1947)

* Giulio Andrea Belloni, Ugo La Malfa, Oronzo Reale (Segreteria collegiale da dicembre 1947 a gennaio 1948)

* Giulio Andrea Belloni, Giuseppe Chiostergi, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da gennaio 1948 a maggio 1948)

* Giovanni Pasqualini, Franco Simoncini, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da maggio 1948 a febbraio 1949)

* Oronzo Reale, Franco Simoncini, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da febbraio 1949 a maggio 1950)

* Oronzo Reale (maggio 1950-dicembre 1963)

* Oddo Biasini, Claudio Salmoni, Emanuele Terrana (segreteria collegiale da gennaio 1964 a marzo 1965)

* Ugo La Malfa (aprile 1965-febbraio 1975)

* Oddo Biasini (marzo 1975-settembre 1979)

* Giovanni Spadolini (settembre 1979 - settembre 1987)

* Giorgio La Malfa (settembre 1987 - ottobre 2001)

o Giorgio Bogi, vice-segretario reggente (febbraio 1993 - gennaio 1994)

* Francesco Nucara (dall'ottobre 2001)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Bologna, 1ş novembre 1895

* II Congresso - Firenze, 27-29 maggio 1897

* III Congresso - Lugano, 8-9 settembre 1899

* IV Congresso - Firenze-Rifredi, 1-3 novembre 1900

* V Congresso - Ancona, 19 febbraio 1901

* VI Congresso - Pisa, 6-8 ottobre 1902

* VII Congresso - Forlì, 3-5 ottobre 1903

* VIII Congresso - Genova, 22-24 giugno 1905

* IX Congresso - Roma, 3-5 maggio 1908

* X Congresso - Firenze, 9 -11 aprile 1910

* XI Congresso - Ancona, 18-20 maggio 1912

* XII Congresso - Bologna, 16-18 maggio 1914

* XIII Congresso - Roma, 13-15 dicembre 1919

* XIV Congresso - Ancona, 25-27 settembre 1920

* XV Congresso - Trieste, 22-25 aprile 1922

* XVI Congresso - Roma, 16-18 dicembre 1922

* XVII Congresso - Milano, 9-10 maggio 1925

* I congressi dell'esilio (senza numerazione):

o Lione, 30 giugno - 1ş luglio 1928

o Parigi, 29-30 giugno 1929

o Annemasse, 28-29 marzo 1931

o St. Louis, 27-28 maggio 1932

o Parigi, 23-24 aprile 1933

o Lione, 24-25 marzo 1934

o Parigi, 3 febbraio 1935

o Parigi, 11-12 giugno 1938

o Portsmouth, 9-10 ottobre 1943

* Congresso clandestino dell'Alta Italia

o Milano, 5 dicembre 1943

* XVIII Congresso - Roma, 9-11 febbraio 1946

* XIX Congresso - Bologna, 17-20 gennaio 1947

* XX Congresso - Napoli, 16-18 febbraio 1948

* XXI Congresso - Roma, 5-8 febbraio 1949

* XXII Congresso - Livorno, 18-21 maggio 1950

* XXIII Congresso - Bari, 6-8 marzo 1952

* XXIV Congresso - Firenze, 29 aprile - 2 maggio 1954

* XXV Congresso - Roma, 16-19 marzo 1956

* XXVI Congresso - Firenze, 20-23 novembre 1958

* XXVII Congresso - Bologna, 3-6 marzo 1960

* XXVIII Congresso - Livorno, 31 maggio - 3 giugno 1962

* XXIX Congresso - Roma, 25 -29 marzo 1965

* XXX Congresso - Milano, 7-10 novembre 1968

* XXXI Congresso - Firenze, 11-14 novembre 1971

* XXXII Congresso - Genova, 27 febbraio - 2 marzo 1975

* XXXIII Congresso - Roma, 14 -18 giugno 1978

* XXXIV Congresso - Roma, 22-25 maggio 1981

* XXXV Congresso - Milano, 27-30 aprile 1984

* XXXVI Congresso - Firenze, 22-26 aprile 1987

* XXXVII Congresso - Rimini, 11-15 maggio 1989

* XXXVIII Congresso - Carrara, 11-14 novembre 1992

* XXXIX Congresso - Roma, 4-6 marzo 1995

* XL Congresso - Roma, 9-11 aprile 1999

* XLI Congresso - Chianciano, 28-30 gennaio 2000

* XLII Congresso - Bari, 26-28 gennaio 2001

* XLIII Congresso - Fiuggi, 25-27 ottobre 2002

* XLIV Congresso - Fiuggi, 4-6 febbraio 2005

* XLV Congresso - Roma, 30 marzo - 1ş aprile 2007

Note [modifica]

1. ^ Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960, pagg. 1-22

2. ^ Statuto del PRI

3. ^ Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960, pag. 1

4. ^ [1]

5. ^ intervista di Luciana Sbarbati a La Voce Repubblicana del 27 febbraio 2009

6. ^ Ai quattro senatori eletti nelle liste del PRI, si aggiunsero altri 4 repubblicani eletti al Nord in liste comuni col cartello socialdemocratico di Unità Socialista, e precisamente nome cognome, nome cognome, nome cognome e nome cognome.

7. ^ solo in alcune ragioni

8. ^ solo in alcune ragioni

Bibliografia [modifica]

* Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960. BN - 60-3863 (edizione 1980 ISBN 8800855768)

* Lucio Cecchini, Unitari e federalisti: il pensiero autonomistico repubblicano da Mazzini alla formazione del P.R.I., Bulzoni, Roma, 1974. BN 747920

* Risposta de' repubblicani a fogli clandestini dei costituzionali, Firenze, 30 maggio 1851. IT\ICCU\CFI\0589524

* Alberto La Pegna, Il patto di Roma del 13 maggio 1890: programma della democrazia italiana per la 17^ legislatura, Sonzogno, Milano, 1890. BN 1890 8571

* Claudio Pavone, Le bande insurrezionali della primavera del 1870, in Movimento operaio n. 1-3, pagg. 42-107, 1956.

* Giuseppe Pomelli, Aspromonte-Mentana, e le Bande Repubblicane in Italia nella primavera del 1870, Casa Editrice Imperia, Milano, 1923. (Prima edizione Como, 1911, BN 1911 4867).

* Mario Chini, Lettere di Giuseppe Mazzini a Giuseppe Riccioli Romano, Palermo, 1951, Società siciliana per la storia patria. BN 1852 3311 (sulla cospirazione repubblicana in Sicilia tra il 1864 e il 1872).

* Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Einaudi, Torino, 1967, ISBN 8806004859

* Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze della Fratellanza Artigiana d'Italia, Tip. Cooperativa, Firenze, 1911.

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* Andrea Falco Il repubblicanesimo mazziniano nella lotta per l'unita d'Italia e per la risoluzione del problema sociale, Università di Palermo, 1946.

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Collegamenti esterni [modifica]

* Simbolo del PRI

* Logo PRI-i liberal Sgarbi per le europee 2004

* Registrazioni audiovideo integrali del Partito Repubblicano sul sito di Radio Radicale

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v · d · m

Partiti politici italiani Bandiera dell'Italia

Maggiori Il Popolo della Libertà – Partito Democratico

Medi Lega Nord – Italia dei Valori – Unione di Centro (Unione dei Democratici Cristiani e di Centro – Rosa Bianca)

Minori Alleanza per l'Italia – Movimento per le Autonomie – Radicali Italiani – Federazione della Sinistra (Partito della Rifondazione Comunista – Partito dei Comunisti Italiani) – Sinistra Ecologia Libertà (Movimento per la Sinistra – Sinistra Democratica) – Federazione dei Verdi – Partito Socialista Italiano – Partito Repubblicano Italiano – Movimento Repubblicani Europei – Liberal Democratici – Alleanza di Centro – Popolari UDEUR – Partito Liberale Italiano – La Destra – Fiamma Tricolore – Partito Comunista dei Lavoratori – Movimento Associativo Italiani all'Estero

Regionali Union Valdôtaine – Stella Alpina – Fédération Autonomiste – Renouveau Valdôtain/Vallée d'Aoste Vive – Moderati per il Piemonte – Südtiroler Volkspartei – Die Freiheitlichen – Süd-Tiroler Freiheit – Unione per il Trentino – Partito Autonomista Trentino Tirolese – Progetto NordEst – Io Sud – La Puglia prima di tutto – Riformatori Sardi – Partito Sardo d'Azione – Unione Democratica Sarda

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Partito Comunista Italiano

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Partito Comunista Italiano

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Partito politico italiano del passato

Leader storici Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Enrico Berlinguer

Periodo di attività 21 gennaio 1921 - 3 febbraio 1991

Sede Via delle Botteghe Oscure, 5 Roma.

Coalizioni Fronte Democratico Popolare (1948)

Partito Europeo nessuno

Ideologia comunismo, eurocomunismo

Numero massimo di seggi alla Camera 227 (nel 1976)

Numero massimo di seggi al Senato 116 (nel 1976)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 27 (nel 1984)

Organo ufficiale l'Unità

Il Partito Comunista Italiano (PCI) fu un partito politico italiano nato il 21 gennaio 1921 a Livorno come Partito Comunista d'Italia (sezione italiana della III Internazionale) per scissione della mozione di sinistra del Partito Socialista Italiano guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci al XVII Congresso socialista.

Assunse il suo nome definitivo il 15 maggio 1943, in seguito allo scioglimento della III Internazionale e mentre ancora operava in clandestinità tra Mosca, Parigi e l'Italia per la sua netta opposizione al regime fascista vigente in patria.

Il Partito Comunista d'Italia inizialmente si poneva come obiettivo l'abbattimento violento dello Stato borghese e l'istaurazione di una dittatura del proletariato, seguendo così l'esempio dei comunisti russi di Lenin. Guidato nei suoi primi anni di vita da una maggioritaria corrente di sinistra raccolta attorno a Bordiga, il III Congresso, svoltosi clandestinamente a Lione nel gennaio del 1926, segnò un deciso cambiamento di politica suggellato con l'approvazione delle Tesi di Gramsci e la messa in minoranza della Sinistra di Bordiga, la quale, accusata di settarismo, verrà prima emerginata e poi si disperderà. Nel 1930 Bordiga fu definitivamente espulso dal Partito con l'accusa di "trotskismo". Stessa sorte era già toccata ad elementi a destra del gruppo dirigente, quest'ultimo diviso dal 1926 tra chi, come il segretario Gramsci, era stato condannato a misure di carcerazione fascista, e chi, come Palmiro Togliatti, operava all'estero o comunque clandestinamente.

Caduto il regime fascista nel 1943, il PCI ricominciò a operare legalmente partecipando da subito alla costituzione di formazioni partigiane e, dal 1944 al 1947, agli esecutivi antifascisti successivi al governo Badoglio I, dove il nuovo leader Palmiro Togliatti sarà anche, per un breve periodo, vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Nell'antifascismo il PCI è la forza più popolare e infatti la maggior parte degli aderenti alla Resistenza italiana era membro del partito togliattiano.

Nel 1947, nel nuovo clima internazionale di guerra fredda, il PCI è allontanato dal governo e rimarrà all'opposizione per tutto il resto dei suoi giorni, salvo un brevissimo periodo alla fine degli anni '70.

Dal 1956, in seguito al XX congresso del PCUS, il PCI si adoperò per tracciare una propria "via italiana al socialismo" che consisteva nell'accentuare il vecchio obiettivo del raggiungimento di una "democrazia progressiva" applicando integralmente la Costituzione italiana.

Nonostante l'amicizia e la lealtà che legava il PCI all'Unione Sovietica, a partire dal 1968 si assiste a una graduale e costante critica all'operato del PCUS.

Il PCI è stato per molti anni il partito comunista più grande e potente dell'Europa occidentale. Mentre, infatti, negli altri paesi democratici l'alternativa ai partiti o alle coalizioni democristiane o conservatrici era da sempre rappresentata da forze socialiste (con i partiti comunisti relegati a terza o quarta forza), in Italia rappresentò il secondo partito politico in assoluto dopo la Democrazia Cristiana, con un Partito socialista via via sempre più piccolo e relegato, dal 1953 in poi, al rango di terza forza del paese.

Nel 1976 il PCI ebbe il suo massimo storico (34,4%), dopo aver l'anno primo conquistato le principali città italiane. Fu anche il primo partito italiano alle elezioni europee del 1984, quando ebbe il 33,33% contro il 32,97% della DC.

Il Partito Comunista Italiano si sciolse il 3 febbraio 1991, quando la maggioranza dei delegati guidati approvarono la svolta della Bolognina del segretario Achille Occhetto, succeduto tre anni prima ad Alessandro Natta, al XX Congresso Nazionale e la contestuale costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) aderente all'Internazionale Socialista.

Un'area consistente della minoranza di sinistra preferì rilanciare ideali e programmi comunisti e fondò il Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi costituì, con la confluenza di Democrazia Proletaria e di altri gruppi, il Partito della Rifondazione Comunista (PRC).

L'organizzazione giovanile del PCI fu la Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI).

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 La costituzione del PCd'I, l'antifascismo e la Liberazione

o 1.2 L'Italia repubblicana e i rapporti con l'URSS

o 1.3 La solidarietà nazionale

o 1.4 Il ritorno all'opposizione

o 1.5 La Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI

o 1.6 Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC)

* 2 Tendenze interne

* 3 Risultati elettorali

* 4 Il vertice del Pci

o 4.1 Segretari generali

o 4.2 Presidenti

o 4.3 Organigrammi del vertice nazionale

* 5 Capigruppo alla Camera

* 6 Capigruppo al Senato

* 7 Congressi

* 8 Conferenze Nazionali

* 9 Consigli Nazionali

* 10 Iscritti

* 11 Giornali e riviste

* 12 Galleria fotografica

* 13 Bibliografia

o 13.1 Libri

o 13.2 Saggi e articoli

* 14 Voci correlate

* 15 Note

* 16 Altri progetti

* 17 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

La costituzione del PCd'I, l'antifascismo e la Liberazione [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia del Partito Comunista d'Italia.

Antonio Gramsci

La scissione dei comunisti dal Partito Socialista Italiano avvenne sui famosi 21 punti di Mosca, che delimitavano in modo netto la differenza delle posizioni politiche dei rivoluzionari da quelle dei riformisti e che costituivano le condizioni per l'ingresso nell'Internazionale Comunista, che aveva come obiettivo principe l'estensione della rivoluzione proletaria su scala mondiale.

Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l'adesione all'Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo "astensionista" che faceva capo ad Amadeo Bordiga, che guidò per primo il nuovo Partito, dal gruppo dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, da parte della corrente massimalista di Andrea Marabini , Antonio Graziadei e Nicola Bombacci e dalla stragrande maggioranza della Federazione Giovanile Socialista (FGS).

Il nuovo Partito era un partito rigorosamente rivoluzionario e la sua linea politica era fondata sulla esclusione di qualsiasi tipo di accordo con i socialisti, e questo provocò, anche a causa della scissione dell'ala riformista del PSI, avvenuta nel 1922, i primi attriti con l'Internazionale comunista, la quale pose con forza il tema della riunificazione con il PSI di Serrati. Nel 1924 Antonio Gramsci, con l'appoggio dell'Internazionale comunista, divenne segretario nazionale e il passaggio della segreteria da Bordiga a Gramsci fu sancito definitivamente nel 1926 con l'approvazione durante il III Congresso nazionale a Lione delle tesi politiche di Antonio Gramsci con oltre il 90% dei voti.

Il PCd'I venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926 ma continuò la sua esistenza clandestina, i cui militanti in parte rimasero in Italia, dove fu l'unico partito antifascista ad essere presente seppure a livello embrionale, in parte emigrarono all'estero, soprattutto in Francia e in URSS. Con l'arresto di Gramsci, la guida di fatto passò a Togliatti, che rafforzò ulteriormente i rapporti con l'Unione Sovietica. Questi rapporti si deteriorarono bruscamente nel 1929 a causa della presa di posizione di Tasca, che aveva sostituito Togliatti a Mosca, in favore del leader della destra sovietica Nikolai Bucharin, che si contrapponeva in quel periodo a Stalin. Dopo che tutta la linea del PCd'I, da Lione in poi, fu messa in discussione, Togliatti espulse Tasca e allineò di nuovo il partito sulle posizioni di Stalin, che erano ritornate a essere piuttosto settarie. Infatti il PCd'I fu costretto ad associare ai socialisti italiani e al giovane movimento di Giustizia e Libertà, la teoria del socialfascismo, che poneva le sue basi sull'equiparazione tra fascismo e socialdemocrazia, intesi, entrambi, come metodi utilizzati dalla borghesia per conservare il potere.

Con la crescita del pericolo nazista l'Internazionale comunista cambiò strategia e tra il 1934 e il 1935 lanciò la linea di riunire in un fronte popolare tutte le forze che si opponevano all'avanzata dei fascismi. Il PCd'I, che aveva faticato molto per accettare la svolta del 1929, ebbe una sofferenza ancora maggiore per uscire dal settarismo a cui quella svolta sembrava averlo destinato, in quanto, nell'Italia fascista, i militanti si erano trovati da soli a fronteggiare la dittatura. Ma un po' per volta il lavoro di Togliatti e di Ruggero Grieco, che resse il partito dal 1934 al 1938, diede i suoi frutti, e, nell'agosto del 1934, fu sottoscritto il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti, che, nonostante i distinguo, segnò la riapertura del dialogo tra i due partiti operai.

La linea politica del PCd'I andò di nuovo in crisi con il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939 in quanto fu impossibile conciliare l'unità antifascista con l'approvazione del patto fra sovietici e nazisti ed il PCd'I fu costretto ad appiattirsi sulle posizioni dell'Internazionale che in quel periodo teorizzava per i comunisti l'equidistanza tra i diversi imperialismi. La situazione si aggravò ulteriormente quando, con l'invasione tedesca, il PCd'I si ritrovò in clandestinità anche a Parigi. Togliatti fu arrestato, ma non essendo stato riconosciuto, se la cavò con pochi mesi di carcere e dopo aver riorganizzato un embrione di centro estero del Partito, andò a Mosca dove l'Internazionale, avendo sciolto definitivamente l'Ufficio politico e il Comitato centrale, gli affidò la direzione solitaria del PCd'I.

La situazione all'interno del Partito si tranquillizzò grazie alla Dichiarazione di guerra di Benito Mussolini a Francia ed Inghilterra del 1940, che fece si che si ricreassero le condizioni per una nuova unità antifascista, suggellata nel 1941 a Tolosa da un accordo tra PCd'I, PSI e GL. In Italia dal 1941 il Partito, anche grazie all'importante lavoro di Umberto Massola, cominciò a riorganizzare la rete clandestina e a fare sentire la propria voce, anche attraverso la diffusione di un bollettino, il Quaderno del lavoratore, per mezzo del quale venivano diffuse le posizioni ufficiali del PCd'I, dettate direttamente da Togliatti attraverso Radio Mosca. Nello stesso tempo ripresero forza numerosi piccoli gruppi che, spesso con linea politica autonoma, continuavano dall'interno del paese la loro lotta al fascismo.

Il 15 maggio 1943 il Partito, in seguito allo scioglimento dell' Internazionale Comunista, assunse la denominazione di Partito Comunista Italiano (PCI). Quando, il 25 luglio del 1943, Mussolini fu costretto a dimettersi, l'iniziativa del Partito aumentò sensibilmente sia per i maggiori margini di manovra che per la conseguente uscita dal carcere ed il ritorno dall'esilio di numerosi dirigenti comunisti. Il peso del PCI in Italia era divenuto molto importante anche perché nel nord Italia la guerra con i tedeschi e con i fascisti della Repubblica di Salò era ancora tutta da combattere e dall'autunno del 1943 i militanti comunisti furono la parte preponderante dei gruppi clandestini della resistenza italiana, organizzati nelle Brigate Garibaldi sulle montagne e nei GAP e nelle SAP nelle città. Oltre alla lotta armata, il PCI continuò il suo lavoro politico continuando nell'organizzazione degli operai e promuovendo scioperi ed agitazioni soprattutto nei primi mesi del 1944. La dichiarazione di guerra del Governo Badoglio ai danni della Germania pose il PCI dinnanzi ad un bivio: continuare nella linea, richiesta dalla base, di contrapposizione frontale a Badoglio e alla Monarchia o l'assunzione di responsabilità di governo.

Nel marzo del 1944 Togliatti, dopo aver avuto un incontro con Stalin, tornò in Italia e praticò quella che rimase famosa come la svolta di Salerno con la quale il PCI, anteponendo la lotta antifascista alla deposizione della Monarchia, sancì il proprio ingresso nel Governo. L'ingresso del PCI nei Governi formati da Badoglio e dal socialista riformista Ivanoe Bonomi andava letto, nell'intenzione di Togliatti, come il tentativo di accreditarsi come forza responsabile e fondatrice della democrazia italiana.

Per ottenere questo era necessario che il partito fosse ricostruito su basi diverse e diventasse un partito nuovo ovvero un moderno partito di massa con profonde radici nei luoghi di lavoro e aderente alla società. Il Partito cominciò pertanto una crescita costante data sia dal punto di vista dell'organizzazione, che si sviluppò ormai capillarmente in tutte le città italiane, che in termine di numero di iscritti, passati dai 500.000 del 1944 al 1.700.000 del 1945, che lo portarono a diventare il più importante e grande partito comunista dell'Europa occidentale.

L'Italia repubblicana e i rapporti con l'URSS [modifica]

Roma, targa stradale di via delle Botteghe oscure, da cui il nome popolare attribuito al palazzo storico che ha ospitato, dal II dopoguerra allo scioglimento, la sede centrale del PCI

A seguito della Liberazione, Palmiro Togliatti diede vita ad una politica che molti tacciarono di doppiezza[senza fonte], ma che tenne insieme l'esigenza di consolidamento della democrazia italiana ed il sentimento rivoluzionario ed il mito dell'URSS della base del partito, concretizzato nell'adesione, fino al suo scioglimento, al Cominform, l'organizzazione dei partiti comunisti filosovietici. Tuttavia nonostante nel maggio 1947 Alcide De Gasperi avesse formato un governo senza il PCI ed il PSI, il contributo costruttivo dei comunisti nell'Assemblea costituente non mutò al punto che il 1ş gennaio 1948 entrò in vigore, dopo essere stata approvata da tutti i maggiori partiti, la Costituzione italiana.

Palmiro Togliatti

Secondo una recente interpretazione, non condivisa da tutti gli storici, nella preparazione delle elezioni politiche del 1948 Palmiro Togliatti chiese istruzioni a Mosca sulla possibilità di usare la forza militare di cui il partito disponeva, ricevendone risposta negativa.[1]

Il PCI si consolidò, dopo la scissione socialista del 1947, come la seconda forza della democrazia italiana dopo la Democrazia cristiana. Da allora e per circa 30 anni il PCI, pur rimanendo sempre all'opposizione, conseguì una crescita elettorale costante che si interruppe solo verso la fine degli anni '70 al termine della stagione della solidarietà nazionale.

 

D'altro canto il rapporto del PCI con l'URSS è, ancora oggi, al centro del giudizio degli storici. È certo però che il Partito è stato per un lungo periodo sovvenzionato notevolmente dai sovietici: ex dirigenti del partito hanno spiegato, dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica, in che modo e in quale quantità ricevessero tali sovvenzioni. Diversi libri son stati pubblicati riguardo questi contributi finanziari provenienti dal PCUS, definiti da alcuni l'oro di Mosca, ma gli storici non hanno ancora chiarito quando esattamente iniziarono e finirono tali finanziamenti, importanti per le campagne elettorali e, secondo certe fonti bibliografiche, per mantenere un apparato paramilitare[senza fonte]. Sempre dopo la fine del regime comunista sovietico, la magistratura russa inviò in Italia investigatori che con l'aiuto di alcuni magistrati italiani cercarono di chiarire la modalità e la entità di questi finanziamenti: fu fatta parzialmente luce su certe situazioni ma ancora non si sa esattamente l'entità totale dei finanziamenti. Oltre ovviamente l'attività politica, significativa testimonianza di legame e dipendenza dai sovietici era la pubblicazione periodica di una rivista della UISP, ossia l'associazione sportiva del PCI, che tuttora esiste e che all'epoca era marcatamente filosovietica.

Negli anni successivi, pur continuando ad appoggiare l'URSS anche nella drammatica crisi d'Ungheria durante la rivoluzione ungherese del 1956, il PCI di Togliatti diede inizio ad una nuova politica di partito nazionale imboccando la via italiana al socialismo, dopo che personaggi significativi, in maggioranza intellettuali, avevano abbandonato il partito protestando contro l'adesione del PCI alla repressione sovietica. Tra coloro che, in quella situazione, manifestarono una posizione di dissenso, pur senza abbandonare il Partito, va ricordato il leader della CGIL Giuseppe Di Vittorio. La principale conseguenza politica degli avvenimenti del 1956 fu il definitivo tramonto del Patto d'unità d'azione tra il PCI e il PSI. Il PSI di Pietro Nenni, che negli anni precedenti aveva profondamente subito il fascino dell'Unione Sovietica di Stalin, ripensò, prendendone completamente le distanze, la sua posizione riguardo al più importante Stato socialista e diede avvio al suo percorso di avvicinamento alla DC.

Con la fine del centrismo e con l'inizio dei governi di centro-sinistra il PCI di Togliatti non mutò la sua posizione di opposizione al governo. Il 21 agosto del 1964 morì a Yalta Palmiro Togliatti. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica italiana aveva conosciuto fino a quel momento. L'ultimo documento di Togliatti, che ne costituiva il testamento politico e che fu ricordato come il memoriale di Yalta, ribadiva l'originalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, "unità nella diversità" del movimento comunista internazionale. Il PCI lasciato da Togliatti era un Partito che, pur continuando a rimanere ancorato al "centralismo democratico", cominciava a sentire l'esigenza di rendere visibili quelle che, al suo interno, erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte di Togliatti, l'XI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi "alla luce del sole" dalla nascita del Partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di "destra" di Giorgio Amendola e quella di "sinistra" di Pietro Ingrao. Amendola, sebbene da solo non avesse la maggioranza assoluta, riuscì a mettere Ingrao in minoranza. Il voto contrario di Ingrao, per l'autorevolezza dell'esponente comunista che godeva di numerosi consensi sia all'interno che all'esterno del Partito, sancì, per la prima volta, la legittimità al dissenso politico. Il lavoro di sintesi, rivolto al "rinnovamento nella continuità", tra le diverse anime del Partito suggellò la leadership di Luigi Longo, eletto Segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle politiche del defunto leader.

Luigi Longo

Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola ed Ingrao, ma Longo, per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il Segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del Partito. Longo continuò nella definizione di una politica nazionale del PCI ed infatti a differenza del 1956, nel 1968, il partito si schierò contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che, sulla suggestione della crisi cilena, propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana vicina ad Aldo Moro.

I rapporti con l'Unione Sovietica si allentarono ulteriormente quando, a opera dello stesso Berlinguer, iniziò la linea euro-comunista che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. L'Eurocomunismo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese all'URSS, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e l'acutizzarsi delle differenze interne nello stesso PCI: ma le differenze tra il PCI e il PCUS erano ormai moltissime. In seguito, nel 1981, Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre.

La solidarietà nazionale [modifica]

Enrico Berlinguer

Nella seconda metà degli anni Settanta si acuirono le tensioni sociali e politiche. La crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo conversero verso quello che molti hanno definito l'annus horribilis delle rivolte: il 1977: echi sessantottini vibravano di nuovo fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, e molti da molte classi sociali si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni.

Anche il PCI contestò sempre più fortemente la pregiudiziale che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. L'iniziativa fu lasciata a Giorgio Amendola, rappresentante prestigioso (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo capace di dialogare con i non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Nel febbraio del 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.

Il 1978 fu l'anno del destino, per il PCI. Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Aldo Moro era il presidente della DC, e condivideva con il segretario del PCI Enrico Berlinguer alcune caratteristiche personali che sembravano predisporre al dialogo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici ed abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.

Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico. Moro individuava nell'alleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a sé stesso in simili ambasce.

Nella DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.

Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.

Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti[senza fonte], si preparava nel marzo del 1978 una riedizione del governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto smettere di fornire appoggio esterno (nel precedente governo detto delle "non sfiducia", dal 1976, aveva garantito l'astensione, per la prima volta rinunciando al voto d'opposizione), offrendo il voto favorevole ad un monocolore DC, in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente ed a pieno titolo nella compagine governativa.

Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia, Gaetano Stammati e Carlo Donat Cattin, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti, nonostante le richieste di esclusione da parte del PCI; secondo una versione accreditata molti anni dopo, insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette sveltamente decidere se proporre alla Direzione del partito già convocata per il pomeriggio dello stesso giorno, di ritirare l'appoggio al governo.Ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a monte tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana.

La fiducia fu dunque votata dal PCI insieme a DC, PSI, PSDI e PRI, ma non senza che Berlinguer precisasse che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, costituisse "invece un Governo che, per il modo in cui è stato composto, ha suscitato e suscita, com’è noto (ma io non voglio insistere in questo particolare momento su questo punto), una nostra severa critica e seri interrogativi e riserve"[2].

Il ritorno all'opposizione [modifica]

Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato. Durante il sequestro Moro, il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista.

Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della compagine di governo, Berlinguer non partecipava più alle riunioni insieme ai segretari dell'arco costituzionale (anche se a livello parlamentare i contatti continuavano ad essere tenuti dal capogruppo Pecchioli), il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.

Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto omise di ritirare), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello Stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter far salire al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.

L'elezione di Sandro Pertini, oltre che gradita al PCI, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito craxiano. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.

L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura - dopo la caduta determinata dall'opposizione comunista all'ingresso nel primo sistema monetario europeo - successe a sé stesso, con l'Andreotti-quinquies, sul principio dell'anno successivo, per governare le inevitabili elezioni anticipate. Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.

Il PCI si ritrovò di nuovo all'opposizione: nel decennio successivo si ritrovò completamente isolato in quanto il PSI di Bettino Craxi dopo avere a lungo oscillato, governando a livello locale sia con la DC che con il PCI, formulò stabilmente, a livello nazionale, un'alleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito, facendo pesare sempre di più, nelle richieste di posti di potere, il suo ruolo di partito di confine.

Alessandro Natta

Berlinguer, per uscire dall'isolamento, provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI: la classe operaia. In quest'ottica vanno lette le battaglie contro l'installazione degli Euromissili, per la pace e, soprattutto, nella vertenza degli operai della Fiat del 1980. Il PCI in quella lotta arrivò addirittura a scavalcare il ruolo della CGIL e la sconfitta finale e quella riportata anni dopo nel referendum, che era stato fortemente voluto da Berlinguer, per difendere la scala mobile cancellata da Craxi, segnarono in maniera indelebile il Partito.

Dopo la morte di Berlinguer la segreteria passò ad Alessandro Natta, ma il partito, pur avendo ottenuto per la prima volta la maggioranza relativa nelle elezioni europee del 1984 e pur mantenendo una consistente base di massa, aveva ormai iniziato un lento e graduale declino. Nell'aprile del 1986 fu tenuto, anticipatamente a causa della disfatta dell'anno precedente nelle elezioni regionali, il XVII Congresso nazionale del PCI. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del Partito tentò, grazie alla decisiva spinta dell'area "migliorista" di Giorgio Napolitano, un riposizionamento internazionale del PCI proponendo il totale distacco dal movimento comunista per essere, a tutti gli effetti, parte del Partito Socialista Europeo. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta che, in minoranza all'interno del Partito, aveva dato vita ad una vera e propria corrente organizzata sin da quando, in occasione del golpe polacco di Jaruzelski, Berlinguer aveva proclamato esaurita la "spinta propulsiva della rivoluzione d'Ottobre".

Nel maggio 1988 Natta è colto da ictus. Non è grave, ma gli vien fatto capire da alti dirigenti che non è più gradito come segretario. Natta si dimette e al suo posto viene messo il vice Achille Occhetto.

Nel marzo 1989 Occhetto lancia il "nuovo PCI" come uscirà dai lavori del XVIII Congresso nazionale.

Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello Shadow Cabinet, per meglio esplicitare l'alternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Governo ombra del Partito Comunista Italiano.

La Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI [modifica]

Achille Occhetto

Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò "grandi cambiamenti" a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta "Svolta della Bolognina" nella quale il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.

Nel Partito si accese una discussione ed il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta ed Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta.

Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero:

* la prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice ed aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica.

* la seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il PCI, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva si rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi.

* la terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi.

Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu l'ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:

* la mozione di Occhetto, D'Alema e molti altri dirigenti, Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.

* una mozione intermedia, Per un moderno partito antagonista e riformatore, capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati.

* la mozione contraria alla nascita del nuovo partito, Rifondazione comunista, nata dall'accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso.

Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC) [modifica]

Il 3 febbraio 1991, il PCI deliberò il proprio scioglimento, promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l'aspetto Democratico. Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC).

Tendenze interne [modifica]

Fin dall'inizio il PCI non ha mai avuto componenti interne organizzate e riconosciute, ma piuttosto delle tendenze più o meno individuabili (inizialmente, quelle di Amendola e di Ingrao). Le correnti si sono però via via caratterizzate, fino a divenire più individuabili negli anni '80.

* Miglioristi: rappresentavano la destra del partito. Eredi delle posizioni di Giorgio Amendola (sostanzialmente orientato verso una forma di socialismo democratico e riformista), i miglioristi erano radicati nel suo apparato e nella gestione delle "cooperative rosse". Propensi ad un "miglioramento" riformista del capitalismo, non condividevano la politica sovietica (anche se a più riprese vi si conformarono), contrastarono l'estrema sinistra del '68 e del '77 ma anche le correnti del PCI più movimentiste o "moraliste". Sostenevano il dialogo e l'azione comune con partiti come il PSDI e il PSI, quest'ultimo specialmente durante la segreteria di Craxi, di cui erano interlocutori privilegiati. Furono, con qualche eccezione, grandi sostenitori della svolta di Occhetto nel 1989 (firmando la mozione 1). Il leader tradizionale della corrente era Giorgio Napolitano (divenuto Presidente della Repubblica nel 2006); vi appartenevano inoltre Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Giancarlo Pajetta, Antonello Trombadori e altri ancora. L'area ex-diessina del PD raggruppa la maggior parte dei seguaci dei miglioristi.

* Berlingueriani: Costituivano il centro del partito, erede delle posizioni di Luigi Longo. Quest'area, formata da ex-amendoliani ed ex-ingraiani, divenne più inquadrabile durante la segreteria di Berlinguer (che la guidava). Anch'essa diffidente nei confronti della Nuova sinistra (seppur meno dei miglioristi), era favorevole al distacco dalla sfera d'influenza dell'URSS per conseguire una via italiana al socialismo, alternativa a stalinismo e socialdemocrazia. Negli anni ottanta i berlingueriani, dopo il fallimento del compromesso storico con la DC, tentarono un' alternativa democratica da perseguire moralizzando il sistema partitico (questione morale), sviluppando al contempo una forte avversione al PSI di Craxi. Il centro del PCI si divise poi nell'ultimo congresso del 1989 tra favorevoli e contrari alla Svolta di Occhetto (mozioni 1 e 2), anche se poi in stragrande maggioranza confluì nel PDS. Berlingueriani erano, oltre a Natta e Occhetto (proveniente dalla sinistra), Gavino Angius, Tom Benetollo, Giovanni Berlinguer, Giuseppe Chiarante, Pio La Torre, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Diego Novelli, Ugo Pecchioli, Alfredo Reichlin, Franco Rodano, Tonino Tatò, Aldo Tortorella, Renato Zangheri e altri; provenienti dalla FGCI erano Massimo D'Alema, Piero Fassino, Pietro Folena, Renzo Imbeni, Walter Veltroni. Oggi sono quasi tutti divisi tra Partito Democratico e Sinistra Democratica; Minucci e Nicola Tranfaglia hanno aderito al Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), Folena è stato eletto in Parlamento da Rifondazione in quota Sinistra europea, mentre Angius ha lasciato SD per il Partito Socialista. Alcuni sono usciti dalla politica attiva (prima Natta, poi Tortorella e Chiarante che hanno costituito l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra).

* Ingraiani: Guidati da Pietro Ingrao, tenace avversario di Giorgio Amendola nel partito, erano per definizione gli esponenti della sinistra movimentista del PCI, molto ben radicati nella FGCI e anche nella CGIL. Questa corrente era contraria a manovre politiche considerate "di destra" e sosteneva posizioni che erano definite - non sempre in modo coerente - 'marxiste-leniniste'. Era poco avvezza ad alleanze con la DC (per questo motivo molti furono gli ex-ingraiani passati con Berlinguer). Molto meno diffidente di berlingueriani e miglioristi nei confronti dei movimenti del dopo '68, riuscì ad attrarre svariati giovani proprio tra questi ultimi, spesso contrapponendoli a quelli più "ortodossi" che militavano in Democrazia Proletaria o in altre formazioni di estrema sinistra. Nel 1969 la corrente perse la componente critica legata alla rivista Il manifesto, espulsa - anche con l'appoggio di Ingrao - dal partito e poi rientratavi nell '84. I valori principali degli ingraiani erano quelli dell'ambientalismo, del femminismo, del pacifismo. Si opposero in larga parte alla Svolta della Bolognina, costituendo il nucleo principale del 'Fronte del No', cioè la mozione di minoranza più consistente (la 2). Ingraiani erano Alberto Asor Rosa, Antonio Baldassarre, Antonio Bassolino, Fausto Bertinotti, Bianca Bracci Torsi, Lucio Colletti, Aniello Coppola, Sandro Curzi, Lucio Libertini, Bruno Ferrero, Sergio Garavini, Ersilia Salvato, Rino Serri e altri; dalla FGCI provenivano Ferdinando Adornato, Massimo Brutti, Franco Giordano, Nichi Vendola. Di origine ingraiana erano, oltre agli ex-Manifesto-PdUP, anche berlingueriani come Angius, D'Alema, Fassino, Occhetto, Reichlin e altri. Oggi gli ex-ingraiani sono divisi tra sinistra PD e la maggioranza del PRC.

* Cossuttiani: Forse l'unica vera e propria corrente del PCI, presente perlopiù nell'apparato partitico ed estranea ai movimenti studenteschi, comprensiva però di alcuni ex-operaisti. L'area guidata da Cossutta godeva dell'appoggio da parte dell'Unione Sovietica, che appoggiavano in ogni caso (specialmente in fatto di politica estera). Erano inoltre fedeli declamatori di quasi tutti gli altri socialismi reali (come quello cubano). Nel partito, giunsero a criticare con asprezza l'azione politica intrapresa da Berlinguer durante la sua segreteria, combattendo al contempo sia contro l'allontanamento progressivo dall'URSS che i tentativi di compromesso con la DC. Nel congresso della "svolta" riuscirono a conquistare solo il 3% dei voti, con una mozione (la 3), sebbene più piccola, maggiormente organizzata e meno eterogenea della seconda. Cossuttiani erano, tra gli altri, Guido Cappelloni, Gian Mario Cazzaniga, Giulietto Chiesa, Aurelio Crippa, Oliviero Diliberto, Claudio Grassi, Marco Rizzo, Fausto Sorini, Graziella Mascia. Attualmente i cossuttiani (tranne Chiesa che ha seguito un diverso percorso politico-culturale) sono presenti in larga parte nel PdCI (che Cossutta ha presieduto fino alle dimissioni avvenute nel 2006) ma anche in una consistente minoranza del Prc ("L'Ernesto" di Grassi, Cappelloni e Sorini).

* Il Manifesto: Componente di origine ingraiana nata attorno alla rivista omonima, fu espulsa dal PCI nel 1969. Esponenti più significati e fondatori poi del quotidiano avente il medesimo nome furono Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani, Valentino Parlato e Lidia Menapace. La sua dura critica alla politica dell'URSS (culminata con la condanna nel 1969 all'invasione sovietica della Cecoslovacchia) le costò la radiazione del PCI. Costituitasi come soggetto politico autonomo di Nuova sinistra, nel 1974 si unificò con il PdUP (costituito da socialisti provenienti da PSIUP e aclisti del MPL) per fondare il PdUP per il comunismo, con Magri segretario. L'unione durò poco: nel '77 l'area PSIUP-MPL uscì per confluire in Democrazia Proletaria, mentre gli ex-Manifesto inglobarono la minoranza di Avanguardia Operaia (per poco tempo) e infine il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), mantenendo il nome PdUP per il comunismo. Nel 1983 il partito presentò propri candidati nelle liste comuniste; nel 1984 confluì definitivamente nel PCI, con gli ex-militanti del MLS. Quando si tenne il congresso alla Bolognina, la maggior parte degli ex-PdUP aderirono al 'Fronte del No'. Magri e altri rimasero nel PDS per breve tempo, dopodiché aderirono a Rifondazione nel 1991. Nel 1995 lasciarono però il PRC con Garavini, dando vita al Movimento dei Comunisti Unitari che, tranne Magri e Castellina, confluì nei DS nel 1998. Oggi dirigenti ed esponenti del PdUP-MLS si ritrovano, con ruoli diversi in tutti i partiti della Sinistra. Vincenzo Vita, Famiano Crucianelli e Davide Ferrari sono nel PD, Luciano Pettinari in SD, mentre Franco Grillini ha aderito al PS. Del MLS, Luca Cafiero ha lasciato la politica attiva, Alfonso Gianni e Ramon Mantovani sono in Rifondazione. I fondatori veri e propri del Manifesto sono oggi fuori dalle organizzazioni di partito.

Risultati elettorali [modifica]

Il Partito Comunista Italiano fu un caso straordinario nella politica europea. Dagli anni cinquanta fino alla fine ha ottenuto una percentuale di voti tale da configurarlo come il più grande partito comunista d'Europa ed eternamente seconda forza politica italiana, ruolo che in Europa spetta di solito ai partiti socialisti.

Il suo massimo storico si ebbe nel 1976 (34,4%). Nel 1984, sull'onda emotiva per la morte di Enrico Berlinguer, il PCI operò il primo, e unico, storico sorpasso sulla Democrazia Cristiana alle Elezioni europee, diventando il primo partito italiano con il 33,33% contro il 32,97% della DC. In diverse occasioni, in particolare nel periodo della collaborazione a sinistra tra PCI e PSI (1975-1985), varie importanti città, specie quelle a vocazione industriale, furono amministrate da sindaci del PCI (Roma, Firenze, Genova, Torino, Napoli), oltre a Bologna che ebbe ininterrottamente sindaci comunisti dal 1946 al 1991.

PCI symbol.jpg – Partito Comunista Italiano alle Elezioni Politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1921

 

1924

 

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

Camera

 

Camera

 

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

291.952

 

268.191

 

4.356.686

8.136.637'

6.969.122'

6.121.922

4.912.093

6.704.706

5.701.019

7.768.228

6.977.197

8.556.751

8.583.285˛

9.072.454

8.475.141˛

12.620.750

10.640.471

11.135.772

9.859.044

11.028.158

9.579.699

10.250.644

9.181.579

4,6

 

3,8

 

18,9

31,0

30,8

22,6

20,6

22,7

21,8

25,3

25,2

26,9

30,0

27,1

28,1

34,4

34,2

30,4

31,4

29,9

30,8

26,6

28,3

15

 

19

 

104

126

68

143

51

140

59

166

84

177

101

179

94

227

116

201

109

198

107

177

101

' con il PSI nel Fronte Democratico Popolare

˛ ingloba il PSIUP

PCI symbol.jpg – Partito Comunista Italiano alle Elezioni Europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 10.345.284

11.696.923

9.602.618 29,6

33,3

27,6 24

27

22

Il vertice del Pci [modifica]

Segretari generali [modifica]

I primi due statuti del Pcd'I (1921 e 1922) non prevedevano la figura del "Segretario generale". Fino al gennaio 1926 il partito era retto da un Comitato Esecutivo ristretto che lavorava collegialmente e all'interno del quale era al massimo rintracciabile un "redattore capo" (art. 47 dello Statuto del 1921) o "segretario" (art. 51). Al III Congresso il CE mutò nome in Ufficio Politico e all'interno di questo fu individutata la figura del segretario generale[3].

Dopo l'arresto di Gramsci nel novembre 1926, la carica di segretario restò comunque formalmente ricoperta dal comunista sardo, ma di fatto l'organizzazione clandestina iniziò ad avere un capo presso Mosca (il centro estero) e uno in Italia (centro interno).

Furono pertanto a capo del Partito:

* Amadeo Bordiga (gennaio 1921 - marzo 1923)

* Palmiro Togliatti & Angelo Tasca (giugno 1923 - agosto 1924)

* Antonio Gramsci (agosto 1924 - gennaio 1926)

Furono segretari generali:

* Antonio Gramsci (gennaio - novembre 1926)

* Camilla Ravera (1927-1930)

* Palmiro Togliatti (1930 - 1934)

* Ruggero Grieco (1934 - 1938)

* Palmiro Togliatti (1938 - agosto 1964)

* Luigi Longo (agosto 1964 - marzo 1972)

* Enrico Berlinguer (marzo 1972 - giugno 1984)

* Alessandro Natta (giugno 1984 - giugno 1988)

* Achille Occhetto (giugno 1988 - febbraio 1991)

Presidenti [modifica]

* Luigi Longo (1972-1980)

* Alessandro Natta (1989-1990)

* Aldo Tortorella (1990-1991)

Organigrammi del vertice nazionale [modifica]

* I congresso

Comitato Centrale: Amadeo Bordiga, Ambrogio Belloni, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari, Egidio Gennari, Antonio Gramsci, Ruggero Grieco, Anselmo Marabini, Francesco Misiano, Giovanni Parodi, Luigi Polano (Fgcd'I), Luigi Repossi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia, Umberto Terracini, Antonio Borgia.

Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini.

* II congresso

Comitato Centrale: Bordiga, Isidoro Azzario, Vittorio Flecchia, Fortichiari, Leopoldo Gasparini, Gennari, Ennio Gnudi, Gramsci, Grieco, Marabini, Repossi, Sessa, Terracini, Palmiro Togliatti, Giuseppe Berti (Fgcd'I); nel marzo 1923 cooptazione di Antonio Graziadei e Angelo Tasca.

Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini; nel marzo 1923 cooptazione di: Mauro Scoccimarro, Togliatti. CE dimissionario nel marzo 1923 e sostituito nel luglio 1923 con Fortichiari, Scoccimarro, Tasca, Togliatti, Giuseppe Vota; in autunno dimissioni di Fortichiari sostituito da Gennari.

* V congresso Comintern

Comitato Centrale: Gramsci, Aladino Bibolotti, Gennari, Gnudi, Fabrizio Maffi, Mario Malatesta, Gustavo Mersù, Scoccimarro, Tasca, Terracini, Togliatti, Giuseppe Tonetti.

Supplenti per cooptazione: Flecchia, Alfonso Leonetti, Camilla Ravera, Giovanni Roveda, Giacinto Menotti Serrati.

Comitato Esecutivo: Gramsci, Maffi, Mersù, Scoccimarro, Togliatti.

Supplenti:Bibolotti, Gennari, Malatesta, Tasca, Terracini, Tonetti.

Ufficio di Segreteria: Gramsci, Giuseppe Di Vittorio, Grieco, Mersù, Ravera, Scoccimarro, Giovanni Srebnic, Togliatti.

* III congresso

Comitato Centrale: Gramsci, Luigi Allegato, Luigi Bagnolati, Luigi Ceriana, Flecchia, Gennari, Gnudi, Grieco, Alfonso Leonetti, Fabrizio Maffi, Antonio Oberti, Paolo Ravazzoli, Camilla Ravera, Scoccimarro, Giacinto Menotti Serrati, Tasca, Terracini, Togliatti, Bordiga, Carlo Venegoni e un operaio di Trieste (Luigi Frausin?). Membri candidati: Azzario, Teresa Recchia, Giovanni Roveda, Pietro Tresso.

Ufficio Politico: Gramsci, Grieco, Ravera, Ravazzoli, Scoccimarro, Terracini, Togliatti; nel novembre 1926 arresto di Gramsci, Scoccimarro e Terracini sostituiti nell'UP da Leonetti, Tasca e Tresso e l'esclusione di Ravazzoli; Candidato: Ignazio Silone.

* VI congresso Comintern

Comitato Centrale: Gennari, Gnudi, Grieco, Leonetti, Luigi Longo, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso; Candidati cooptati nell'ottobre 1928: Di Vittorio, Giuseppe Dozza, Giovanni Germanetto, Teresa Recchia, Pietro Secchia.

Ufficio Politico: Grieco, Leonetti, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso, Secchia (Fgcd'I); Candidato: Luigi Longo (Fgcd'I a Mosca).

Ufficio di Segreteria: Grieco, Ravera, Secchia, Togliatti.

* "La svolta" del 1929

Comitato Centrale: Di Vittorio, Dozza, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ravera, Togliatti; Candidati: Frausin, Antonio Vincenzo Gigante, Battista Santhià.

Ufficio Politico: Grieco, Longo, Ravera, Secchia, Togliatti.

Nel 1929 espulsione di Tasca; nel 1930 espulsione di Bordiga, Leonetti, Ravazzoli, Tresso; nel 1931 espulsione di Silone.

* IV congresso

Comitato Centrale: Berti, Luigi Ceriana, Gaetano Chiarini, Domenico Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Frausin, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ernesto Oliva, Santhià, Togliatti, Tonini, Viana, Gorizia un operaio, Torino da, Trieste designarsi, Fgcd'I un giovane (Gian Carlo Pajetta?); Candidati: Vincenzo Bianco, Luigi Lomellina, Mario Montagnana, Giordano Pratolongo, Francesco Roccati, "Sesto", Ezio Zanelli; Cooptati in seguito: Luigi Amadesi, Luigi Grassi.

Ufficio Politico: Di Vittorio, Dozza, Grieco, Longo, Santhià, Togliatti, (G. C. Pajetta?).

* VII congresso Comintern

Comitato Centrale: Giuseppe Amoretti, Bibolotti, Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Gennari, Gnudi, Grieco, Longo, Cesare Massini, Montagnana, Celeste Negarville, Teresa Noce, Agostino Novella, Attilio Tonini, Luigi Viana, Zanelli; Candidati: Luigi Borelli, Rigoletto Martini.

Ufficio Politico: Di Vittorio, Gennari, Grieco, Longo, Montagnana, Negarville.

* agosto 1938 (scioglimento del CC)

Centro di riorganizzazione: Berti, Di Vittorio, Grieco, Antonio Roasio.

Centro ideologico: Berti, Di Vittorio, Grieco, Umberto Massola, Negarville, Novella, Roasio.

* V congresso

Direzione: Togliatti Palmiro (Segr. Gen.), Longo Luigi (Vice Segr. Gen.), Amendola Giorgio, Colombi Arturo, Di Vittorio Giuseppe, Li Causi Girolamo, Massola Umberto, Negarville Celeste, Novella Agostino, Pajetta Gian Carlo, Roasio Antonio, Roveda Giovanni, Scoccimarro Mauro, Secchia Pietro, Sereni Emilio, Spano Velio.

Segreteria: Togliatti, Longo, Novella, Scoccimarro, Secchia.

* VI congresso

* VII congresso

* VIII congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Giorgio Amendola, Colombi, Di Vittorio, Dozza, Ingrao, Li Causi, Novella, G.C. Pajetta, Pellegrini, Roasio, Romagnoli, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Velio Spano, Terracini, Trivelli (Fgci).

(novembre '57: morte di Di Vittorio; luglio '58: cooptati Bufalini e Scheda).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Bonazzi, Bufalini, Ingrao, G.C. Pajetta.

(luglio '58: esce Bufalini, entra E. Berlinguer).

* IX congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Alinovi, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Macaluso, Novella, G.C. Pajetta, Roasio, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Trivelli (Fgci).

(ottobre '60: Serri sostituisce Trivelli (Fgci); ottobre '62: Occhetto sostituisce Serri (Fgci)).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Barontini, Ingrao, G.C. Pajetta.

(marzo '60: entra Luciano Barca)

Ufficio di segreteria: Longo, Barca, Barontini.

* X congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Nilde Jotti, Macaluso, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Occhetto (Fgci).

(dicembre '63: cooptati galluzzi, Lama, Miana, Natta, Reichlin; agosto '64: muore Togliatti, Longo segretario).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Natta, G.C. Pajetta.

(dicembre '63: entrano Alicata e Macaluso; agosto '64: muore Togliatti, Longo segretario).

Ufficio di segreteria: Berlinguer (responsabile), Natta, Calamandrei, Di Giulio, Flamigni.

(febbraio '65: entra Luigi Pintor).

* XI congresso

Direzione:Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Chiaromonte, Colombi, Cossutta, Di Giulio, Fanti, Lina Fibbi, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, La Torre, Macaluso, Miana, Napolitano, Natta, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Tortorella, Occhetto (Fgci).

(febbraio '66: muore Romagnoli; luglio '66: entra Petruccioli (Fgci), esce Occhetto; ottobre '66: cooptati Alinovi e Occhetto).

Ufficio politico: Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli.

(dicembre '66: muore Alicata; luglio '67: entra Macaluso).

Segreteria: Longo, Bufalini, Cossutta, Macaluso, Napolitano, Natta.

(febbraio '66: entra Di Giulio; luglio '67: esce Macaluso, entra Occhetto).

* XII congresso

Direzione: Longo, Berlinguer, Alinovi, Amendola, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente Ccc), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, G.C. Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romeo, Scheda, Scoccimarro, Sereni, Adriana Seroni, Terracini, Tortorella, Petruccioli (Fgci).

(marzo '69: entra G.F. Borghini, Fgci, esce Petruccioli; aprile '70: dimissioni per incompatibilità di Lama e Scheda; gennaio '72: muore Scoccimarro).

Ufficio politico: Longo, Berlinguer, Amendola, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Tortorella.

(luglio '69: dimissioni Novella dal sindacato; aprile '70: cooptato Novella; ottobre '70 cooptato Natta).

Segreteria: Longo, Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Natta, Pecchioli.

(ottobre '70: esce Natta, entra Galluzzi).

* XIII congresso

Direzione (38 membri): Berlinguer, Longo, Alinovi, Amendola, Luciano Barca, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente Ccc), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Vincenzo Galetti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, G.C. Pajetta, Pecchioli, Edoardo Perna, Luigi Petroselli, Elio Quercioli, Reichlin, Romeo, Sereni, Seroni, Rino Serri, Terracini, Tortorella, Borghini (Fgci). (giugno '72: Renzo Imbeni, Fgci, sostituisce Borghini; luglio '72 cooptati per confluenza del Psiup: Domenico Ceravolo, Dario Valori, Tullio Vecchietti; settembre'74: muore Novella)

Ufficio politico: Berlinguer, Longo, Amendola, Bufalini, Chiaromonte, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Natta, Novella, Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Tortorella. (luglio '72 cooptati: Valori, Vecchietti).

Segreteria: Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Pajetta, Pecchioli.

* XIV congresso

* XV congresso

* XVI congresso

* XVII congresso

Direzione (39 membri): Alessandro Natta, Antonio Bassolino, Giovanni Berlinguer, Gianfranco Borghini, Bufalini, Gianni Cervetti, Chiaromonte, Luigi Colajanni, Piero Fassino, Pietro Ingrao, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli, Giulio Quericin, Umberto Ranieri, Alfredo Reichlin, Roberto Speciale, Aldo Tortorella, Lalla Trupia, Livia Turco, Michele Ventura, ....

Segreteria: Alessandro Natta, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Fabio Mussi, Achille Occhetto, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli, Livia Turco

(luglio '87: Occhetto vicesegretario; giugno '88: Occhetto sostituisce Natta)

* XVIII congresso

Direzione (52 membri): Achille Occhetto, Tiziana Arista, Luciana Castellina, Cristina Cecchini, Silvana Dameri, Barbara Pollastrini, Alfonsina Rinaldi, Silvano Andriani, Luigi Berlinguer, Goffredo Bettini, Gian Mario Cazzaniga, Biagio De Giovanni, Claudio Burlando, Vannino Chiti, Pietro Folena, Francesco Ghirelli, Claudio Petruccioli, Pino Soriero, Lanfraco Turci, Walter Veltroni, Ersilia Salvato, Renzo Imbeni, Piero Fassino, Livia Turco, Fabio Mussi, Claudio Petruccioli, Luciano Guerzoni, Alfonsina Rinaldi...

Segreteria: Achille Occhetto, Antonio Bassolino, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Fabio Mussi, Claudio Petruccioli, Livia Turco, Walter Veltroni.

* XIX congresso

Direzione (43 membri: 3 di diritto, 27 mozione 1, 12 mozione 2, 1 mozione 3): Achille Occhetto, Aldo Tortorella, Giglia Tedesco (presidente garanti), Massimo D'Alema, Antonio Bassolino, G.C. Pajetta, Claudio Petruccioli, Livia Turco, Alfonsina Rinaldi, ..., Gavino Angius, Gianni Aresta, Alberto Asor Rosa, Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Luciana Castellina, Giuseppe Chiarante, Marco Fumagalli, Sergio Garavini, Lucio Magri, Adalberto Minucci, Ersilia Salvato, Armando Cossutta.

Segreteria: Achille Occhetto, Massimo D'Alema, Antonio Bassolino, Claudio Petruccioli, Umberto Ranieri, Giulia Rodano, Cesare Salvi, Livia Turco.

Capigruppo alla Camera [modifica]

* Palmiro Togliatti (1948-1964)

* Pietro Ingrao (1964-1972)

* Alessandro Natta (1972-1979)

* Fernando Di Giulio (1979-1981)

* Giorgio Napolitano (1981-1986)

* Renato Zangheri (1986-1990)

* Giulio Quercini (1990-1991)

Capigruppo al Senato [modifica]

* Gerardo Chiaromonte (1983-1986)

* Ugo Pecchioli (1986-1991)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Livorno, 21 gennaio 1921 - Chiusura del diciassettesimo congresso del PSI

* II Congresso - Roma, 20-24 marzo 1922

* III Congresso - Lione, 20-26 gennaio 1926, in esilio

* IV Congresso - Colonia, 14-21 aprile 1931, in esilio

* V Congresso - Roma, 29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946

* VI Congresso - Milano, 4-10 gennaio 1948

* VII Congresso - Roma, 3-8 aprile 1951

* VIII Congresso - Roma, 8-14 dicembre 1956

* IX Congresso - Roma, 30 gennaio - 4 febbraio 1960

* X Congresso - Roma, 2-8 dicembre 1962

* XI Congresso - Roma, 25-31 gennaio 1966

* XII Congresso - Bologna, 8-15 febbraio 1969

* XIII Congresso - Milano, 13-17 marzo 1972

* XIV Congresso - Roma, 18-23 marzo 1975 - Intesa e lotta di tutte le forze democratiche e popolari per la salvezza e la rinascita dell'Italia

* XV Congresso - Roma, 30 marzo - 3 aprile 1979 - Avanzare verso il socialismo in Italia e in Europa. Nella pace e nella democrazia. Unità delle forze operaie, popolari e democratiche

* XVI Congresso - Milano, 2-6 marzo 1983 - Un'alternativa democratica per rinnovare l'Italia

* XVII Congresso - Firenze, 9-13 aprile 1986 - Un moderno partito riformatore. Un programma, una alternativa per l'Italia e per l'Europa

* XVIII Congresso - Roma, 18-22 marzo 1989 - Il nuovo Pci in Italia e in Europa. È il tempo dell'alternativa

* XIX Congresso - Bologna, 7-11 marzo 1990 - Una nuova fase per la sinistra

* XX Congresso - Rimini, 31 gennaio - 3 febbraio 1991

Conferenze Nazionali [modifica]

* I Conferenza Nazionale - Como, maggio 1924

* II Conferenza Nazionale - Basilea, 22-26 gennaio 1928

o Conferenza straordinaria - Parigi, 11-13 agosto 1939

* III Conferenza Nazionale - Firenze, 6-10 gennaio 1947

* IV Conferenza Nazionale - Roma, 9-14 gennaio 1955

* V Conferenza Nazionale - Napoli, 12-15 marzo 1964

Consigli Nazionali [modifica]

* I Consiglio Nazionale - Napoli, 30 marzo - 1ş aprile 1944

* II Consiglio Nazionale - Roma, 7-10 aprile 1945

* III Consiglio Nazionale - Roma, 15-17 aprile 1953 - Per un governo di pace e di riforme sociali per un'Italia democratica e indipendente

* IV Consiglio Nazionale - Roma, 3-5 aprile 1956

* V Consiglio Nazionale - Roma, 9-10 aprile 1958

* VI Consiglio Nazionale - Roma, 24 settembre 1960

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1921 - 42.790

* 1922 - 24.790

* 1923 - 9.618

* 1924 - 17.373

* 1925 - 24.837

* 1926 - 15.285

* 1927 - 6.329 (presunti)

* 1932 - 7.577 (presunti)

* 1943 - 6.000 (presunti)

* 1944 - 501.960

* 1945 - 1.770.896

* 1946 - 2.068.272

* 1947 - 2.252.446

* 1948 - 2.115.232

* 1949 - 2.027.271

* 1950 - 2.112.593

* 1951 - 2.097.830

* 1952 - 2.093.540

* 1953 - 2.134.285

* 1954 - 2.145.317

* 1955 - 2.090.006

* 1956 - 2.035.353

* 1957 - 1.825.342

* 1958 - 1.818.606

* 1959 - 1.789.269

* 1960 - 1.792.974

* 1961 - 1.728.620

* 1962 - 1.630.550

* 1963 - 1.615.571

* 1964 - 1.641.214

* 1965 - 1.615.296

* 1966 - 1.575.935

* 1967 - 1.534.705

* 1968 - 1.502.862

* 1969 - 1.503.816

* 1970 - 1.507.047

* 1971 - 1.521.642

* 1972 - 1.584.659

* 1973 - 1.623.082

* 1974 - 1.657.825

* 1975 - 1.730.453

* 1976 - 1.814.262

* 1977 - 1.814.154

* 1978 - 1.790.450

* 1979 - 1.761.297

* 1980 - 1.751.323

* 1981 - 1.714.052

* 1982 - 1.673.751

* 1983 - 1.635.264

* 1984 - 1.619.940

* 1985 - 1.595.281

* 1986 - 1.551.576

* 1987 - 1.508.140

* 1988 - 1.462.281

* 1989 - 1.421.230

* 1990 - 1.264.790

Giornali e riviste [modifica]

* Critica Marxista

* L'Ora

* L'Ordine Nuovo

* L'Unità

* Paese Sera

* Quaderno dell'attivista

* Rinascita

* Società

* Vie nuove

Galleria fotografica [modifica]

Comizio a Porta Venezia a Milano di Pietro Ingrao (26 luglio 1943)

Corteo contro l'inflazione a Piazza del Popolo a Roma (settembre 1947)

Enrico Berlinguer parla a un comizio a Borgo San Lorenzo (FI) nel 1947.

Manifestazione a favore dell'Unione Sovietica di alcuni militanti (novembre 1948)

L'VIII Congresso a Roma (14 dicembre 1956)

Luigi Longo e Palmiro Togliatti votano durante l'VIII Congresso (dicembre 1956)

La sezione San Giovanni di Roma ospita alcuni delegati cinesi per il X Congresso di partito nel 1962.

Alcuni militanti all'interno della sezione San Giovanni a Roma nel 1962.

Funerali di Palmiro Togliatti a Piazza San Giovanni a Roma, il 25 agosto 1964

Una sezione espone i risultati delle Elezioni politiche del 1968

Berlinguer al XIII congresso del partito a Milano (1972)

Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao al XIII congresso del partito a Milano (1972)

Alcuni militanti sfilano sul Canal Grande a Venezia (1973).

Militanti alla Festa dell'Unità di Bologna (1974).

Giorgio Napolitano parla alla Festa dell'Unità di Milano (1975)

La Festa dell'Unità di Genova del 1978.

Militanti alla Festa dell'Unità di Genova del 1978.

Manifestazione del FGCI a Roma nel 1980.

Un uomo legge l'Unità ai funerali di Enrico Berlinguer (1984)

Sandro Pertini presso il feretro di Enrico Berlinguer (1984)

 

Bibliografia [modifica]

Libri [modifica]

* Aldo Agosti. Storia del Partito comunista italiano 1921-1991. Roma-Bari, Laterza, 1999. ISBN 88-420-5965-X.

* Eva Paola Amendola. Storia fotografica del partito comunista italiano. 2 vol. Roma, Editori riuniti, 1986.

* Luciano Barca. Cronache dall'interno del vertice del PCI. 3 vol. Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2005. ISBN 88-498-1257-4.

* Giorgio Galli. Storia del PCI. Milano, Kaos edizioni, 1993.

* Giovanni Gozzini, Renzo Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. 7, Torino, Einaudi, 1998.

* Giuseppe Carlo Marino, Autoritratto del Pci staliniano 1946-1953, Roma, Editori Riuniti, 1991.

* Renzo Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. 6, Torino, Einaudi, 1995.

* Paolo Spriano. Storia del Partito Comunista Italiano. 5 voll. Torino, Einaudi, 1967-1975.

* Umberto Terracini, Come nacque la Costituzione, Roma, Editori Riuniti, 1997.

* Albertina Vittoria. Storia del PCI 1921-1991, Roma, Carocci, 2006.

Saggi e articoli [modifica]

* Luciano Pellicani, Mondolfo e Gramsci di fronte alla Rivoluzione bolscevica, in "Mondoperaio", n. 2, 2001, pp. 105-110

Voci correlate [modifica]

* Manifesto del Partito Comunista

* Comunismo

* Movimenti comunisti

* Storia del Partito Comunista d'Italia

* Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste

* Eurocomunismo

* CGIL

* ARCI

* Lega delle Cooperative

* Unipol

* Apparato paramilitare del PCI (1945-55)

* Governo ombra del Partito Comunista Italiano

* Partito Democratico della Sinistra (PDS)

* Partito della Rifondazione Comunista (PRC)

* Sinistra Indipendente

Note [modifica]

1. ^ Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Capitolo: L'insurrezione armata e le elezioni del 1948 - pag 239-240 - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

2. ^ Intervento di Berlinguer sulla Fiducia al Governo Andreotti nella seduta della Camera dei Deputati del 16 marzo 1978, pagina 14523

3. ^ Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, I, Da Bordiga a Gramsci, Einaudi, Torino 1967.

Altri progetti [modifica]

* Commons

* Collabora a Commons Wikimedia Commons contiene file multimediali sul Partito Comunista Italiano

Collegamenti esterni [modifica]

* Sito ufficiale dei DS

* Sito ufficiale del PRC

* Sito ufficiale del PdCI

* La storia del Partito Comunista Italiano Sito sulla storia del Pci

* L'attentato a Togliatti La Storia siamo Noi - Rai Educational

* Enrico Berlinguer. un ricordo La Storia siamo Noi - Rai Educational

* Una scelta di vita - La storia della formazione dei dirigenti del PCI La Storia siamo Noi - Rai Educational

* XV congresso (30/3/1979)

* XV congresso (31/3/1979)

* XV congresso (1/4/1979)

* XV congresso (2/4/1979)

* XV congresso (3/4/1979)

* XVI congresso (2/3/1983)

* XVI congresso (3/3/1983)

* XVI congresso (4/3/1983)

* XVI congresso (5/3/1983)

* XVI congresso (6/3/1983)

* XVII congresso (9/4/1986)

* XVII congresso (10/4/1986)

* XVII congresso (11/4/1986)

* XVII congresso (12/4/1986)

* XVII congresso (13/4/1986)

* XVIII congresso (18/3/1989)

* XVIII congresso (19/3/1989)

* XVIII congresso (20/3/1989)

* XVIII congresso (21/3/1989)

* XVIII congresso (22/3/1989)

* XIX congresso (7/3/1990)

* XIX congresso (8/3/1990)

* XIX congresso (9/3/1990)

* XIX congresso (10/3/1990)

* XIX congresso (11/3/1990)

* XX congresso (31/1/1991)

* XX congresso (1/2/1991)

* XX congresso (2/2/1991)

* XX congresso (3/2/1991)

 

[nascondi]

v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

* Politica Portale Politica

* Storia Portale Storia

* Comunismo Portale Comunismo

 

 

Democrazia Cristiana

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

Vai a: Navigazione, cerca

bussola Disambiguazione – Se stai cercando altri partiti con lo stesso nome, vedi Democrazia Cristiana (disambigua).

Democrazia Cristiana

Democrazia cristiana logo.jpg

Partito politico italiano del passato

Leader storici Alcide De Gasperi, Aldo Moro, Amintore Fanfani, Giulio Andreotti

Periodo di attività 15 dicembre 1943 - 16 gennaio 1994

Sede Piazza del Gesù, Roma

Coalizioni CLN (1944-1947), Centrismo (1947-1962), Centro-sinistra (1963-1979), Pentapartito (1980-1994)

Partito Europeo PPE

Ideologia Centrismo

Cristianesimo sociale

Cristianesimo democratico

Collocazione Centro

alternando posizioni di centro-sinistra e centro-destra

Numero massimo di seggi alla Camera 305 (nel 1948)

Numero massimo di seggi al Senato 150 (nel 1948)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 29 (nel 1979)

Organo ufficiale Il Popolo

La Democrazia Cristiana (DC) è stato un partito politico italiano di ispirazione democratico-cristiana e moderato, fondato nel 1942 ed attivo sino al 1994. Ha avuto un ruolo importante nella rinascita democratica italiana e nella costruzione europea. Esponenti democristiani hanno fatto parte di tutti i governi italiani dal 1944 al 1994, esprimendo quasi sempre il presidente del consiglio dei ministri. La DC è stata sempre il primo partito alle consultazioni politiche nazionali cui ha partecipato, con una sola eccezione, nel 1984[1].

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Gli anni della guerra 1942-1945

+ 1.1.1 La partecipazione alla resistenza

+ 1.1.2 Tensioni tra partigiani cattolici e comunisti

# 1.1.2.1 Tensioni durante la guerra

# 1.1.2.2 Tensioni nel dopoguerra

o 1.2 La fase iniziale e costituente (1944-1948)

o 1.3 La rottura tra partiti filo-occidentali e partiti filo-sovietici

* 2 Lo spettro della guerra civile

o 2.1 Il centrismo

o 2.2 La campagna elettorale del 1948

o 2.3 I Legislatura - Gli anni del centrismo degasperiano 1948-1953

o 2.4 II Legislatura (1953-1958) - L'avvento delle nuove generazioni

o 2.5 III Legislatura (1958-1963) - La spinta a superare il centrismo

o 2.6 IV Legislatura (1963-1968)- Il centro-sinistra

o 2.7 V Legislatura (1968-1972) - Gli anni della contestazione

o 2.8 VI Legislatura (1972-1976) - Di fronte all'ascesa del Pci

o 2.9 VII Legislatura (1976-1979) -Dal centrosinistra alla solidarietà nazionale

o 2.10 Dal pentapartito verso la fine

o 2.11 VIII-Legislatura 1979-1983

o 2.12 IX Legislatura - Dal 1983 al 1987

o 2.13 X Legislatura - Dal 1987 al 1992

o 2.14 XI Legislatura - Dal 1992 al 1994

* 3 Le correnti interne alla DC

o 3.1 Le prime tendenze

o 3.2 Lo strutturarsi delle correnti

o 3.3 L'ultimo Congresso Nazionale

o 3.4 Lo scioglimento del partito

* 4 La diaspora democristiana

o 4.1 Il disperdersi del patrimonio immobiliare

* 5 Risultati elettorali

* 6 Segretari

* 7 Congressi

* 8 Iscritti

* 9 Cariche istituzionali

* 10 Note

* 11 Bibliografia

* 12 Altri progetti

* 13 Voci correlate

* 14 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Parte delle serie politiche sul

Cristianesimo democratico

Latin Cross.svg

Attuali

Cristianesimo democratico

Cristianesimo sociale

Cristianesimo liberale

Conservatorismo cristiano

Influenze

Dottrina sociale della Chiesa

Economia sociale di mercato

Economia mista

Neo-calvinismo

Umanesimo cristiano

Idee

Rerum Novarum

Graves de Communi Re

Quadragesimo Anno

Laborem Exercens

Sollicitudo Rei Socialis

Appello ai liberi e forti

Centesimus Annus

Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana

Ideatori

Don Luigi Sturzo

Romolo Murri

Alcide De Gasperi

Giuseppe Toniolo

Konrad Adenauer

Robert Schuman

Varie

Democrazia Cristiana

Organizzazioni

Internazionale Democratica Centrista

Partito Popolare Europeo

Portale della Politica

Gli anni della guerra 1942-1945 [modifica]

Dopo il forzato scioglimento del Partito Popolare Italiano (PPI) da parte del fascismo nel 1926, i cattolici non costituirono formazioni politiche antifasciste né nella clandestinità né nell'esilio. Tutti i maggiori esponenti del PPI furono costretti all'esilio o a ritirarsi dalla vita politica e sociale. Poterono invece continuare ad operare anche sotto il regime, seppure con qualche restrizione, formazioni sociali come l'Azione Cattolica e la Federazione Universitaria Cattolica Italiana (FUCI).

Nell’ottobre 1942, mentre si profilava la sconfitta del regime, il partito della Democrazia Cristiana venne fondato da Alcide De Gasperi, presso l'abitazione dell'industriale dell'acciaio Enrico Falck, a Milano, assieme ad esponenti del disciolto Partito Popolare Italiano di don Luigi Sturzo, del Movimento Guelfo d'Azione di Piero Malvestiti e ad intellettuali provenienti dalle organizzazioni cattoliche, come l'Azione Cattolica e la FUCI. Tra i fondatori, oltre a Sturzo e De Gasperi, si ricordano Mario Scelba, Attilio Piccioni, Camillo Corsanego e Giovanni Gronchi del PPI, Aldo Moro e Giulio Andreotti dell'Azione Cattolica e Amintore Fanfani e Giuseppe Dossetti della FUCI e Giuseppe Alessi, primo presidente della Regione Siciliana, che creò lo stemma successivamente modificato da Luigi Sturzo; Alcide De Gasperi ricevette solo sei mesi dopo la versione definitiva dello "scudo crociato".

All'inizio partecipa ai primi incontri di fondazione anche un gruppo attivo nella Resistenza, il Movimento Cristiano Sociale di Gerardo Bruni, che però, su posizioni socialiste e anticapitaliste, presto si dissocia e darà poi vita a un partito autonomo di breve durata, il Partito Cristiano Sociale.

Il partito fondato da De Gasperi visse una vita clandestina, senza organizzare attività antifasciste, fino al 25 luglio 1943. Il governo Badoglio, pur ufficialmente vietando la ricostituzione dei partiti, di fatto ne consentì l'esistenza, incontrandone gli esponenti in due occasioni prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943. Il 10 settembre, anche la DC partecipò alla costituzione del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), all'interno del quale il partito cercò di assumere la guida delle forze politiche più moderate, contrapponendosi ai partiti di sinistra (PCI e PSIUP). L'atteggiamento della DC, in linea con quello della Chiesa, era di evitare prese di posizione troppo nette sul destino della monarchia nel dopoguerra, e di ridurre la portata della lotta armata, ad esempio schierandosi a favore della dichiarazione di Roma "città aperta".

La partecipazione alla resistenza [modifica]

Alcide De Gasperi, fondatore della DC

A partire dal 1943 il neonato partito partecipò nelle zone occupate alla Resistenza con proprie forze, radunate in Brigate, che erano l'unità organizzativa delle forze partigiane. I partiti del CLN avevano ognuno proprie forze, normalmente in brigate di corrispondente colore politico. Le forze facenti riferimento alla Democrazia Cristiana furono nettamente inferiori rispetto alle forze del Partito Comunista e del Partito d'Azione.

Le Brigate che facevano riferimento alla Democrazia Cristiana ebbero vari nomi a seconda del territorio in cui operarono: nell'Emilia e nella bassa Lombardia si chiamarono Fiamme Verdi, in altre regioni Brigate del popolo, oppure Brigate Osoppo, od anche altri nomi a seconda della località. Inoltre persone di orientamento cattolico si arruolarono in brigate di altro colore politico per vicinanza territoriale, amicizie personali od altre cause.

Rappresentante della DC nel Corpo dei Volontari della Libertà, che organizzava la Resistenza, fu Enrico Mattei, il quale cercò di portare sotto le bandiere del suo partito numerose formazioni "autonome" precedentemente costituite. Si calcola che su circa 200.000 partigiani armati nei giorni intorno al 25 aprile 1945, 30.000 appartenessero alle formazioni legate alla DC[2].

Le formazioni di orientamento cattolico ebbero in genere un atteggiamento prudente, sia nei confronti della popolazione, che cercarono di trattare umanamente e cercarono di non esporre inutilmente, che nei confronti degli avversari, nei cui confronti evitarono provocazioni che potessero portare a rappresaglie sulla popolazione, sia nei confronti delle formazioni partigiane di diverso orientamento politico, cercando di collaborare, nonostante momenti difficili e in alcuni casi anche scontri, apportando un contributo di equilibrio.

Tensioni tra partigiani cattolici e comunisti [modifica]

Tensioni durante la guerra [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Eccidio di Porzus.

Indicative dei rapporti tra cattolici e comunisti sono alcune frasi. È famosa una espressione in uso tra i partigiani delle 'Fiamme Verdi', nelle riunioni dopo la guerra, riferentesi al tempo della guerra di liberazione: "Si discuteva, tra noi e i comunisti, con la pistola sotto il tavolo. Ma si discuteva"[3]

Giuseppe Dossetti, in una lettera a don Carlo Orlandini, comandante delle 'Fiamme Verdi (RE)', riferendosi ai partigiani di altra fede politica, si esprime così: "Imprescindibili pregiudiziali di ordine morale e politico ci impediscono di assumere ancora una volta la responsabilità di tutto quanto loro compiono sotto il titolo di lotta di liberazione."[4] Casi particolarmente gravi di tensioni furono raggiunti sul confine orientale.

Tensioni nel dopoguerra [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi le voci Comitati civici, Triangolo rosso, Uccisione di ecclesiastici nel secondo dopoguerra (1945-1947), Giorgio Morelli, Mario Simonazzi, Eccidio dei conti Manzoni e Volante Rossa.

Le tensioni continuarono e si accentuarono progressivamente nel dopoguerra, sfociando spesso in fatti di sangue. La prima parte della resistenza aveva risolto il dualismo tra le due parti in guerra guerreggiata, ma aveva lasciato irrisolto il nodo dello status dell'Italia, una volta liberata dalla occupazione straniera: democrazia e libertà o dittatura comunista? Forze filo-democratiche e forze filo-autocratiche avevano collaborato alla vittoria sui nemici esterni, ma si poneva ora il problema di chi avrebbe colto i frutti della vittoria.

Lo scontro fu subito assai duro, tra i vincitori della prima parte della resistenza, con un numero elevato di morti. I dirigenti del PCI facevano dettagliati rapporti sulla situazione all'ambasciatore sovietico, a quel tempo Mikhail Kostylev, che a sua volta riferiva al Cremlino. Il segretario del PCI ebbe uno di tali incontri il 31 maggio 1945 e l'ambasciatore riferì "Ercoli (Palmiro Togliatti), considera circa 50.000".[5] Una seconda guerra civile, a bassa intensità, tra i vincitori della prima, durò fino alle elezioni del 1948, che decisero lo scontro a favore della democrazia e della libertà, ma in alcune zone anche oltre.

La fase iniziale e costituente (1944-1948) [modifica]

La Democrazia Cristiana partecipò al governo Governo Badoglio II, insieme con gli altri partiti del CLN. Dopo la liberazione di Roma, venne formato il Governo Bonomi II, (giugno 1944), durante il quale la Dc decise di partecipare alla fondazione della nuova CGIL (fusione tra la CGL, di sinistra, e la CIL, cattolica), dando vita nel contempo alle ACLI e, per organizzare i lavoratori delle campagne, alla Coldiretti. Il I Congresso Interregionale del partito nominò segretario De Gasperi. Nel dicembre 1944, il Psiup e il Pd'A uscirono dal governo, nel quale si rafforzò il ruolo di De Gasperi, che divenne Ministro degli Esteri (Governo Bonomi III). Dopo il 25 aprile, si formò il Governo Parri, nuovamente con socialisti e "azionisti", nel quale si cementò l'alleanza tra democristiani e liberali. Nel dicembre 1945 la Presidenza del Consiglio fu assunta direttamente da Alcide de Gasperi (Governo De Gasperi I), il quale gestì le elezioni e il Referendum Istituzionale tra Monarchia e Repubblica (2 giugno 1946).In precedenza, il I Congresso della Dc aveva confermato De Gasperi nel ruolo di segretario del partito.

Dopo il referendum istituzionale, il leader democristiano gestì efficacemente il trapasso dei poteri dal Re alla Repubblica (Governo De Gasperi II), lasciando la segreteria ad Attilio Piccioni. Nel gennaio 1947 il Governo De Gasperi III si caratterizzò per la riduzione del peso del Pci nel campo della politica economica.

La rottura tra partiti filo-occidentali e partiti filo-sovietici [modifica]

Con il Governo De Gasperi IV 31 maggio 1947 la Democrazia Cristiana scelse la strada della contrapposizione tra partiti democratici e partiti di matrice marxista-leninista, con l'esclusione dal governo di comunisti e socialisti, ponendo fine ai governi di unità nazionale. Alla rottura si giunse dopo un lungo periodo di difficile coabitazione. La guerra per la liberazione aveva tenuto assieme culture assai differenti. Vi era un gruppo di partiti politici filo-occidentali ed un gruppo di partiti politici che guardavano al modello sovietico. La rottura era inevitabile ed avvenne nel 1947.

Gli storici Victor Zaslavsky e Elena Aga-Rossi hanno esaminato l'atteggiamento del Partito Comunista e dell'Unione Sovietica nei confronti dell'Italia. Negli ultimi anni, dopo la caduta del Comunismo in Russia, sono stati resi accessibili al pubblico molti documenti riguardanti gli anni successivi alla II Guerra Mondiale. Victor Zaslavsky ha esaminato a Mosca molti documenti di questo periodo, pubblicando la traduzione di alcuni.[6]

Elementi che accelerarono la rottura furono inoltre i frequenti atti di terrorismo, tendenti a rafforzare una delle parti politiche in lotta. Secondo i dati trovati dallo storico Victor Zaslavsky gli atti di terrorismo erano coerenti con lo scopo di facilitare la presa del potere. Dalla fine della guerra alle elezioni del 1948 furono molte migliaia le persone assassinate, talvolta aderenti al regime sconfitto, talvolta anche ex-membri della Resistenza, ma di orientamento politico a favore della democrazia, talvolta ecclesiastici, visti come propagandisti della Democrazia Cristiana.

Peraltro l'atteggiamento di Togliatti era volto a evitare lo scontro diretto, come mostrò la sconfessione dell'occupazione della Prefettura di Milano da parte di milizie partigiane comuniste armate alla fine novembre 1947, cui parteciparono esponenti di vertici del PCI, come Giancarlo Pajetta.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Ettore Troilo.

Lo spettro della guerra civile [modifica]

Lo spettro della guerra civile, come resa dei conti tra i due raggruppamenti usciti vincitori dalla I parte della Resistenza, aleggiò a lungo in Italia. Poco dopo la fine della guerra alcuni gruppi di Partigiani, insoddisfatti, ripresero la via dei monti, ed a fatica furono persuasi dai capi a rientrare. Nel settembre 1947 il Ministro dell'Interno Mario Scelba aveva preparato un piano di emergenza per contrastare un tentativo di colpo di stato delle sinistre.

Il 3 e il 4 dicembre 1947 la direzione della Democrazia Cristiana tenne due riunioni. I dirigenti che intervennero nella riunione furono tutti concordi nella necessità di prepararsi alla guerra civile, pur riconoscendo che essa sarebbe scoppiata solo in caso di ordini precisi da Mosca e non per iniziativa autonoma del Pci. Il dibattito si incentrò sulle forze su cui era possibile contare e sulle iniziative da prendere per contrastare una azione armata della sinistra. Scelba e Taviani concordarono nella debolezza dell'esercito e nella necessità di rafforzare le possibilità dello stato.[7]

La rigidità gerarchica delle strutture dell'apparato comunista, in cui la decisione finale spettava sempre solo a Mosca, e la visione Geopolitica valida era solo di Mosca, non lasciarono spazio a decisioni specifiche del Partito Comunista Italiano. La visione Geopolitica Moscovita non considerava utile una guerra civile in Italia, e quando il segretario del partito nel colloquio con l'ambasciatore sovietico del 23 marzo 1948, in vicinanza delle elezioni convocate per il 18 aprile, chiese istruzioni, la rapida risposta del Comitato Centrale Sovietico il 26 marzo fu negativa.[8]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Apparato paramilitare del PCI.

Il centrismo [modifica]

Iniziava il "centrismo", un sistema di alleanze tra la Democrazia Cristiana (DC), il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSDI), il Partito Repubblicano Italiano (PRI), il Partito Liberale Italiano (PLI), e l'affermazione della così detta conventio ad excludendum, estesa fino all'inizio anni '60 a comunisti e socialisti e missini, e successivamente limitata ai soli comunisti e missini.

Il periodo 1945-1948 fu un periodo difficile, di instabilità sociale, con frequenti disordini che le forze dell'ordine e lo stesso governo spesso non riuscivano a gestire al meglio.

Dal 1946 al 1948, la Democrazia Cristiana nell'Assemblea Costituente, partecipò alla stesura della Costituzione italiana, impegnandosi ad evitare un ritorno al passato fascista e contemporaneamente, ad evitare una strada marxista per la società italiana, pur collaborando con i comunisti ed i socialisti. Infatti la DC riuscì, quale partito di maggioranza relativa, a dialogare con tutti gli altri partiti dell'arco costituzionale, assicurando così al Paese una Carta Costituzionale ampiamente condivisa. Esempio di questo impegno è l'art. 1 della Costituzione, che nel definire l'Italia "una repubblica democratica fondata sul lavoro", evitò il riferimento tanto alla "repubblica dei lavoratori" di stampo decisamente marxista, quanto il riferimento ad uno Stato di impostazione liberal-capitalista. La base della DC era infatti interclassista.

La campagna elettorale del 1948 [modifica]

Alle elezioni politiche del 1948, vi fu una durissima campagna elettorale contro il Fronte Democratico Popolare, composto da comunisti e socialisti.

La propaganda politica la presentò come uno scontro tra libertà-capitalismo occidentale e totalitarismo-statalismo comunista (rappresentato dal Partito Comunista).

Assai rilevante fu il contributo della Chiesa, che scese in campo a favore della DC. Uno strumento importante furono i Comitati Civici, organizzati da Luigi Gedda.

Vi erano alcuni elementi che pesavano contro il FRONTE.

* Il colpo di Stato in Cecoslovacchia contribuì al formarsi di un'opinione sfavorevole nei confronti del Fronte.

* Elemento pure sfavorevole al Fronte fu il ritorno dei prigionieri di guerra italiani dalla Russia.[9]

* Altro elemento sfavorevole al Fronte fu la questione di Trieste.[10]

* Ulteriore elemento sfavorevole al Fronte fu la questione degli aiuti alla Ricostruzione, assai più probabili da parte Anglo-Americana che da parte Russa.[11]

Alle elezioni politiche del 1948, la DC (che nel suo II Congresso, alla fine del 1947, aveva mostrato una notevole compattezza, evitando di suddividersi in correnti) ottenne il 48.5% dei suffragi (12.700.000 voti), assicurando così la nascita di un governo di centro, insieme a PLI, PRI e PSDI. Il Fronte Democratico Popolare, composto da comunisti e socialisti ottenne il 31% dei suffragi (poco più di otto milioni di voti).

Il risultato delle elezioni del 1948 unito alla prudenza di Stalin stabilizzò la democrazia in Italia. (Il 23 marzo 1945, in imminenza delle elezioni, Togliatti aveva chiesto a Mosca istruzioni sul possibile uso dell'Apparato paramilitare del PCI ricevendo risposta "di non attuare una insurrezione armata in nessun modo".[12])

I Legislatura - Gli anni del centrismo degasperiano 1948-1953 [modifica]

In questi anni, la DC fondò governi con PSDI, PRI e PLI. I governi furono sempre guidati da Alcide De Gasperi. Primo di questi fu il Governo De Gasperi V (dopo il quale divenne segretario della Dc Giuseppe Cappi), caratterizzato da una politica moderatamente riformista (piano Ina-casa); la corrente di Giuseppe Dossetti, al III Congresso democristiano nel 1949 chiese di accelerare la politica di riforme, mentre la maggioranza degasperiana elesse segretario Taviani. All'inizio del 1950, in seguito a scontri in cui la polizia uccise alcuni manifestanti, il governo si dimise, e si costituì il Governo De Gasperi VI. Pochi mesi dopo, Gonella divenne segretario, e la corrente dossettiana, ispirandosi al laburismo inglese, ampliò la propria influenza, dando una forte spinta alle riforme (riforma agraria, Cassa del Mezzogiorno, ENI). Nel 1951 fu la volta del Governo De Gasperi VII, che segnò il ritiro di Dossetti dalla politica e la crescita del peso di Fanfani.

In questi anni la Dc risultava dipendente sul piano organizzativo dall'Azione Cattolica. Tuttavia, De Gasperi fece fallire la cosiddetta "operazione Sturzo", cioè il tentativo, appoggiato dal Vaticano, e sollecitato da Pio XII, di formare in occasione delle elezioni comunali di Roma del 1952 una lista civica aperta anche ai monarchici e all'Msi, organizzata da don Sturzo. Grazie alla mediazione di Andreotti, ben introdotto presso il Papa, De Gasperi fece fallire il progetto.

Sul piano della vita interna al partito, l'evento più rilevante fu la fondazione della nuova corrente di "Iniziativa democratica" (novembre 1951), sorta sulle ceneri di quella dossettiana, ma aperta anche a persone di altra provenienza (come Taviani). Il IV Congresso della Dc (novembre 1952), vide comunque il partito compatto intorno alla proposta di riforma elettorale sostenuta da De Gasperi.

Il risultato delle elezioni, però, segnò la sconfitta del progetto, in quanto la Dc e i suoi alleati rimasero, sia pure di poco, al di sotto del 50% dei voti, necessario per fare scattare il premio di maggioranza, perdendo voti più a vantaggio della destra (Pnm e Msi) che della sinistra.

II Legislatura (1953-1958) - L'avvento delle nuove generazioni [modifica]

Dopo le elezioni del 1953, e un breve governo De Gasperi, (Governo De Gasperi VIII), si formò il Governo Pella, appoggiato, attraverso l'astensione, dal Pnm. Nel settembre del 1953, De Gasperi tornò alla segreteria. All'inizio del 1954, caduto Pella, si costituì il Governo Fanfani I, che non ottenne la fiducia, seguito dal Governo Scelba, che ebbe un solido appoggio dalla corrente dei sindacalisti Cisl.

Contemporaneamente, il caso Montesi, discussa vicenda di cronaca nera, viene sfruttato da Fanfani, ministro degli Interni sotto Pella, per bloccare la successione di Piccioni (il cui figlio era coinvolto nella vicenda) a un De Gasperi ormai malato. Al V Congresso del partito Fanfani, con il sostegno di Iniziativa democratica, divenne segretario della Dc, mentre il partito iniziava a frantumarsi in numerose correnti (sparendo invece il vecchio centro degasperiano). Con Fanfani, la Dc sposò il principio dell'intervento pubblico nell'economia, e la necessità di rafforzare l'organizzazione, fin lì troppo dipendente da quella dell'Azione Cattolica e dal rapporto con la Confindustria. Il 19 agosto 1954, il leader storico, Alcide De Gasperi, morì.

Nell'aprile del 1955, Fanfani subì una sconfitta, quando la maggioranza del gruppo parlamentare, riunita nella cosiddetta "Concertazione", ribellandosi alle indicazioni del segretario, impose l'elezione di Giovanni Gronchi a Presidente della Repubblica.

Il governo Scelba cadde poco dopo, venendo sostituito da Segni (anch'egli di "Concertazione", che si spaccò e si sciolse), sotto cui venne creato il Ministero delle Partecipazioni Statali e l'Italia partecipò alla nascita della CEE.In questa fase fu anche attuata l'estensione mutualistica e pensionistica a tutti i lavoratori, in precedenza limitata ai soli lavoratori dipendenti. La Dc conobbe una forte crescita degli iscritti, tanto che il VI Congresso (1956) segnò il momento del massimo trionfo per Fanfani.

Nella primavera 1957 divenne capo del governo Adone Zoli, appoggiato dall'Msi, segno che ormai anche la destra democristiana accettava l'espansione dell'economia pubblica. I risultati elettorali del 1958 furono i migliori dell'intera storia della Dc, a parte l'irripetibile 1948 (42,2%)

III Legislatura (1958-1963) - La spinta a superare il centrismo [modifica]

Fernando Tambroni

Dopo il successo elettorale, Amintore Fanfani poté così formare il nuovo governo, rimanendo segretario della Dc, e occupando anche il Ministero degli Esteri. La Dc mostrò di non gradire una tale concentrazione di poteri, facendolo più volte battere alle Camere, fino a farlo cadere nel gennaio 1959 e a costringerlo ad abbandonare anche la segreteria. Al governo Fanfani fu sostituito da Antonio Segni. Queste vicende portarono alla crisi di Iniziativa democratica e alla scissione del gruppo detto dei "dorotei" (guidato da Rumor e Taviani), che elesse alla segreteria Aldo Moro, con l'appoggio delle correnti di sinistra. La Dc intanto cambiava volto, aumentando i propri iscritti nelle regioni meridionali e diminuendoli in quelle settentrionali, con le correnti trasformate più in blocchi di potere che in posizioni ideologiche. Nell'ottobre 1959, al VII Congresso, i dorotei prevalsero di poco sui fanfaniani ("Nuove cronache"), confermando comunque Moro segretario (questi costituì una propria sottocorrente detta "morotea"). Nel 1960 si aprì una difficile crisi di governo, che portò all'assegnazione dell'incarico a Fernando Tambroni (alleato di Gronchi), appoggiato dai partiti di destra. Gli scontri di piazza che ne seguirono, con morti e feriti, furono sfruttati dall'ala democristiana che desiderava un accordo con il Psi per imporre un nuovo governo di Fanfani, detto "delle convergenze parallele" (in realtà si sarebbero dovute definire simmetriche...), perché sostenuto dall'esterno da Psi e Pdium.

Nel novembre 1961 Moro stravinse l'VIII Congresso della Dc sulla base di una cauta apertura al Psi, vista come necessaria a fronte delle esigenze della nuova Italia industrializzata. Venne così costituito un nuovo governo Fanfani, con Psdi, Pri e l'astensione determinante del Psi. Nel 1962 i dorotei ottengono la Presidenza della Repubblica con Antonio Segni. Il nuovo governo, nel frattempo, nazionalizzò l'industria elettrica e istituì la scuola media unica. Alle elezioni del 1963, comunque, Dc e Psi si presentarono agli elettori come partiti non alleati tra loro, subendo peraltro una sconfitta (la Dc scese al 38,8%, cedendo voti a vantaggio del Pli).

IV Legislatura (1963-1968)- Il centro-sinistra [modifica]

La delusione per i risultati elettorali rallentò la nascita di un governo di centro-sinistra, spingendo la Dc a costituire temporaneamente un governo monocolore presieduto dal moderato Giovanni Leone; solo nel dicembre del 1963 il Psi entrò nel governo con Moro, sostituito alla segreteria da Rumor. La politica economica del governo, però, deluse il Psi e dopo pochi mesi produsse una crisi: questa si protrasse per settimane, durante le quali il Presidente Segni si mosse in maniera autonoma, anche al di fuori dei suoi compiti istituzionali (il discusso Piano Solo), allo scopo di allontanare il Psi dal governo. Alla fine prevalse la maggioranza dei dorotei, favorevole al proseguimento dell'esperienza di governo con i socialisti, purché senza contenuti riformisti, come accadde con il Governo Moro II. In autunno, il IX Congresso, pur confermando Rumor, mostrò la debolezza della maggioranza dorotea, e la relativa forza della minoranza fanfaniana: la spaccatura del partito si fece sentire alle elezioni presidenziali alla fine del 1964, favorendo la vittoria del socialdemocratico Giuseppe Saragat. Nel 1966 il governo entrò nuovamente in crisi, a causa del distacco di Moro dai dorotei, ma l'assenza di alternative portò alla nascita del Governo Moro III. Le principali correnti (dorotei, morotei, fanfaniani) si allearono nuovamente in occasione del X Congresso (1967), lasciando isolata la sinistra (Base e Forze Nuove), ma questa riunificazione si rivelò fragile e temporanea. Il fallimento della politica riformista favorì l'esplodere delle tensioni con il fenomeno del "Sessantotto". Del resto i risultati elettorali del 1968 furono favorevoli alla Dc e non ai socialisti e socialdemocratici unificati (PSU), segno che il centro-sinistra non era ostile agli interessi dei ceti legati alla Dc.

V Legislatura (1968-1972) - Gli anni della contestazione [modifica]

Dopo le elezioni del 1968, venne formato un nuovo Governo Leone, monocolore democristiano, in attesa di definire i rapporti con i socialisti del Psu. Moro, sentendosi accantonato, uscì ufficialmente dalla corrente dorotea con il suo gruppo detto "moroteo". Soltanto nel dicembre 1968 fu possibile ricostituire il centrosinistra con la leadership di Mariano Rumor, che a sua volta lasciò la segreteria della Dc al collega di corrente Flaminio Piccoli. Nel giugno 1969, al XII Congresso, la sinistra democristiana si compattò intorno a Moro, mentre i dorotei mantennero la maggioranza solo grazie all'accordo con i fanfaniani. Poco dopo la scissione in casa socialista tra il Psi e il Psu provocò la caduta del governo, che venne ricostituito ma senza disporre di una solida maggioranza. Le ripetute sconfitte provocarono il crollo della corrente dorotea, che si divise tra una componente guidata da Rumor e Piccoli (Iniziativa popolare) e l'altra (che riprese il nome ufficiale dei dorotei, Impegno democratico), guidata da Colombo e Andreotti. Il mese successivo venne eletto segretario della Dc il giovane fanfaniano Arnaldo Forlani, come soluzione di compromesso tra le correnti nel pieno del cosiddetto "autunno caldo", che culmina con la strage di Piazza Fontana. Il governo, entrato nuovamente in crisi, venne sostituito dal Governo Rumor III, che approvò lo Statuto dei lavoratori e la legge istitutiva dei referendum (con la speranza di abrogare la legge sul divorzio che stava per essere introdotta)[senza fonte], ma che entrò ancora in crisi a luglio. L'incarico di formare il governo fu affidato a Emilio Colombo, sotto il quale fu approvata la legge sul divorzio.

Le elezioni amministrative del 1971 mostrarono uno spostamento di voti a vantaggio dell'Msi, rendendo così la Dc incerta sulla strategia da seguire, come mostrò il fallimento della candidatura Fanfani alle elezioni presidenziali nel dicembre di quell'anno, nelle quali fu eletto Presidente della Repubblica Giovanni Leone con i voti determinanti di Msi e Pdium. Ne conseguì la crisi del governo Colombo e la nomina di Giulio Andreotti, il quale non disponeva della maggioranza: Leone ne trasse occasione per sciogliere le Camere per le prime elezioni anticipate della storia della Repubblica, alle quali la Dc si presentò come partito affidabile e contrapposto agli "opposti estremismi" (di destra e di sinistra). Il risultato delle elezioni mostrò la compattezza del voto cattolico a favore della Dc, mentre l'unico altro vincitore risultò proprio l'Msi-Dn.

VI Legislatura (1972-1976) - Di fronte all'ascesa del Pci [modifica]

Dato lo spostamento a destra dell'elettorato, la Dc decise di costituire un governo senza più i socialisti, sempre con la guida di Andreotti, che porta avanti una politica fortemente inflazionistica, in una fase in cui gli scontri di piazza si fanno sempre più frequenti, con morti e feriti tra i militanti di destra e di sinistra e tra le forze dell'ordine. Nella primavera del 1973 il governo Andreotti perde quindi la maggioranza, proprio mentre doveva tenersi il XII Congresso della Dc. Al congresso si formarono tre posizioni all'incirca equivalenti: quella dei dorotei "storici" (Rumor e Piccoli), quella di "destra" (Andreotti e Forlani) e la sinistra guidata di fatto da Moro: alla fine verrà eletto un segretario considerato "forte" e autorevole, ovvero Fanfani.

Formatosi un nuovo governo di centrosinistra con Rumor, Fanfani ritenne necessario un confronto diretto con la sinistra allo scopo di mostrare l'esistenza in Italia di un potenzialmente maggioritario schieramento di centro-destra, in una fase resa difficile dall'impennata dei prezzi del petrolio. La caduta del governo, comunque sostituito da un nuovo esecutivo presieduto dal solito Rumor, spinse Fanfani e tutto il gruppo dirigente della Dc a puntare sul referendum abrogativo della legge sul divorzio, nel quale però lo schieramento cattolico fu nettamente sconfitto (maggio 1974). Nell'ottobre 1974, anche il governo Rumor cadde a causa dei contrasti tra Psdi e Psi, e la Dc scelse di costituire un governo Moro, solamente con il Pri: questo puntò tutto sul tema dell'ordine pubblico e all'inizio del 1975 presentò la cosiddetta legge Reale, che ampliava i poteri della polizia (in compenso il Psi ottenne l'estensione del diritto di voto ai diciottenni e fu istituita la cassa integrazione (1975).). La campagna elettorale delle elezioni regionali fu funestata da numerosi scontri di piazza con morti e feriti tra i militanti delle varie fazioni politiche, ma il risultato non arrise alla Dc, bensì vide una grande affermazione del Pci. A questo punto Fanfani fu messo in minoranza dal Consiglio nazionale del partito, che lo sostituì con il moroteo Benigno Zaccagnini, eletto da una eterogenea maggioranza come soluzione temporanea. Ma a dicembre il Psi tolse il suo appoggio al governo, che si dimise; Moro costituì allora il suo quinto governo, senza più nemmeno il Pri. Il XIII Congresso (marzo 1975) fu molto combattuto: per la prima volta il segretario fu eletto direttamente dai delegati, e sia pure per pochi voti il "progressista" Zaccagnini (salutato dal canto di Bella ciao) prevalse sul "conservatore" Forlani. Poco dopo, per contrasti sul diritto all'aborto, la Dc fu messa in minoranza alla Camera, e scelse la strada delle elezioni anticipate; la Dc ottenne l'appoggio di un vasto schieramento moderato, non necessariamente cattolico (compreso Indro Montanelli che invitava a votare Dc "turandosi il naso", ma anche Umberto Agnelli candidato al Senato), permettendo alla Dc di mantenere un discreto vantaggio su un Pci in crescita, in un contesto di forte polarizzazione del voto. Tra gli eletti democristiani si notò un forte ricambio generazionale (ad esempio con la presenza di esponenti di Comunione e Liberazione).

VII Legislatura (1976-1979) -Dal centrosinistra alla solidarietà nazionale [modifica]

Giulio Andreotti

La Dc decise di trattare con il Pci e il Psi per la costituzione di un monocolore Andreotti (detto della "non sfiducia"). nei mesi successivi l'inflazione arrivò a livelli particolarmente elevati (intorno al 20%), mentre la delusione per la tendenza del Pci ai compromessi favoriva il crescere di un forte movimento extraparlamentare (vedi Autonomia Operaia), anche con atti di violenza, e si preparava la crescita di organizzazioni come Brigate Rosse e Prima Linea, un fenomeno espresso nella denominazione di "anni di piombo".

Il Pci pretendeva a questo punto di poter concorrere alla definizione del programma di governo; una parte della Dc riteneva che fosse giunto il momento di elezioni anticipate, mentre Moro riteneva di poter concedere ai comunisti l'ingresso nella maggioranza parlamentare, senza però dare nulla in termini di definizione dell'organigramma ministeriale. La mattina del 16 marzo 1978, mentre si recava in parlamento per il voto di fiducia al nuovo Governo Andreotti IV (governo della "solidarietà nazionale"), Aldo Moro fu rapito dalle Brigate Rosse, che uccisero i 5 uomini della sua scorta. Seguirono 55 drammatici giorni in cui le Br tennero Moro prigioniero, divulgando una serie di lettere nelle quali il prigioniero sollecitava il suo partito ad accettare una trattativa, ma che furono giudicate come "estorte" e quindi da non considerarsi valide. Il 9 maggio Moro venne assassinato. Un mese dopo, un referendum sull'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti fu bocciato dagli elettori ma con una percentuale di "sì" superiore alle previsioni, segno di una crescita della sfiducia verso il sistema dei partiti. A luglio il Pci, cogliendo questi segnali (era stato battuto anche in svariate elezioni locali), dopo aver obbligato alle dimissioni il Presidente Leone, impose l'elezione del socialista Sandro Pertini, e nel gennaio 1979 uscì dalla maggioranza. venne quindi formato il Governo Andreotti V, creato appositamente per non ottenere la fiducia e andare a elezioni anticipate, nelle quali il Pci perse voti ma a vantaggio di altri partiti di sinistra, mentre la Dc rimase poco sopra il 38%.

Dal pentapartito verso la fine [modifica]

VIII-Legislatura 1979-1983 [modifica]

La nuova legislatura cominciò con un nuovo centro-sinistra (Governo Cossiga I, con Dc, Psdi, Pli e l'appoggio esterno del Psi). Nel 1980 si tenne il XIV Congresso del partito, che sancì la fine dell'esperienza della "solidarietà nazionale".

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Compromesso storico.

Arnaldo Forlani, uno dei principali artefici della nuova linea politica, venne eletto presidente del Consiglio nazionale del partito. Nuovo segretario fu il doroteo Flaminio Piccoli, che batté il candidato della sinistra Zaccagnini, sostenuto anche dagli andreottiani ("area Zac"). Ad aprile il Psi entrò a far parte del governo (Governo Cossiga II), ma in seguito scoppiarono polemiche su una possibile protezione accordata da Cossiga a Marco Donat Cattin, esponente di Prima Linea e figlio del leader di "Forze Nuove"; il 2 agosto un terribile attentato (strage di Bologna) sconvolse l'opinione pubblica e a settembre Cossiga si dimise; Forlani lo sostituì (Governo Forlani). Nel maggio 1981, il referendum sull'aborto fu vinto dal NO ancora più nettamente di quello del 1974 sul divorzio.

Dopo la sconfitta Forlani si dimise da premier, anche perché alcuni esponenti del governo erano stati coinvolti nel caso P2, mentre le Brigate Rosse continuavano a colpire. Per la prima volta dopo 36 anni la Dc accettò di lasciare la guida del governo, appoggiando il Governo Spadolini I, guidato dal segretario del Partito repubblicano.

Espressione del possibile rinnovamento e modernizzazione della Dc apparve allora un esponente dell'"area Zac", Ciriaco De Mita, che appariva come un leader più energico e determinato rispetto agli altri leader di corrente. De Mita vinse il XV Congresso (maggio 1982), venendo eletto segretario con il sostegno di alcuni settori della borghesia imprenditoriale[13]. Il governo cadde nell'estate 1982, per contrasti tra Dc e Psi, ma fu seguito dall'analogo Governo Spadolini II, durato però solo pochi mesi. Ancor meno durò il Governo Fanfani V, dopo il quale si andò a elezioni anticipate, nelle quali la Dc perse circa il 5% dei voti, a vantaggio degli altri partiti della coalizione di governo, e riducendo il proprio vantaggio sul Pci a soli 3 punti percentuali.

IX Legislatura - Dal 1983 al 1987 [modifica]

La Dc lasciò la guida del governo al leader socialista Craxi (Governo Craxi I), il primo Presidente del Consiglio della Repubblica appartenente al Psi, mentre nella Dc si confrontavano la posizione di De Mita, più competitiva con i socialisti, e quella di Andreotti, più propenso alla collaborazione. Nonostante la sconfitta elettorale, De Mita vinse anche il XVI Congresso del partito (1984), ma con uno scarto ridotto rispetto al previsto (ufficialmente, infatti, tutti i capi corrente sostenevano De Mita contro l'altro candidato, Vincenzo Scotti). Le elezioni europee del 1984 videro il sorpasso del Pci sulla Dc, sia pure per lo 0,36%, tuttavia il Psi di Craxi apparve come il più deluso dall'esito elettorale. L'anno dopo, comunque, alle lezioni regionali, la Dc apparve in lieve recupero mentre il Pci perse voti; il successivo referendum sul meccanismo della "scala mobile", fu vinto dallo schieramento governativo, apparendo quindi più una vittoria di Craxi che della Dc.

Nel 1985 De Mita ottenne comunque un successo: la Presidenza della Repubblica per Francesco Cossiga, votato anche dal Pci, mentre il suo alleato-rivale Craxi ricavò grande popolarità dall'atteggiamento di fermezza nel caso del sequestro della nave Achille Lauro.

Nel 1986, la gestione De Mita iniziò ad essere contestata da una parte della borghesia, che in teoria ne doveva essere la beneficiaria (inchieste su Il Giornale di Montanelli). comunque, il segretario viene rieletto dal XVI Congresso, ma con un Consiglio nazionale a lui poco fedele, a parte l'area guidata da Benigno Zaccagnini. Intanto Craxi, più volte battuto in Parlamento dai "franchi tiratori" Dc, si dimise, facendo in modo però di favorire la rinomina da parte di Cossiga (Governo Craxi II). Nel febbraio 1987 il governo entrò nuovamente in crisi. Uscito di scena Craxi, venne costituito il Governo Fanfani VI, un monocolore Dc, al solo scopo di non ottenere la fiducia delle Camere e andare così a elezioni anticipate, anche per allontanare la celebrazione di alcuni referendum. Le elezioni confermarono le difficoltà della Dc (34%), ma al tempo stesso mostrarono la debolezza del Pci e la relativa forza di uno schieramento di sinistra moderata basato sul Psi (salito al 14%).

X Legislatura - Dal 1987 al 1992 [modifica]

Poiché Craxi e De Mita si paralizzavano a vicenda, Cossiga affidò l'incarico di formare il governo a Giovanni Goria, esponente minore dell'area Zaccagnini. Per la prima volta in un governo Dc non comparvero esponenti del Veneto "bianco", proprio mentre stava prendendo piede nel Nord-Est il "leghismo". In autunno, si tennero con successo i vari referendum presentati da uno schieramento alleato al Psi (radicali e verdi).

Mentre aumentava il debito pubblico, per la prima volta Ciriaco De Mita accettava l'incarico di guidare un governo, che si insediò nell'aprile 1988. Il Governo De Mita iniziò a pensare a una nuova legge elettorale (premio di maggioranza alla coalizione vincente), con la consulenza di Roberto Ruffilli, il quale però fu ucciso il 16 aprile da un commando delle Brigate Rosse [14]. La nuova legge elettorale non si fece; comunque la maggioranza operò una modifica ai regolamenti parlamentari per ridurre il peso dei "franchi tiratori".

Nel febbraio 1989 si tenne il XVIII Congresso della Dc, nel quale si formò una maggioranza ostile a De Mita (il "grande centro" e gli andreottiani), che elesse segretario Arnaldo Forlani; alcuni esponenti del partito, peraltro, sostenevano l'irregolarità delle votazioni a livello di sezione. De Mita comunque mantenne una posizione antagonistica verso Craxi e i repubblicani, ma a maggio fu costretto a dimettersi. Nel giro di tre mesi non era più né segretario del partito né capo del governo. Dopo la sua uscita di scena venne formato il Governo Andreotti VI, sotto il quale peggiorarono le finanze pubbliche. Alle elezioni regionali del 1990 ottennero un grande successo la Lega Nord ed altri movimenti con base territoriale. Subito dopo Mario Segni, fino ad allora semplice deputato, si pose alla testa di un movimento che si proponeva di modificare le leggi elettorali per via referendaria. Di fronte a questi risultati il Presidente Cossiga iniziò a criticare l'immobilismo della Dc, con cui entrò in sempre più frequenti polemiche.

Nel 1991 si formò il Governo Andreotti VII. Il 9 giugno venne votato il referendum proposto da Segni (e avversato da Craxi), in seguito al quale Cossiga invitò il Parlamento a effettuare riforme istituzionali, senza che la proposta avesse seguito. Alle elezioni del 1992, la Dc scese al di sotto del 30% dei voti, persi soprattutto a vantaggio della Lega Nord.

XI Legislatura - Dal 1992 al 1994 [modifica]

Dopo la sconfitta elettorale, la Dc si impegnò nell'elezione del Presidente della Repubblica, essendosi Cossiga dimesso anticipatamente. Durante le votazioni, fu ucciso il noto magistrato antimafia Giovanni Falcone. Sostenendo che in tale grave condizione si dovesse votare un candidato "istituzionale", venne eletto il Presidente della Camera Oscar Luigi Scalfaro, magistrato, membro della Camera fin dall'Assemblea costituente. Scoppiato il caso Tangentopoli, la Presidenza del Consiglio fu affidata a Giuliano Amato del Psi, sotto il quale proseguì la crisi economica. Alle elezioni amministrative di autunno la Dc subì un crollo, dopo il quale Arnaldo Forlani rassegnò le dimissioni. Fu eletto nuovo segretario Mino Martinazzoli. Con il Governo Ciampi, la crisi divenne irreversibile, anche per l'introduzione di una nuova legge elettorale.

Il 16 gennaio 1994, Martinazzoli annunciò lo scioglimento del partito e la sua trasformazione in Partito Popolare Italiano, mentre una minoranza cattolico-liberale formò il Centro Cristiano Democratico

Le correnti interne alla DC [modifica]

Le prime tendenze [modifica]

* Degasperiani, poi Politica popolare: era il gruppo di politici, prevalentemente provenienti dall’ex PPI, più vicino ad Alcide De Gasperi. Con l'avanzata dei dossettiani (vedi), divenne corrente effettiva, guidata da Attilio Piccioni. Ne facevano parte Mario Scelba, Umberto Tupini, Maria Cingolani Guidi, Raffaele e Maria Jervolino, Pietro Campilli, Giuseppe Spataro, Salvatore Aldisio, Bernardo Mattarella ed il giovane Giulio Andreotti.

* Vespa o vespisti: area di destra nel periodo degasperiano, formata da ex Ppi moderati, come Stefano Jacini, ed elementi vicini ai ceti agrari meridionali e alla Confindustria. Leader della corrente era Carmine De Martino. Assunsero tale nome dal luogo di fondazione, il Vespa Club di Roma.

* Politica sociale o gronchiani: eredi della sinistra dell’ex Ppi, il leader era Giovanni Gronchi. Ne facevano parte Giuseppe Rapelli, Piero Malvestiti, Domenico Ravaioli, Achille Grandi e Fernando Tambroni. La corrente andò esaurendosi nel corso degli anni '50 e gli esponenti s’indirizzarono verso le altre tendenze interne.

* Cronache sociali o dossettiani e poi Iniziativa democratica: Cronache sociali fu fondata dall’omonima rivista, nell’estate 1946, e durò sino all’estate del 1951 quando si sciolse nella nuova corrente di Iniziativa democratica. Capo della corrente era Giuseppe Dossetti, che in seguito avrebbe lasciato la politica per la vita monastica. Ne erano esponenti molti membri dell’Assemblea costituente, come Amintore Fanfani e Giorgio La Pira, più intellettuali cattolici quali Giuseppe Lazzati e Achille Ardigò. Poiché molti suoi militanti erano docenti universitari, prevalentemente all’Università Cattolica di Milano, era detta anche la corrente dei professorini. Il 18 novembre 1951, dall'omonima rivista, fu fondata Iniziativa Democratica, area di sinistra e prima vera corrente della DC che raccolse i reduci dell’esperienza dossettiana di Cronache sociali, quali La Pira e Ardigò, più giovani esponenti della cosiddetta "seconda generazione", come Aldo Moro, Benigno Zaccagnini, Luigi Gui, Emilio Colombo. Il leader indiscusso divenne Amintore Fanfani, sotto la cui guida la corrente raggiunse la guida della DC. Al congresso del 1954, la corrente ebbe il sostegno di Alcide De Gasperi. Il 9 marzo 1959 di fatto la corrente si sciolse perché la maggioranza della corrente, riunita presso il convento di Santa Dorotea a Roma, mise in minoranza Fanfani, il quale fu costretto a dimettersi da segretario del partito e fondare un suo gruppo, Nuove Cronache mentre la maggioranza fondò il gruppo dei dorotei, che ha guidato il partito nel corso degli anni '60 e nei primi anni '70 su posizioni moderate.

Lo strutturarsi delle correnti [modifica]

* Dorotei: il gruppo nacque il 9 marzo del 1959 dalle ceneri di Iniziativa Democratica e guidò il partito nel corso degli anni '60 e nei primi anni '70 su posizioni moderate.

* La Base: corrente di sinistra, fondata nel 1952 da ex dossettiani fuorusciti da Iniziativa democratica. Ne facevano parte molti esponenti del mondo economico, quali Ezio Vanoni, Giorgio Bo e Giovanni Marcora. Fu sostenuta da Enrico Mattei, presidente dell’Eni, e poi dal suo successore Eugenio Cefis. Afferivano a questa tendenza anche la sinistra fiorentina di Nicola Pistelli e la sinistra veneziana di Vladimiro Dorigo. Più recentemente, vi appartenevano Luigi Granelli, Giovanni Galloni e Ciriaco De Mita. Disponeva di un periodico, Politica, edito a Firenze.

* Forze sociali, poi Rinnovamento democratico, infine Forze Nuove: corrente della sinistra sindacale, vicina alla CISL. Ne fu capo Giulio Pastore. Nacque nel 1953. Ne facevano parte Renato Cappugi, Bruno Storti, Livio Labor, Carlo Donat Cattin, che succederà a Pastore; più recentemente, Vittorino Colombo, Guido Bodrato, Franco Marini. In occasione del Congresso DC del 1956, alla corrente si associarono le Acli ed essa assunse il nome di Rinnovamento democratico. Infine, prese il nome di Forze Nuove.

* Primavera: corrente della destra democristiana, fondata nel 1954 da Giulio Andreotti. Ne facevano parte Franco Evangelisti, Vittorio Sbardella, Salvo Lima e Vito Ciancimino.

* Nuove cronache: corrente di sinistra fondata nel 1959 da Amintore Fanfani. Ne facevano parte Ettore Bernabei, presidente della Rai, Giampaolo Cresci, Lorenzo Natali, Arnaldo Forlani, Giovanni Gioia, Franco Maria Malfatti, Ivo Butini, Clelio Darida, Gian Aldo Arnaud, Gianni Prandini.

* Centrismo popolare, poi Forze libere: corrente della destra democristiana, che si poneva in continuità con il centrismo degasperiano, guidata da Mario Scelba e, successivamente, da Oscar Luigi Scalfaro. Ne facevano parte Franco Restivo e Giovanni Elkan.

* Amici di Moro, o morotei: la corrente, piccola ma influente, di Aldo Moro. Si scisse nel 1968 dalla corrente dorotea, attestandosi su posizioni progressiste. Esponenti erano Benigno Zaccagnini, Tina Anselmi, Maria Eletta Martini, Tommaso Morlino, Luigi Gui, Leopoldo Elia, Bernardo Mattarella, Sergio Mattarella.

* Ponte, o pontieri: corrente staccatasi dai dorotei nel 1967 e capeggiata da Paolo Emilio Taviani. Ne facevano parte Remo Gaspari e Adolfo Sarti. In occasione del Congresso del 1973, riconfluì nella corrente dorotea.

* Nuova sinistra: piccola corrente staccatasi dalla Base, guidata da Fiorentino Sullo e Vito Scalia.

* Iniziativa popolare: corrente formatasi nel 1969 dalla scissione del gruppo doroteo. La corrente era guidata da Mariano Rumor e Flaminio Piccoli. Ne facevano parte Giovanni Spagnolli, Mario Ferrari-Aggradi, Antonio Gullotti, Antonio Gava. Negli corso degli anni '70, si ricompattò a Impegno democratico.

* Impegno democratico: l’altro troncone del gruppo doroteo, unitosi con la corrente di Giulio Andreotti. Ne facevano parte lo stesso Andreotti, Emilio Colombo, Franco Evangelisti, Salvo Lima. Nel corso degli anni '70, si ricompattò a Iniziativa popolare.

* Area Zac: corrente di sinistra che sorse in occasione del Congresso DC del 1980, raccogliendo ex morotei, la Base e fuoriusciti di Forze Nuove, come Guido Bodrato. Sosteneva la candidatura alla segreteria e la linea politica di Benigno Zaccagnini.

* Preambolo: gruppo di correnti moderate che si presentò al Congresso DC del 1980 a sostegno della candidatura a segretario di Flaminio Piccoli. Ne facevano parte i dorotei dello stesso Piccoli e di Antonio Bisaglia, Primavera di Andreotti e Forze Nuove di Carlo Donat Cattin.

L'ultimo Congresso Nazionale [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce XVIII Congresso Democrazia Cristiana.

Nel 1989 si svolse all'Eur, a Roma, l'ultimo congresso DC che vide la sostituzione alla segreteria di Ciriaco De Mita con Arnaldo Forlani con l'85% dei voti, e la creazione di un nuovo Consiglio Nazionale di 180 membri (160 elettivi più 20 donne cooptate) ripartito in 5 correnti:

* Alleanza Popolare (Grande centro "doroteo": area Forlani-Gava-Scotti) - 67 (37,22%)

* La Base (sinistra) - 63 (35%)

* Primavera (andreottiani) - 31 (17,22%)

* Forze nuove (Donat-Cattin) - 14 (7,78%)

* Nuove cronache (Fanfani) - 5 (2,78%)

Lo scioglimento del partito [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce La fine dell'unità politica dei cattolici italiani.

Alle elezioni politiche del 1992 la DC raccolse il 29,7% (il suo minimo storico) e anche gli altri partiti del Pentapartito furono penalizzati. Nello stesso anno scoppiò lo scandalo di Tangentopoli e, dopo oltre cinquant'anni di attività, dopo la crisi dovuta all'inchiesta giudiziaria denominata Mani pulite, il 18 gennaio 1994 il partito (guidato da Mino Martinazzoli) deliberò il mutamento di nome riprendendo quello del partito fondato da Sturzo nel 1919: Partito Popolare Italiano (PPI).

All'interno del Ppi confluì dunque gran parte della tradizione politico-culturale della Democrazia cristiana. Il partito, mostrava ad esempio una chiara linea "di centro che guarda a sinistra" ed era sostanzialmente spaccato in tre correnti: una sinistra (Amintore Fanfani, Ciriaco De Mita, Gerardo Bianco, Nicola Mancino, Beniamino Andreatta), un centro (Mino Martinazzoli, Pierluigi Castagnetti, Sergio Mattarella, Rosa Russo Iervolino, Giulio Andreotti) ed una destra (Rocco Buttiglione, Roberto Formigoni, Sergio D'Antoni, Emilio Colombo).

Circa dieci ore prima che si sciogliesse la Democrazia Cristiana, alcuni esponenti provenienti soprattutto dalla Destra forlaniano-dorotea, favorevoli all'entrata nella coalizione di centro-destra con Forza italia, Alleanza nazionale e Lega Nord, diedero invece vita al Centro Cristiano Democratico (CCD), guidato da Pier Ferdinando Casini e Clemente Mastella. Altra scissione dalla Democrazia cristiana fu provocata dalla frangia cattolico-sociale raccolta attorno ad Ermanno Gorrieri, che, fondendosi con la pattuglia di socialisti-cristiani di Pierre Carniti, diede vita al Movimento Cristiano Sociali, che contribuiranno a fondare i Democratici di Sinistra nel 1998.

La DC si vide così divisa in tre tronconi: il PPI che mantenne la collocazione centrista, il CCD collocato nel centrodestra e i CS collocati a sinistra.

Mariotto Segni e Leoluca Orlando, deputati DC e fautori di una moralizzazione del sistema politico, diedero invece vita rispettivamente a due movimenti politici:

* Popolari per la Riforma, poi transitati in Alleanza Democratica ed evolutisi nel movimento centrista Patto Segni. Il Patto Segni successivamente ha assunto l'attuale denominazione di Patto dei Liberaldemocratici;

* La Rete, movimento di centro-sinistra.

Nell'estate del 1994 Rocco Buttiglione viene eletto segretario del Partito Popolare Italiano, sconfiggendo al congresso l'avversario scelto dalla sinistra del partito, Nicola Mancino.

Successivamente anche il PPI, in seguito alla necessità di schierarsi imposta dal nuovo sistema elettorale bipolare, finì col dividersi: Rocco Buttiglione, insieme con una buona parte dell'ala destra del Ppi, fondò il movimento dei Cristiani Democratici Uniti (CDU), a cui spettavano il simbolo della DC e il settimanale La Discussione; il resto del partito elesse invece quale leader Gerardo Bianco, che contava anche sul sostegno della maggioranza del consiglio nazionale, conservò invece il nome di Partito Popolare Italiano e il quotidiano Il Popolo. Finì così l'unità politica dei cattolici italiani.

La diaspora democristiana [modifica]

Finita l'esperienza politica della Democrazia Cristiana, del partito, cioè, che ha governato l'Italia per il maggior numero di anni, e terminate anche le esperienze dei partiti (PPI, CCD, CDU) che ne erano i più immediati eredi, l'attuale situazione politica italiana ha visto la costituzione di nuovi partiti politici che si richiamano in qualche modo all'eredità democristiana, ma che sono ormai frazionati tra i due schieramenti imposti dal bipolarismo.

In ordine di consensi genericamente ricevuti, ovvero dal più rappresentativo al meno rappresentativo, esistettero i seguenti partiti politici, ora sciolti e confluiti in altri partiti:

* La Margherita, partito nato nel 2002 come aggregazione del PPI insieme al movimento de I Democratici di Romano Prodi e Rinnovamento Italiano di Lamberto Dini. È schierato con la coalizione di centro-sinistra e si caratterizza propriamente come un partito di centro che guarda a sinistra, collocato all'interno dell'area cattolico-sociale, pur non facendo parte né dell'Internazionale democristiana, né del Partito popolare europeo. A livello europeo i partiti fondatori del partito aderivano ad aggregazioni liberal democratiche (Rinnovamento italiano, i Democratici) e democratico-cristiane (il Partito popolare italiano). In seguito alla sempre maggiore connotazione del Ppe come partito moderato-conservatore di centrodestra, le diverse componenti cattolico-sociali e riformiste sono fuoriuscite dal partito, fondando un nuovo soggetto politico che concilia le istanze del riformismo cattolico, liberal democratico e socialdemocratico-liberale: il Partito Democratico Europeo. In Italia La Margherita ha sostenuto con convinzione la nascita del Partito Democratico, che unisce le diverse esperienze riformiste di centrosinistra. Il suo leader è stato fino allo scioglimento Francesco Rutelli.

* I Cristiano Sociali, partito fondato nel 1994 da Ermanno Gorrieri e Pierre Carniti, confluito nel 1998 nei Democratici di Sinistra e ora guidato da Giorgio Tonini. Fa ora parte del Partito Democratico come semplice associazione e non più come partito politico.

Sempre in ordine di consensi genericamente ricevuti, ovvero dal più rappresentativo al meno rappresentativo, esistono ancora:

* L'Unione dei Democratici Cristiani e Democratici di Centro (UDC), nato anch'esso nel 2002 dall'unione dei precedenti CCD e CDU. È schierato al centro, all'opposizione di governo e fuori dai due grandi scheramenti, mantiene il simbolo storico dello Scudo Crociato con la scritta "Libertas" e fa apertamente riferimento alla sua collocazione al Centro. Aderisce al Partito Popolare Europeo. Il suo leader è Pier Ferdinando Casini: infatti, il simbolo del partito - dal 2006 - porta al suo interno il nome "Casini". Il segretario politico è Lorenzo Cesa.

* I Popolari UDEUR, partito nato nel 1999 dopo l'esperienza dell'UDR inizialmente voluta dall'ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga. Il suo leader è Clemente Mastella. Sostiene la sua collocazione centrista e aderisce al Partito Popolare Europeo. Il suo simbolo è un campanile, emblema delle strutture ecclesiastiche cristiane. Ha aderito, fino al 2008, alla coalizione di centro-sinistra. Dopo la sconfitta alle ultime elezioni politiche (il partito non è presente in Parlamento), l'UDEUR si è alleato con il PdL.

Una consistente componente democristiana è presente anche nel Popolo delle libertà, che attualmente è il principale rappresentante italiano del PPE. Esistono, inoltre, altri movimenti minori che si richiamano all'esperienza della DC ma che non hanno visibilità sullo scenario politico parlamentare nazionale.

Sono anche nate, su iniziativa di ex-membri della DC, componenti stabili all'interno di altri partiti, come:

* La Democrazia Cristiana per le Autonomie, nata nel 2005, è un partito che svolge un ruolo minoritario. Il suo leader è Gianfranco Rotondi. Fa esplicitamente richiamo al nome "Democrazia Cristiana" e aderisce alla coalizione di centrodestra. È uno dei partiti fondatori del Popolo della libertà, la coalizione presentatasi alle elezioni del 2008 che ha per leader il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e che presto dovrebbe costituirsi in un partito unico. Non è riconosciuta a livello internazionale dal PPE.

* I cattolici di Alleanza Nazionale come Gustavo Selva, Antonio Mazzocchi, Andrea Ronchi, Giuseppe Gallo e Gaetano Rebecchini (presidente della Consulta Religiosa di AN).

* I cattolici nella Lega Nord, riuniti nella Consulta Religiosa e nei Cattolici Padani, alcuni dei quali hanno militato nella DC (due "padri nobili" in particolare: Gianfranco Miglio e Giuseppe Leoni, presidente dei Cattolici Padani).

Sono inoltre presenti alcuni piccoli movimenti che rivendicano il nome o il simbolo in continuità con la DC storica: tra questi vi è stato dapprima il movimento Rinascita della Democrazia Cristiana successivamente suddivisosi in vari altri piccoli partiti (la Democrazia Cristiana - Scudo Crociato - Libertas, la Democrazia Cristiana - dc, il Partito Democratico Cristiano. Sono dunque numerosi i movimenti politici che portano il nome di Democrazia Cristiana.

Si sono costituiti altri piccoli movimenti che si ispirano all'eredità democristiana: l'Italia di mezzo di Marco Follini, ex segretario dell'UDC, che ha successivamente aderito al Partito Democratico, Rifondazione DC di Publio Fiori, uscito da Alleanza Nazionale e in ultimo una lista civica nazionale denominata Lista Civica Cristiana, fondata da Guglielmo Bonanno Segreatrio Amministrativo della Democrazia Cristiana ,[15] della quale Flaminio Piccoli fu il legale rappresentante fino all'ultimo dei suoi giorni. La Lista Civica Cristiana è balzata alla cronaca su diversi quotidiani nazionali come Libero, Il Giornale, La Stampa, Il Secolo XIX, a causa della somiglianza del suo simbolo, con quello storico della Democrazia Cristiana, per lo stesso motivo è stata oggetto di interrogazioni alla Camera dei Deputati [16] e il Senato della Repubblica,[17]. Le proteste non trovarono nel Ministro degli Interni Maroni, alcun riscontro, proprio per la leggitimazione riconosciuta a Bonanno, non solo dell'incarico di legale rappresentante del partito ma in qualità di fondatore della Lista Civica Cristiana.

Il disperdersi del patrimonio immobiliare [modifica]

La Democrazia Cristiana negli anni di potere, aveva accumulato un ingente patrimonio immobiliare, compresi molti immobili adibiti agli usi delle sezioni.

Alla diaspora delle forze del partito, corrispose una caotica fase di lotte tra le diverse "anime" confluite in partiti diversi.

Il grosso del patrimonio immobiliare fu rilevato da un immobiliarista veronese [18] (lo stesso che acquisterà molti degli immobili della Federconsorzi) e che fu poi travolto da un fallimento. [19]

I passaggi successivi, molto oscuri, videro poi la proprietà trasferita nella ex-Jugoslavia.[20]

Risultati elettorali [modifica]

Democrazia cristiana logo.jpg – Democrazia Cristiana alle Elezioni politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

8.101.004

12.741.299

10.899.640

10.864.282

9.692.584

12.522.279

10.782.262

11.775.970

10.032.458

12.441.553

10.965.790

12.919.270

11.466.701

14.218.298

12.226.768

14.046.290

12.018.077

12.153.081

10.081.819

13.241.188

10.897.036

11.640.265

9.074.096

35,2

48,5

48,1

40,1

39,9

42,4

41,2

38,3

36,5

39,1

38,3

38,7

38,1

38,7

39,3

38,3

38,3

32,9

32,4

34,3

33,6

29,7

27,3

207

305

131

263

113

273

123

260

129

266

135

266

135

263

135

262

138

225

120

234

125

206

107

Democrazia cristiana logo.jpg – Democrazia Cristiana alle Elezioni europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 12.753.708

11.570.973

11.460.702 36,4

33

32,9 29

26

26

Segretari [modifica]

* Alcide De Gasperi (luglio 1944 - settembre 1946)

* Attilio Piccioni (settembre 1946 - gennaio 1949)

* Giuseppe Cappi (gennaio - giugno 1949)

* Paolo Emilio Taviani (giugno 1949 - aprile 1950)

* Guido Gonella (aprile 1950 - settembre 1953)

* Alcide De Gasperi (settembre 1953 - giugno 1954)

* Amintore Fanfani (giugno 1954 - marzo 1959)

* Aldo Moro (marzo 1959 - gennaio 1964)

* Mariano Rumor (gennaio 1964 - gennaio 1969)

* Flaminio Piccoli (gennaio - novembre 1969)

* Arnaldo Forlani (novembre 1969 - giugno 1973)

* Amintore Fanfani (giugno 1973 - luglio 1975)

* Benigno Zaccagnini (luglio 1975 - febbraio 1980)

* Flaminio Piccoli (febbraio 1980 - maggio 1982)

* Ciriaco De Mita (maggio 1982 - febbraio 1989)

* Arnaldo Forlani (febbraio 1989 - ottobre 1992)

* Mino Martinazzoli (ottobre 1992 - gennaio 1994)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Roma, 24-27 aprile 1946

* II Congresso - Napoli, 15-19 novembre 1947

* III Congresso - Venezia, 2-6 giugno 1949

* IV Congresso - Roma, 21-26 novembre 1952

* V Congresso - Napoli, 26-29 giugno 1954

* VI Congresso - Trento, 14-18 ottobre 1956

* VII Congresso - Firenze, 23-28 ottobre 1959

* VIII Congresso - Napoli, 27-31 gennaio 1962

* IX Congresso - Roma, 12-16 settembre 1964

* X Congresso - Milano, 23-26 novembre 1967

* XI Congresso - Roma, 27-30 giugno 1969

* XII Congresso - Roma, 6-10 giugno 1973

* XIII Congresso - Roma, 18-24 marzo 1976

* XIV Congresso - Roma, 15-20 febbraio 1980

* XV Congresso - Roma, 2-6 maggio 1982

* XVI Congresso - Roma, 24-28 febbraio 1984

* XVII Congresso - Roma, 26-30 maggio 1986

* XVIII Congresso - Roma, 18-22 febbraio 1989

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1945 - 537.582

* 1946 - 602.652

* 1947 - 790.771

* 1948 - 1.095.359

* 1949 - 766.023

* 1950 - 882.674

* 1951 - 917.095

* 1952 - 954.723

* 1953 - 1.141.181

* 1954 - 1.252.524

* 1955 - 1.186.785

* 1956 - 1.377.286

* 1957 - 1.295.028

* 1958 - 1.410.179

* 1959 - 1.608.609

* 1960 - 1.473.789

* 1961 - 1.565.185

* 1962 - 1.446.500

* 1963 - 1.621.620

* 1964 - 1.633.003

* 1965 - 1.656.428

* 1966 - 1.592.134

* 1967 - 1.621.866

* 1968 - 1.696.182

* 1969 - 1.745.632

* 1970 - 1.738.996

* 1971 - 1.814.578

* 1972 - 1.828.998

* 1973 - 1.747.292

* 1974 - 1.843.515

* 1975 - 1.732.501

* 1976 - 1.365.187

* 1977 - 1.201.707

* 1978 - 1.355.423

* 1979 - 1.384.148

* 1980 - 1.395.584

* 1981 - 1.385.141

* 1982 - 1.361.066

* 1983 - 1.384.058

* 1984 - 1.382.278

* 1985 - 1.444.565

* 1986 - 1.395.784

* 1987 - 1.812.201

* 1988 - 1.693.346

* 1989 - 1.862.426

* 1990 - 2.109.670

* 1991 - 1.390.918

* 1992 - 1.800.000

* 1993 - 813.753

Cariche istituzionali [modifica]

Presidenti della Repubblica

* Francesco Cossiga

* Giovanni Gronchi

* Giovanni Leone

* Antonio Segni

* Oscar Luigi Scalfaro

 

Presidenti del Senato

* Cesare Merzagora

* Vittorino Colombo

* Francesco Cossiga

* Amintore Fanfani

* Tommaso Morlino

* Giovanni Spagnolli

* Ennio Zelioli-Lanzini

 

Presidenti della Camera

* Brunetto Bucciarelli-Ducci

* Giovanni Gronchi

* Giovanni Leone

* Oscar Luigi Scalfaro

Presidenti del Consiglio dei Ministri

* Giulio Andreotti

* Emilio Colombo

* Francesco Cossiga

* Alcide De Gasperi

* Ciriaco De Mita

* Amintore Fanfani

* Arnaldo Forlani

* Giovanni Goria

* Giovanni Leone

* Aldo Moro

* Giuseppe Pella

* Mariano Rumor

* Mario Scelba

* Antonio Segni

* Fernando Tambroni

* Adone Zoli

Note [modifica]

1. ^ Alle Elezioni europee del 1984 la DC fu superata, anche se di poco, dal Partito Comunista Italiano.

2. ^ Giorgio Galli, I partiti politici italiani, 1991, pagg. 305-320

3. ^ Avvenire del 22 aprile 2005. La frase è citata anche dallo storico Paolo Trionfini.

4. ^ Avvenire del 22 aprile 2005

5. ^ Elena Aga-Rossi Victor Zaslavskyy: Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana, p. 115

6. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, Bologna, il Mulino, 2007

7. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor: Top. cit., pp. 231-254. L'insurrezione armata e le elezioni del 1948

8. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, op. cit., p. 240. L'insurrezione armata e le elezioni del 1948

9. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Editore: Il Mulino data publ.: 2007 - Capitolo V pag 157-I prigionieri di guerra italiani nell'URSS

10. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victor, op. cit., cap. IV, pp. 135-156. Il PCI nella politica estera italiana e il problema di Triste

11. ^ Aga-Rossi Elena - Zaslavsky Victorop. cit., cap. VI pp. 179-209. L'autarchia comunista e il rifiuto del piano Marshall

12. ^ Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Capitolo : L'insurrezione armata e le elezioni del 1948 - pag 239-240 - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

13. ^ Salvatore Rea, Si fa presto a dire sinistra. Storia di Ciriaco De Mita dalla Magna Grecia a Palazzo Chigi, Leonardo 1990, pp. 85-86

14. ^ L'omicidio di Ruffilli fu interpretato da Up &Down, mensile dell'Ispes, come un segnale ostile al "cambiamento".

15. ^ [1]

16. ^ [2]

17. ^ [3]

18. ^ [4]

19. ^ La Padania

20. ^ Lega nazionale

Bibliografia [modifica]

* Igino Giordani, Alcide De Gasperi il ricostruttore, Roma, Edizioni Cinque Lune, 1955

* Giulio Andreotti, De Gasperi e il suo tempo, Milano, Mondadori, 1956

* Gianni Baget Bozzo, Il partito cristiano al potere: la DC di De Gasperi e di Dossetti 1945-1954, Firenze, Vallecchi, 1974.

* Pietro Scoppola, La proposta politica di De Gasperi, Bologna, Il Mulino, 1977.

* Roberto Ruffilli, La DC e i problemi dello Stato democratico (1943-1960), ne Il Mulino, 6, novembre-dicembre 1976, pp. 835-853.

* Gianni Baget Bozzo, Il partito cristiano e l'apertura a sinistra: la DC di Fanfani e di Moro 1954-1962, Firenze, Vallecchi, 1977.

* Pasquale Hamel, "Nascita di un partito", Palermo, Dario Flaccovio, 1982.

* Giulio Andreotti, De Gasperi visto da vicino, Milano, Rizzoli, 1986.

* Nico Perrone, De Gasperi e l'America, Palermo, Sellerio, 1995, ISBN 8-83891-110-X.

* Agostino Giovagnoli, Il partito italiano: la Democrazia Cristiana dal 1942 al 1994, Bari, Laterza, 1996

* Nico Perrone, Il segno della DC, Bari, Dedalo, 2002, ISBN 88-220-6253-1.

* Giovanni Sale, De Gasperi gli USA e il Vaticano - All'inizio della guerra fredda, Milano, Jaca Book, 2005

* Gabriella Fanello Marcucci, Il primo governo De Gasperi - (dicembre 1945-giugno 1946) - Sei mesi decisivi per la democrazia in Italia, Soveria Manelli, Rubbettino, 2005

* Luciano Radi, La Dc da De Gasperi a Fanfani, Soveria Manelli, Rubbettino, 2005

* Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

* Giorgio Galli, Storia della Dc, Kaos edizioni, 2007

Altri progetti [modifica]

* Wikiquote

* Collabora a Wikiquote Wikiquote contiene citazioni sulla Democrazia Cristiana

Voci correlate [modifica]

* Le idee ricostruttive della Democrazia Cristiana

* La fine dell'unità politica dei cattolici italiani

* Elenco dei Governi Italiani

* Cristianesimo

* Chiesa cattolica

* Resistenza Italiana

* Fiamme Verdi

* Brigate Osoppo

* Brigate del popolo

* Comitati Civici

* Uccisione di ecclesiastici nel secondo dopoguerra (1945-1947)

* Giorgio Morelli

* Mario Simonazzi

* Eccidio dei conti Manzoni

* Apparato paramilitare del PCI

* Terrorismo Italiano

* Opposti estremismi

* Lista delle stragi avvenute in Italia

Collegamenti esterni [modifica]

* Tre milizie, tre fedeltà: storia della Democrazia Cristiana - La storia siamo noi - Rai Educational

* La storia delle sedi della Democrazia Cristiana a Roma

* Cronologia della DC sul sito del centro studi Malfatti

* [5]approfondimento DC del 1951

* [6] approfondimento: La DC delle origini

* La storia della Democrazia Cristiana sul sito dell'Istituto Renato Branzi

 

 

 

 

Partito Socialista Italiano

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

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Partito Socialista Italiano

Psi1980.png

Partito politico italiano del passato

Leader storici Filippo Turati, Giacomo Matteotti, Giuseppe Saragat, Alessandro Pertini, Pietro Nenni, Riccardo Lombardi, Francesco De Martino, Bettino Craxi

Periodo di attività 14 agosto 1892 - 12 novembre 1994

Sede Milano, poi Roma

Coalizioni Elettorali o di governo:

* CLN (1944-1947)

* Fronte Democratico Popolare (1948)

* Centro-sinistra "organico" (1963-1980)

* Pentapartito (1980 - 1993)

* Alleanza dei Progressisti (1994)

Partito Europeo Partito del Socialismo Europeo

Ideologia Socialismo democratico

Socialdemocrazia

Numero massimo di seggi alla Camera 156 (nel 1919)

Numero massimo di seggi al Senato 49 (nel 1992)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 12 (nel 1989)

Organo ufficiale Avanti!

Il Partito Socialista Italiano (PSI) fu un partito politico, fondato nel 1892, che si chiamò così dal 1895 ed operante, con tale nome fino al 1994.

Durante il regime fascista e, in particolare, dopo la messa al bando di tutti i partiti ad eccezione del PNF, il PSI continuò, nei limiti del possibile, la sua attività nella clandestinità, mentre la direzione del partito tentava d'informarsi sulla vita politica del Paese e d'influire sulla stessa dall'esilio francese.

Indice

[nascondi]

* 1 Le origini del movimento socialista in Italia

* 2 Il Partito dalla nascita all'avvento della Repubblica

o 2.1 1892: fondazione del partito

o 2.2 1907: uscita dei sindacalisti rivoluzionari

o 2.3 1910: crescenti divisioni, la presenza di Mussolini

o 2.4 1912: la scissione del PSRI di Bissolati

o 2.5 1914: la crisi dell'interventismo

o 2.6 La scissione dei comunisti (1921), quella riformista (1922) e la clandestinità

o 2.7 La rinascita (1943); tra la Resistenza e la Repubblica

* 3 Dalla Costituente al centro-sinistra

o 3.1 La scissione socialdemocratica

o 3.2 I primi governi di centro-sinistra: il "centro-sinistra organico"

o 3.3 La breve esperienza del PSI-PSDI Unificati

* 4 Da Craxi alla fine del PSI

o 4.1 La segreteria di Bettino Craxi

* 5 Il simbolo del garofano rosso

* 6 L'allontanamento dal marxismo

o 6.1 1992: la crisi del partito

o 6.2 La diaspora socialista

o 6.3 La rinascita del PSI

* 7 Risultati elettorali

* 8 Segretari

* 9 Congressi

* 10 Iscritti

* 11 Esponenti, iscritti illustri e simpatizzanti

* 12 Giornali e riviste

* 13 Voci correlate

* 14 Note

Le origini del movimento socialista in Italia [modifica]

In Italia la crescita del movimento operaio si delinea sulla fine del XIX secolo. Le prime organizzazioni di lavoratori sono le società di mutuo soccorso e le cooperative di tradizione mazziniana e a fine solidaristico. La presenza in Italia di Bakunin dal 1864 al 1867 dà impulso all'anarchismo. L'episodio anarchico di propaganda più noto è quello del 1877 (un gruppo di anarchici tentò di far sollevare i contadini del Matese). La strategia insurrezionale fallisce mentre riscuote molto successo il partito Socialdemocratico nelle elezioni del 1877. I primi a sostenere la necessità di incanalare le energie rivoluzionarie in un'organizzazione partitica sono Bignami e Gnocchi-Viani con la rivista " La Plebe" al quale poi si affiancano le "Lettere aperte agli amici di Romagna", dove si denuncia il carattere settario del movimento anarchico e l'astensionismo elettorale. Nel 1881 Andrea Costa organizza il Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna, che sosteneva, fra l'altro, le lotte dei lavoratori, l'agitazione per riforme economiche e politiche, la partecipazione alle elezioni amministrative e politiche. Il partito di Costa incontrò grandi difficoltà anche se riesce ad essere eletto alla Camera come primo deputato socialista. Alle elezioni del 1882 si presenta il Partito Operaio Italiano ma senza successo. Frattanto il movimento operaio si organizza in forme più complesse: Federazioni di mestiere, Camere di lavoro, etc. Le Camere di Lavoro si trasformano in organizzazioni autonome e divengono il punto di aggregazione a livello cittadino di tutti i lavoratori.

Il Partito dalla nascita all'avvento della Repubblica [modifica]

1892: fondazione del partito [modifica]

Filippo Turati

Su queste basi nel 1892 nasce a Genova il Partito dei Lavoratori Italiani che fonde in sé l'esperienza del Partito Operaio Italiano nato nel 1882 a Milano, la Lega Socialista Milanese - d'ispirazione riformista, fondata nel 1889 per iniziativa di Turati - e molte leghe e movimenti italiani che si rifanno al socialismo di ispirazione marxista. Tra fondatori della formazione del PSI e' Filippo Turati nato a Canzo in Brianza. Altri promotori furono Claudio Treves . Leonida Bissolati, Ghisleri, Ferri, che erano provenienti dall'esperienza del Positivismo. Turati è erede del radicalismo democratico; nel 1885 si era unito con la rivoluzionaria Anna Kuliscioff; conosce le opere di Marx ed Engels, fu attratto dalla socialdemocrazia tedesca e dalle associazioni operaie lombarde. Turati considera il Socialismo non dal punto di vista insurrezionale, ma come un'ideale da calare nelle specifiche situazioni storiche. È nel 1893, nel Congresso di Reggio Emilia, che il partito si dà un'autonomia e un nome ufficiale come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, inglobando anche il Partito Socialista Rivoluzionario Italiano. Nell'ottobre del 1894 il partito venne sciolto per decreto a causa della repressione crispina. In contrapposizione alla repressione vi fu un'alleanza democratico-socialista alle elezioni del 1895, mentre gli attivisti si riorganizzavano come Partito Socialista Italiano.

1907: uscita dei sindacalisti rivoluzionari [modifica]

La repressione dei moti popolari del 1898 affievolisce il partito che decide di promuovere l'alleanza di tutti partiti dell'estrema sinistra (socialista, repubblicano, radicale). La direzione turatiana vede di buon occhio l'apertura liberale di Giovanni Giolitti nel 1901. Ma in reazione alla politica dei blocchi popolari e al ministerialismo dei riformisti, dal 1902 appare una corrente rivoluzionaria, guidata da Arturo Labriola, che condivide con l'intransigente Enrico Ferri la direzione del partito dal 1904 al 1906. Dopo lo sciopero generale del settembre 1904 - il primo di questa ampiezza in Italia -, questa corrente propugna i metodi del sindacalismo rivoluzionario mentre i suoi rapporti con il resto del partito vanno peggiorando a tal punto che in un suo congresso, avvenuto a Ferrara nel 1907, è decisa l'uscita dal partito e l'incremento dell'azione autonoma sindacale.

1910: crescenti divisioni, la presenza di Mussolini [modifica]

Il congresso tenuto a Milano nel 1910 mette in luce crescenti insoddisfazioni e nuove divisioni: Leonida Bissolati e Ivanoe Bonomi criticano Turati da destra, Giuseppe Emanuele Modigliani e Gaetano Salvemini da sinistra. All'estrema sinistra si schiera invece Benito Mussolini, che, in qualità di rappresentante della federazione di Forlì, partecipa per la prima volta ad un congresso nazionale del partito.

1912: la scissione del PSRI di Bissolati [modifica]

Il congresso straordinario, convocato a Reggio Emilia, inasprisce le divisioni che attraversano il Partito riguardo all'impresa di Libia. Trionfa la corrente massimalista di Benito Mussolini e si sancisce l'espulsione di una delle aree riformiste, capeggiata da Ivanoe Bonomi e Leonida Bissolati. Quest'ultimo, nel 1911 si era recato al Quirinale per le consultazioni susseguenti la crisi del Governo Luzzatti, causando il malcontento del resto del partito, compreso quello di Turati, esponente di spicco dell'altra corrente riformista. Bissolati e i suoi danno vita al Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI).

1914: la crisi dell'interventismo [modifica]

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il partito sviluppò un forte impegno per la neutralità dell'Italia, ma con forti spaccature al suo interno che troveranno un punto di mediazione nella formula "né aderire né sabotare" di Costantino Lazzari.

A partire dagli anni venti, con l'emergere del Partito Nazionale Fascista, le diverse anime del movimento socialista si mossero separatamente dando vita a tre differenti partiti.

La scissione dei comunisti (1921), quella riformista (1922) e la clandestinità [modifica]

Nel 1921 si tiene a Livorno il XVII congresso del partito. Dopo giorni di dibattito serrato, i massimalisti unitari di Serrati raccolgono 89.028 voti, i comunisti puri 58.783, e i riformisti concentrazionisti 14.695. I comunisti di Bordiga e Gramsci escono dal congresso e fondano il Partito Comunista d'Italia, con lo scopo di aderire ai 14 punti dell'Internazionale. Lenin, infatti, aveva invitato il PSI a conformarsi ai dettami e ad espellere la corrente riformista di Turati, Treves e Prampolini, ricevendo il diniego da parte di Giacinto Menotti Serrati che non intendeva affatto rompere con alcune delle voci più autorevoli (sia pur minoritarie) del partito.

Nell'estate del 1922 Filippo Turati, senza rispettare la disciplina del partito, si reca da Vittorio Emanuele III per le rituali consultazioni per risolvere la crisi di governo. Tuttavia non fu possibile raggiungere un accordo con Giolitti, ed il re diede l'incarico a Facta. Per aver violato il divieto di collaborazione con i partiti borghesi, la corrente riformista viene espulsa, ad ottobre, nei giorni che precedono la Marcia su Roma di Benito Mussolini. Turati e i suoi danno vita al Partito Socialista Unitario, il cui segretario, Giacomo Matteotti, sarà rapito ed ucciso da alcuni fascisti il 10 giugno 1924. Tra il 1925 e il 1926 Mussolini vieta i partiti e costringe all'esilio o al confino i socialisti. È proprio durante l'esilio che, nel 1930, in Francia, avviene la riunificazione tra i riformisti di Turati ed i massimalisti, guidati dal giovane Pietro Nenni.

La rinascita (1943); tra la Resistenza e la Repubblica [modifica]

Sandro Pertini

Il 22 agosto 1943 nasce a Roma il Partito Socialista di Unità Proletaria (PSIUP) che raggruppa una parte consistente di personalità influenti della sinistra italiana antifascista, come i futuri presidenti della Repubblica Giuseppe Saragat e Sandro Pertini, il giurista Giuliano Vassalli, lo scrittore Ignazio Silone e l'avvocato Lelio Basso. A diventare segretario del partito è il romagnolo Pietro Nenni.

Il PSIUP durante la Resistenza partecipa attivamente al Comitato di Liberazione Nazionale e si avvicina in particolare al Partito Comunista Italiano, con una politica di unità d'azione volta a modificare le istituzioni in senso socialista. Questa politica, osteggiata dalla destra del partito guidata da Giuseppe Saragat, è in buona parte legata alla preoccupazione che divisioni interne alla classe operaia possano favorire l'ascesa di movimenti di destra autoritaria, come era avvenuto nel primo dopoguerra con il fascismo.

In occasione del referendum istituzionale del 2 giugno del 1946, il PSIUP è uno dei partiti più impegnati sul fronte repubblicano, al punto da venire identificato come "il partito della Repubblica".

Dalla Costituente al centro-sinistra [modifica]

La scissione socialdemocratica [modifica]

Il 10 gennaio 1947 il PSIUP riprende la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI). Il cambio di nome avviene nel contesto della scissione della corrente socialdemocratica guidata da Giuseppe Saragat (scissione di palazzo Barberini), il quale darà vita al Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI), e marcherà una profonda distanza dai comunisti (ormai definitivamente agganciati allo stalinismo sovietico). Il PSI invece, proseguirà sulla strada delle intese con il PCI, e con quest'ultimo deciderà anche di fare un fronte comune, il Fronte Democratico Popolare, in vista delle elezioni dell'aprile 1948. Questa posizione "unitaria" dei due partiti della sinistra italiana, l'anno successivo farà però perdere la corrente della nuova destra del partito socialista, capeggiata da Giuseppe Romita, che nel dicembre 1949 si unirà a una parte dei socialisti democratici usciti dal PSLI -perché in polemica con il suo eccessivo "centrismo"- dando vita a un nuovo partito che prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU).

Nel maggio 1951 Il PSLI e il PSU si fonderanno nel Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS), che nel gennaio 1952 diventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Dopo la sconfitta elettorale del 1948, la lista del Fronte Democratico Popolare non verrà più riproposta, ma il PSI resta alleato col PCI, all'opposizione, per ancora molti anni, ed insieme conducono la battaglia contro la c.d. legge truffa.

I primi governi di centro-sinistra: il "centro-sinistra organico" [modifica]

Una svolta importante nella storia del PSI è costituita dal Congresso di Venezia del 1957, quando, in seguito anche all'invasione sovietica dell'Ungheria, che porta ad una rottura col PCI, il partito comincia a guardare favorevolmente all'alleanza con i moderati della Democrazia Cristiana: si rafforza il nesso socialismo-democrazia e il PSI abbandona i legami con il blocco sovietico.

Il PSI condurrà comunque una forte battaglia al fianco del PCI contro il Governo Tambroni

Nel 1963 il PSI entra definitivamente al Governo, con l'esecutivo guidato da Aldo Moro. Con questo, però, il Partito viene segnato da una nuova spaccatura: la corrente di sinistra esce dal partito e nel gennaio del 1964 dà vita a un nuovo Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP).

La breve esperienza del PSI-PSDI Unificati [modifica]

Il 30 ottobre 1966 il PSI e il PSDI, dopo alcuni anni di comune presenza all'interno dei governi di centro-sinistra, si riunificano nel PSI-PSDI Unificati.

Ma l'unità dura meno di due anni. La componente socialista del PSI-PSDI Unificati il 28 ottobre 1968 riprenderà la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI), mentre la componente socialdemocratica nel luglio 1969 prenderà il nome di Partito Socialista Unitario (PSU), che nel febbraio 1971 ridiventerà Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Tutti questi passaggi e queste scissioni danno un'idea del travaglio politico del PSI di quegli anni, periodo nel quale convivono nel Partito due anime: una tendente a una maggiore coesione con il PCI su ideali che si ispirano a Karl Marx e un'altra tendente a perseguire una politica di riforme progressive che non mettano in discussione l'assetto sostanziale del sistema. All'epoca tra le file socialiste la posizione generalmente maggioritaria era quella della sinistra, tendente ad intensificare i legami con i comunisti, mentre i cosiddetti "autonomisti", sostenitori delle riforme progressive (e quindi più vicini ad un'idea di tipo socialdemocratico), si trovavano in minoranza.

Da Craxi alla fine del PSI [modifica]

La segreteria di Bettino Craxi [modifica]

Bettino Craxi

Nel marzo 1976 si tenne il XL congresso del PSI. Le correnti erano cinque:

* area Francesco De Martino (42,7%)

* area Giacomo Mancini (19,8%)

* area Riccardo Lombardi (17,8%)

* area Pietro Nenni (14%)

* area Gino Bertoldi (5,7%)

La maggioranza venne costituita da un'alleanza fra De Martino e Mancini e prevedeva il primo segretario.

Sotto la guida di Francesco De Martino, il PSI ritira l'appoggio ai governi della DC, con l'obiettivo di supportare la crescita elettorale del PCI al fine di arrivare ad un esecutivo guidato dalle sinistre. De Martino scrisse che il PSI aveva una funzione politica a termine: permettere la completa maturazione del PCI fino alla sua partecipazione diretta al governo. Una volta raggiunta tale maturazione, di fatto, il PSI avrebbe esaurito le proprie funzioni. Alle elezioni politiche del 1976 il partito socialista ottiene gli stessi risultati elettorali del 1972, il punto più basso di sempre mai raggiunto dal PSI, con un'imprevista flessione negativa rispetto al precedente turno di elezioni amministrative. Lo squilibrio elettorale col PCI sfiora il 25%.Alle elezioni politiche del 1976 dunque il Partito Socialista dopo una campagna per l’alternativa di sinistra alla DC ottenne il risultato elettorale più basso di sempre mai raggiunto dal PSI, con una flessione decisamente negativa. In ogni caso, nel 1976 ,dopo le elezioni politiche, proprio dal PSI la sopraddetta alternativa era stata resa possibile : vi fu il non dissenso di PSDI,PRI,DP ma non l’assenso del PCI.

In questo contesto il PSI ritira nel comitato centrale del luglio 1976 la fiducia a De Martino, eleggendo segretario nazionale il quarantenne Bettino Craxi, in quel momento vicesegretario e membro di punta della corrente autonomista di Pietro Nenni. Nuovo vicesegretario sarà il dirigente siciliano Salvatore Lauricella.

Nel 1978 si tiene il XLI congresso che vede riconfermato Craxi alla segreteria col 65% di voti (cifra mai raggiunta da un segretario socialista) grazie a un'alleanza con Claudio Signorile e alla "benedizione" dell'ex segretario Giacomo Mancini. L'opposizione è guidata da Enrico Manca. Il partito si rinnova nell'immagine e nell'ideologia: nuovo simbolo del partito diventa (accanto alla tradizionale falce e martello) il garofano rosso in omaggio alla portoghese Rivoluzione dei garofani del 1974, mentre, con un lungo articolo su L'espresso, titolato "Il Vangelo Socialista" (agosto 1978), si sancisce la svolta ideologica, con lo smarcamento dal marxismo, appannaggio di un percorso culturale distinto da quello del PCI e che prende le mosse da Proudhon evolvendosi col socialismo liberale di Carlo Rosselli.

 

Il simbolo del garofano rosso [modifica]

 

Il logo del partito ha subito molti mutamenti nel corso della sua storia.

Un primo mutamento avvenne alla fine degli anni '40 e una, successiva, nel 1971, senza però pregiudicare il simbolo della falce e martello.

In seguito, il garofano rosso diviene uno dei simboli del patrimonio ideale socialista.

* In occasione del 1° maggio 1973 Ettore Vitale realizza per la festa dei lavoratori l'immagine di un pugno chiuso che stringe un garofano rosso in orizzontale: la stessa foto verrà utlizzata come logo del XL Congresso socialista (febbraio 1976). Nel frattempo, c'era stata la Rivoluzione dei garofani in Portogallo (1974) e i socialisti francesi avevano adottato un nuovo simbolo che vede un pugno stringere una rosa rossa (1975). Fu così che, nel 1978 al XLI Congresso socialista viene presentato il nuovo simbolo del Psi dove campeggia enorme un garofano rosso a danno di falce, martello e libro, rimpiccioliti in basso. Il simbolo divenne ufficiale, con alcune modifiche.

* Il simbolo muterà nuovamente nel 1985, quando il sancito allontanamento del marxismo comportò l'abbandono della falce e martello e del libro.

Il garofano rosso sarà definitivamente accantonato nel 1993 a favore di una rosa rossa.

 

L'allontanamento dal marxismo [modifica]

L'abbandono del marxismo era stato già effettuato dalla SPD tedesca, durante il drammatico congresso di Bad Godesberg del 1959. La stessa trasformazione avviene in seno agli altri partiti socialisti europei. Nello stesso anno, Lauricella è promosso presidente del PSI.

Nel 1980 si inaugura la stagione del "Pentapartito", costituito dal PSI insieme a DC, PSDI, PLI e PRI, formalizzato con guida socialista nel 1983 (Governo Craxi I e II) e con guida democristiana nel 1988.

Nel 1985 il PSI di Bettino Craxi rimuove la falce e il martello dal proprio simbolo per rimarcare la sua intenzione di costruire una sinistra alternativa e profondamente riformista guidata dal PSI e non più egemonizzata dal PCI.

L'elettorato premia questa scelta: la percentuale di consensi infatti sale dal 9,8% ottenuto nel 1979 al 14,3% nel 1987. Il PSI però è ancora ben lontano dal rappresentare una guida alternativa al PCI, il quale ottiene il 26,6% dei voti nel 1987.

Con la caduta del muro di Berlino avvenuta nel 1989, reputando imminente una conseguente crisi del Partito Comunista Italiano, Craxi inaugura l'idea della "Unita Socialista" da costruire insieme con il fidato Psdi e nella quale coinvolgere anche ciò che nascerà dalle ceneri del PCI. Craxi dimostrerà così una certa lungimiranza: come previsto infatti il PCI viene sciolto e gli ex comunisti confluiranno nel più moderato e riformista PDS. Anche i primi riscontri elettorali da parte del PSI paiono incoraggianti, poiché alle elezioni regionali del 1990 i socialisti si portano al 18% come media nazionale. In questo periodo l'immagine del partito viene quasi a coincidere con quella del suo leader, al punto da parlare di craxismo.

1992: la crisi del partito [modifica]

Nel partito scoppia la crisi nel 1992 in seguito allo scandalo di Tangentopoli, sollevato dalla magistratura con l'inchiesta "Mani Pulite", che colpisce prevalentemente Bettino Craxi ma mette in crisi tutti i partiti della cosiddetta Prima Repubblica. Il partito cambia rapidamente molti segretari fino al definitivo sfaldamento in tante parti.

Alle elezioni dell'aprile 1992, il PSI raccoglie il 13,5% dei consensi (perdendo l'1% rispetto alle elezioni politiche precedenti, ma il 4,5% rispetto alle elezioni regionali del 1990) ed elegge 92 deputati e 49 senatori. Il Capo dello Stato Scalfaro chiede a Craxi una terna di candidati all'incarico di Presidente del Consiglio e ne riceve l'indicazione "Amato, De Michelis, Martelli, in ordine rigorosamente alfabetico[1]". La presidenza del Consiglio sarà così affidata al socialista Giuliano Amato ma il suo governo durerà meno di un anno, indebolito dalle critiche al finanziamento pubblico dei partiti, e soprattutto dalla sconfitta dei partiti di governo ai referendum del 18 e 19 aprile 1993.

Nel maggio 1992 arrivano i primi avvisi di garanzia a molti parlamentari tra cui spiccano i nomi dei due ex-sindaci di Milano, Paolo Pillitteri e Carlo Tognoli. A novembre del 1992 l'on. Sergio Moroni e l'amministratore del PSI Vincenzo Balzamo ricevono avvisi di garanzia per ricettazione, corruzione e violazione della legge sui finanziamenti ai partiti. Quello stesso mese Claudio Martelli prende definitivamente le distanze da Craxi fondando il gruppo interno di Rinnovamento Socialista.

Il 26 novembre 1992 l'Assemblea Nazionale del PSI si spacca per la prima volta dopo 11 anni di sostanziale unanimismo craxiano. Vengono presentati tre documenti da parte di Giuseppe La Ganga (pro Craxi), Mauro Del Bue (pro Martelli) e Valdo Spini. Al primo vanno 309 voti (63%), al secondo 160 (33%) e a Spini 20 (4%). Craxi resta ancora saldamente alla guida del partito, ma per la prima volta con una maggioranza più ristretta per via della defezione del gruppo di Martelli.

Bettino Craxi riceve il primo suo avviso di garanzia nel dicembre del 1992, alla vigilia delle elezioni amministrative dalle quali il PSI uscirà decimato: molti voti passano alla Lega Nord e al Movimento Sociale Italiano, unici partiti non pesantemente coinvolti in Tangentopoli.

Il 26 gennaio 1993 i "quarantenni" del partito organizzati da poco come Alleanza Riformista promuovono la manifestazione nazionale Uscire dalla crisi. Costruire il futuro. Ad aprire la manifestazione è il Presidente della Regione Emilia-Romagna Enrico Boselli.

Il 31 gennaio sarà il gruppo che a novembre aveva votato la mozione Spini a promuovere l'assemblea aperta Il rinnovamento del PSI.

Craxi si dimette da segretario del PSI l'11 febbraio 1993, dopo rivelazioni sul "conto protezione" che coinvolgevano - insieme a Craxi - il suo ex delfino Claudio Martelli nell'accusa di bancarotta fraudolenta.

Lo stesso Martelli in quel momento era in lizza per succedere come segretario a Craxi, ma la notizia dell'avviso di garanzia lo spinge a dimettersi dal governo e dal PSI.

Resta dunque Giorgio Benvenuto che verrà eletto segretario all'Assemblea Nazionale del 12 febbraio insieme a Gino Giugni come presidente, ma dopo appena cento giorni è costretto alle dimissioni per il continuo ostruzionismo degli ultimi craxiani al progetto di rinnovamento del partito che portava avanti Benvenuto. Anche Giugni si dimette, ma sarà riconfermato nel suo ruolo.

Durante la sua segreteria, Benvenuto aveva ottenuto il 4 maggio dall'esecutivo del PSI che gli inquisiti fossero sospesi da ogni attività di partito.

Il 28 maggio l'Assemblea nazionale elegge Ottaviano Del Turco nuovo segretario nazionale. Il gruppo di Spini presenta un documento alternativo.

Il giorno dopo nasce il gruppo di Rinascita Socialista guidato da Benvenuto e Enzo Mattina, che via via si defilerà dal PSI.

Alle elezioni amministrative del 6 giugno 1993 il PSI ne uscirà decimato. A Milano, vecchia roccaforte del craxismo il PSI che candida il sindaco uscente Borghini riceve un catastrofico 2,2%. Nelle altre grandi città la situazione non è migliore. A Torino, dove il PSI è in alleanza con il PSDI raccoglie l'1,8%. A Catania, dove la DC faticosamente tiene, il PSI non si presenta nemmeno. Queste elezioni, per quanto limitate a un campione non rappresentativo di tutto l'elettorato italiano, indicano però l'imminente collasso del Partito Socialista. Grazie al voto del sud comunque il PSI è al 5% su base nazionale. Ma al nord, il PSI è svanito schiacciato da una Lega dirompente e un PDS in crescita.

Ottaviano Del Turco sconfessa la posizione difensiva di Craxi rifiutando di raccogliere la sua indicazione di alcuni conti bancari esteri[2]; per salvare il partito promette di non candidare tutti gli esponenti accusati di corruzione.

Il 16 dicembre si tiene l'ultima Assemblea Nazionale, dove Craxi prenderà la parola e dove i craxiani tentano di riprendere il controllo del partito. All'ordine del giorno c'è la proposta di cambiamento del nome e del simbolo (da PSI a PS e dal garofano alla rosa). L'intervento di Craxi è in difesa di tutti i socialisti nella sua stessa condizione di indagato o rinviato a giudizio e contro il gruppo dirigente che vuole portare avanti il rinnovamento e l'ancoramento definitivo a sinistra del partito. Il PSI si schiera con Del Turco con 156 voti contro i 116 pro Craxi.

Ormai il PSI è allo sbando. Nell'agosto 93 il partito, per cause di morosità, deve lasciare la sede storica di Via del Corso, simbolo del potere craxiano. Ormai il palazzone viene definito Palazzo delle Mazzette. Il Garofano, già nel mirino delle inchieste giudiziarie, deve anche affrontare un deficit pari a 70 miliardi e una galassia di debiti circa pari a 240 miliardi. La crisi finanziaria spinge il PSI a liquidare le riviste storiche di MondOperaio e Critica Sociale. Anche il quotidiano l'Avanti! chiude i battenti. Infatti la direzione nazionale del partito si trasferisce nei locali di Via Tomasseli a Roma, ex-sede dell'Avanti.

Molti craxiani però non condividono le scelte di Del Turco. Con la sostituzione del Garofano con la rosa nel nuovo simbolo del PSI molti dichiarano di lasciare il partito. Ugo Intini e altri craxiani (Boniver, Piro) il 28 gennaio 1994 danno vita alla Federazione dei Socialisti: essa, alle successive elezioni politiche 1994, si presenterà congiuntamente con il Psdi, dando luogo alla lista Socialdemocrazia per le Libertà. La federazione, il 18 dicembre, diventerà poi Movimento Liberal Socialista, dopo una prima "convention" per la costituzione del movimento (15 maggio 1994) e il lancio del quindicinale Non mollare (16 giugno 1994). Ciò che resta dei gruppo parlamentari viene diviso tra quelli pro-Del Turco e pro-Craxi. Il PSI, che per molti anni poteva vantarsi di una centralità nello scenario politico e un'unità stetta attorno al suo capo storico, viene visto come un partito ormai alla fine della sua storia sia politica che culturale.

In occasione delle Elezioni politiche del 1994 ciò che resta del PSI si allea con il PDS nell'Alleanza dei Progressisti, che però perde le elezioni. Si spera di passare il 4% di sbarramento. Il PSI di Del Turco raccoglie il 2,5% dei consensi (pari a circa 800.000 voti). I socialisti riescono così a eleggere (nei collegi uninominali) 14 deputati contro i 92 eletti nel 1992. Del Turco rassegna le dimissioni e viene sostituito da Valdo Spini come coordinatore nazionale. Alle Elezioni europee del 1994, in lista comune con Alleanza Democratica, raccoglie l'1,8%.

La diaspora socialista [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partiti e movimenti politici italiani di ispirazione socialista (ex-PSI).

Schiacciato dall'offensiva giudiziaria e da una feroce campagna giornalistica, e dopo una temporanea alleanza con AD, il PSI si scioglie definitivamente con un congresso il 13 novembre 1994 presso la Fiera di Roma. Da quel giorno ha inizio ufficialmente la diaspora socialista in Italia, già iniziata nel 1993.

Lo stesso 13 novembre 1994, subito dopo lo scioglimento, nascono diverse formazioni socialiste distinte:

* Socialisti Italiani;

* Partito Socialista Riformista.

Altre formazioni attorno alle quali si coagulano le istanze socialiste sono inoltre:

* Federazione Laburista;

* Alleanza Democratica.

Oltre che nelle formazioni politiche sopra elencate, importanti esponenti del disciolto Partito socialista italiano sono anche confluiti attraverso varie esperienze in:

* Forza italia/Il Popolo della Libertà

* Democratici di Sinistra-Democrazia è Libertà/Partito Democratico

Collaterali a questi partiti vi sono infatti spesso vere e proprie associazioni politico-culturali d'ispirazione socialista: con Forza italia Noi Riformatori Azzurri, Fondazione Free e Giovane Italia, con il Partito Democratico l'associazione politico-culturale Socialisti Democratici per il Partito Democratico e l'ex corrente diessina dei Socialisti Liberali.

Nella XV legislatura la pattuglia di ex-socialisti del PSI eletti nei due rami del Parlamento e al Parlamento Europeo fu molto ridotta, solo 63 su 1030 provenivano dal PSI: 33 sono di Forza Italia, 13 PS, 12 PD, 2 del MpA, 1 del Nuovo PSI, 1 dell'UDC e 1 non aderisce a nessun partito (Giovanni Ricevuto)[3].

In definitiva, caratteristica italiana è quella di vedere il proprio panorama politico seminato da diversi gruppi d'ispirazione socialista, a differenza di quanto si riscontra generalmente in altri Paesi, dove esiste di norma un unico partito di ispirazione socialista e/o socialdemocratica. Tuttavia idee e contributi di matrice socialista hanno contaminato larga parte della sinistra italiana, con la possibilità di influire nei successivi processi di aggregazione che si sono realizzati e che si profileranno nello scenario politico.

La rinascita del PSI [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Italiano (attuale).

Nel luglio 2007, però Enrico Boselli, segretario dei Socialisti Democratici Italiani (gruppo Rosa nel Pugno), ha annunciato di voler ricostituire l'originale PSI, dando vita ad una Costituente, aperta alle forze laiche, di sinistra moderata e democratica, che non si riconosce, però, nel Partito Democratico. Si è così costituito un nuovo soggetto politico che ha preso il nome di "Partito Socialista". Alle elezioni politiche dell'aprile 2008 il PS ha ottenuto lo 0,9% dei consensi. Il risultato elettorale, insufficiente per eleggere rappresentanti socialisti in parlamento, ha portato alle dimissioni di Enrico Boselli in forte polemica con Walter Veltroni [4]. Il congresso di fine giugno 2008 vedrà affrontarsi due candidati per la carica di segretario: Riccardo Nencini, attuale presidente del Consiglio regionale della Toscana e forte esponente della linea continuatrice alla visione di Enrico Boselli che punta all'alleanza con il Partito Democratico, Pia Locatelli, eurodeputata e sostenitrice della tesi lanciata all'assemblea di Chianciano Terme, per un soggetto politico liberale, radicale, socialista e laico e Angelo Sollazzo che auspica un'apertura con i partiti della sinistra radicale. Il 7 ottobre 2009 il PS riprende lo storico nome di Partito Socialista Italiano.

Risultati elettorali [modifica]

Psi1980.png – Partito Socialista Italiano alle Elezioni Politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1895

 

1897

 

1900

 

1904

 

1909

 

1913

 

1919

 

1921

 

1924

 

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

 

1994

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Camera

 

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

?

 

?

 

97.368

 

108.510

 

170.000

 

902.809

 

1.834.792

 

1.569.559

 

341.528

 

4.758.129

8.137.047°

6.969.122°

3.441.305

2.893.148

4.208.111

3.682.806

4.257.300

3.849.878

4.605.832^

4.355.506^

3.210.427

3.225.804

3.542.998

3.209.987

3.596.802

3.255.104

4.223.362

3.541.101

5.505.690

4.497.672"

5.343.930

4.513.354

849.429

nei Progressisti

2,95

 

2,95

 

6,5

 

5,7

 

8,1

 

17,7

 

32,3

 

24,7

 

4,9

 

20,7

31,0 nel FDP°

30,8 nel FDP°

12,6

11,9

14,2

14,0

13,8

14,0

14,4

15,2

9,6

10,7

9,6

10,3

9,8

10,3

11,4

11,3

14,2

13,9"

13,6

13,5

2,1

-

15

 

15

 

33

 

29

 

41

 

52

 

156

 

123

 

22

 

115

57

41*

75

26

84

35

87

44

91

46

61

33

57

29

62

32

73

38

94

45

92

49

14

6

° in comune col PCI nel Fronte Democratico Popolare

^ ingloba il PSDI

" con alcune candidature congiunte con PSDI e PR

* con i senatori aventiniani di diritto

Psi1980.png – Partito Socialista Italiano alle Elezioni Europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989

1994 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 3.858.295

3.932.812

5.154.515

600.106 11,3

11,2

14,8

1,8 9

9

12

2

Segretari [modifica]

Parte delle serie politiche sul

Socialismo

Red flag waving transparent.png

Attuali

Comunismo

Socialismo democratico

Socialismo libertario

Socialismo rivoluzionario

Socialdemocrazia

Influenze

Anarchia

Marxismo

Internazionalismo

Sindacato

Utilitarismo

Socialismo utopico

Idee

Lotta di classe

Democrazia

Egualitarismo

Rivoluzione proletaria

Giustizia sociale

Varie

Partito Socialista

Storia del socialismo

Critiche al socialismo

Organizzazioni

Associazione internazionale dei lavoratori

Seconda Internazionale

Internazionale Socialista

Portale del Socialismo

Questo box: vedi • disc. • mod.

 

* Pompeo Ciotti (1909-?)

* Costantino Lazzari (1912-1918, 1919)

* Egidio Gennari (1918-1919)

* Nicola Bombacci (1919-1921)

* Domenico Fioritto (1921-1923)

* Olindo Vernocchi (1924-1930)

* Ugo Coccia (1930-1931)

* Pietro Nenni (agosto 1931 - aprile 1945)

* Sandro Pertini (aprile 1945 - aprile 1946)

* Ivan Matteo Lombardo (aprile 1946 - gennaio 1947)

* Lelio Basso (gennaio 1947 - giugno 1948)

* Alberto Jacometti (giugno 1948 - maggio 1949)

* Pietro Nenni (maggio 1949 - novembre 1963)

* Francesco De Martino (novembre 1963 - ottobre 1966)

* Francesco De Martino e Mario Tanassi, co-segretari (ottobre 1966 - ottobre 1968)

* Mauro Ferri (ottobre 1968 - luglio 1969)

* Francesco De Martino (luglio 1969 - aprile 1970)

* Giacomo Mancini (aprile 1970 - novembre 1972)

* Francesco De Martino (novembre 1972 - luglio 1976)

* Bettino Craxi (luglio 1976 - febbraio 1993)

* Giorgio Benvenuto (febbraio - maggio 1993)

* Ottaviano Del Turco (maggio 1993 - novembre 1994)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Genova, 14-15 agosto 1892

Fondazione di un nuovo partito che unisce diverse associazioni a due partiti nati pochi anni prima. Il nuovo partito viene nominato Partito dei Lavoratori Italiani e assume le idee socialiste come linee guida.

* II Congresso - Reggio Emilia, 8-10 settembre 1893

Il partito muta il suo nome in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

* III Congresso - Parma, 13 gennaio 1895

Il congresso venne tenuto in clandestinità a causa dello scioglimento per decreto voluto da Crispi. Il partito assume la denominazione di Partito Socialista Italiano (PSI).

* IV Congresso - Firenze, 11-13 luglio 1896

Nasce il quotidiano socialista L'Avanti!.

* V Congresso - Bologna, 18-20 settembre 1897

* VI Congresso - Roma, 8-11 settembre 1900

Formazione di una corrente del socialismo riformista all'interno del partito.

* VII Congresso - Imola, 6-9 settembre 1902

Il Tempo di Milano diventa quotidiano della corrente socialista riformista.

* VIII Congresso - Bologna, 8-11 aprile 1904

Prevalgono le istanze intransigenti e rivoluzionarie del partito.

* IX Congresso - Roma, 7-10 ottobre 1906

Prevalgono le istanze integraliste del partito.

* X Congresso - Firenze, 19-22 settembre 1908

Prevalgono le istanze integraliste e riformiste del partito. È proclamata l'incompatibilità dei sindacalisti rivoluzionari con il partito.

* XI Congresso - Milano, 21-25 ottobre 1910

Prevalgono le istanze riformiste del partito.

* XII Congresso (straordinario) - Modena, 15-18 ottobre 1911

Prevalgono le istanze riformiste del partito.

* XIII Congresso - Reggio Emilia, 7-10 luglio 1912

Prevalgono le istanze rivoluzionarie del partito. Espulsione di alcuni componenti della frazione riformista che andranno a fondare il Partito Socialista Riformista Italiano (PSRI).

* XIV Congresso - Ancona, 26-29 aprile 1914

Prevalgono le istanze rivoluzionarie del partito. Dichiarazione di opposizione alla prima guerra mondiale.

* XV Congresso - Roma, 1-5 settembre 1918

Prevalgono le istanze massimaliste del partito, legate al marxismo.

* XVI Congresso - Bologna, 5-8 ottobre 1919

Prevalgono le istanze massimaliste del partito. Formazione di un nuovo programma per il partito, sull'onda della rivoluzione d'ottobre in Russia e sul successo elettorale in Italia. Lotta e conquista delle 8 ore lavorative.

* XVII Congresso - Livorno, 15-21 gennaio 1921

Il congresso si apre con forti discussioni sulla linea strategica e programmatica. La frazione rivoluzionaria si scinde e forma il Partito Comunista d'Italia (PCd'I).

* XVIII Congresso - Milano, 10-15 ottobre 1921

* XIX Congresso - Roma, 1-4 ottobre 1922

Il congresso si apre con forti discussioni sulla linea strategica e programmatica. Vi è l'espulsione dell'ala riformista del movimento che fonderà il Partito Socialista Unitario (PSU).

* XX Congresso - Milano, 15-17 aprile 1923

* XXI Congresso - Parigi, 19-20 luglio 1930, in esilio

* XXII Congresso - Marsiglia, 17-18 aprile 1933, in esilio

* XXIII Congresso - Parigi, 26-28 giugno 1937, in esilio

* XXIV Congresso - Firenze, 11-17 aprile 1946

* XXV Congresso - Roma, 9-13 gennaio 1947

* XXVI Congresso - Roma, 19-22 gennaio 1948

* XXVII Congresso - Genova, 27 giugno - 1° luglio 1948

* XXVIII Congresso - Firenze, 11-16 maggio 1949

* XXIX Congresso - Bologna, 17-20 gennaio 1951

* XXX Congresso - Milano, 8-11 gennaio 1953

* XXXI Congresso - Torino, 31 marzo - 3 aprile 1955

* XXXII Congresso - Venezia, 6-10 febbraio 1957

* XXXIII Congresso - Napoli, 15-18 gennaio 1959

* XXXIV Congresso - Milano, 16-18 marzo 1961

* XXXV Congresso - Roma, 25-29 ottobre 1963

* XXXVI Congresso - Roma, 10-14 novembre 1965

* XXXVII Congresso - Roma, 27-29 ottobre 1966

* XXXVIII Congresso - Roma, 23-28 ottobre 1968

* XXXIX Congresso - Genova, 9-14 novembre 1972

* XL Congresso - Roma, 3-7 marzo 1976

* XLI Congresso - Torino, 30 marzo - 2 aprile 1978

* XLII Congresso - Palermo, 22-26 aprile 1981

* XLIII Congresso - Verona, 11-15 maggio 1984

* XLIV Congresso - Rimini, 31 marzo - 5 aprile 1987

* XLV Congresso - Milano, 13-16 maggio 1989

* XLVI Congresso (straordinario) - Bari, 27-30 giugno 1991

* XLVII Congresso - Roma, 11-12 novembre 1994

Scioglimento del Partito.

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1945 - 700.000

* 1946 - 860.300

* 1947 - 822.000

* 1948 - 531.031

* 1949 - 430.258

* 1950 - 700.000

* 1951 - 720.000

* 1952 - 750.000

* 1953 - 780.000

* 1954 - 754.000

* 1955 - 770.000

* 1956 - 710.000

* 1957 - 477.000

* 1958 - 486.652

* 1959 - 484.652

* 1960 - 489.837

* 1961 - 465.259

* 1962 - 491.216

* 1963 - 491.676

* 1964 - 446.250

* 1965 - 437.458

* 1966 - 700.964 (Con il PSDI)

* 1967 - 633.573 (Con il PSDI)

* 1968 - —

* 1969 - —

* 1970 - 506.533

* 1971 - 592.586

* 1972 - 560.187

* 1973 - 465.183

* 1974 - 511.741

* 1975 - 539.339

* 1976 - 509.388

* 1977 - 482.916

* 1978 - 479.769

* 1979 - 472.544

* 1980 - 514.918

* 1981 - 527.460

* 1982 - 555.956

* 1983 - 566.612

* 1984 - 571.821

* 1985 - 583.282

* 1986 - 593.231

* 1987 - 620.557

* 1988 - 630.692

* 1989 - 635.504

* 1990 - 660.195

* 1991 - 674.057

* 1992 - 51.224

* 1993 - -

* 1994 - 43.052

Esponenti, iscritti illustri e simpatizzanti [modifica]

* Elenco degli esponenti del Partito Socialista Italiano

Giornali e riviste [modifica]

* Avanti!

* Avanti Europa

* Azione Socialista

* Critica Sociale

* Mondoperaio

Voci correlate [modifica]

* Politica

* Socialismo

* Catto-Socialisti (con radici e rifondazione di esperienza politiche ) definibili nell'alveo del Partito Cristiano Sociale e del Socialismo non marxista

* Sistema politico della Repubblica Italiana

* Storia del sistema politico italiano

* Corte di nani e ballerine, espressione coniata da Rino Formica con riferimento a molti membri dell'Assemble Nazionale

Note [modifica]

1. ^ Dall'archivio storico del Corriere della Sera. Sul fatto che Giuliano Amato non esprimesse una corrente radicata sul territorio, vedasi Rino Formica nell'intervista a Claudio Sabelli Fioretti per "La Stampa" del 10 dicembre 2008, secondo cui, a differenza della lunga esperienza ministeriale, Amato nella vita del partito "contava meno del due di briscola". Nella stessa intervista, alla domanda "Non sapeva del sistema delle tangenti…?" Formica risponde :"Come uno che fa parte di una famiglia dove entra uno stipendio di mille euro al mese ma si vive al ritmo di 2 mila euro al giorno (...) Amato non era un intellettuale organico. Era ingaggiato. Un professionista. Praticamente un tassista". Uno degli atout di questo professionismo svincolato da un mandato politico era rappresentato dal vivo gradimento degli Stati Uniti d'America: ricordando che per la propria nomina a premier nella sede della CIA si brindò a spumante, Cossiga chiosò, in riferimento a quella di Amato: "Sono sicuro che a Langley, Virginia, avranno brindato a champagne per la sua nomina..."("Caro Berlusconi, con Amato per te sarà dura", intervista a Cossiga di Ugo Magri,La Stampa, 30 aprile 2000).

2. ^ Secondo il Corriere della sera, 14 luglio 2008, "si parlò di una busta con i conti esteri, consegnata al nuovo segretario e strappata. "A Del Turco — racconta Bobo Craxi — fu fatto sapere che, come tutti i partiti "leninisti", anche il nostro aveva munizioni nascoste in caso di guerra. Insomma, risorse altrove da usare per le calamità; e la calamità era arrivata. Lui rispose che non voleva saperne"." L'episodio, secondo Marco Travaglio, non troverebbe conferma negli atti processuali: la sentenza All Iberian, pronunciata in primo grado ma conclusasi nei successivi gradi per prescrizione, affermava che "Craxi è incontrovertibilmente responsabile come ideatore e promotore dell’apertura dei conti destinati alla raccolta delle somme versategli a titolo di illecito finanziamento quale deputato e segretario esponente del Psi (...) Significativamente Craxi non mise a disposizione del partito questi conti". Nelle confessioni del coimputato Tradati si legge poi che "i soldi non finirono al partito, a parte 2 miliardi per pagare gli stipendi". Peraltro, si dà conto anche del fatto che "Raggio ha manifestato stupore per il fatto che, dopo la sua cessazione dalla carica di segretario del Psi, Craxi si sia astenuto dal consegnare al suo successore i fondi contenuti nei conti esteri". Cfr. ((http://antefatto.ilcannocchiale.it/glamware/blogs/blog.aspx?id_blog=96578&id_blogdoc=2409496&title=2409496)).

3. ^ Forza Italia (Simone Baldelli, Massimo Baldini, Paolo Bonaiuti, Margherita Boniver, Anna Bonfrisco, Renato Brunetta, Francesco Brusco, Giulio Camber, Giampiero Cantoni, Fabrizio Cicchitto, Francesco Colucci, Stefania Craxi, Luigi Cesaro, Gaetano Fasolino, Antonio Gentile, Paolo Guzzanti, Raffaele Iannuzzi, Vanni Lenna, Chiara Moroni, Francesco Musotto, Emiddio Novi, Gaetano Pecorella, Marcello Pera, Mauro Pili, Sergio Pizzolante, Gaetano Quagliariello, Maurizio Sacconi, Jole Santelli, Amalia Sartori, Aldo Scarabosio, Giorgio Stracquadanio, Renzo Tondo e Giulio Tremonti), PS (Rapisardo Antinucci, Alessandro Battilocchio, Enrico Boselli, Enrico Buemi, Giovanni Crema, Mauro Del Bue, Gianni De Michelis, Lello Di Gioia, Pia Elda Locatelli, Giacomo Mancini Jr., Angelo Piazza, Valdo Spini e Roberto Villetti), PD (Giuliano Amato, Giorgio Benvenuto, Antonello Cabras, Laura Fincato, Carlo Fontana (politico), Linda Lanzillotta, Maria Leddi, Beatrice Magnolfi, Pierluigi Mantini, Gianni Pittella, Tiziano Treu e Sergio Zavoli), MpA (Pietro Reina e Giuseppe Saro), Nuovo PSI (Lucio Barani), UDC (Giuseppe Drago) indipendenti (Giovanni Ricevuto).

4. ^ http://www.partitosocialista.it/site/artId__500/307/281-Veltroni_consegna_l_Italia_a_Berlusconi_br_Boselli_-_il_Congresso_scegliera_il_nuovo_leader.aspx

 

 

 

Partito Socialista Democratico Italiano

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Partito Socialista Democratico Italiano

PSDI.png

Partito politico italiano del passato

Leader storici Giuseppe Saragat, Mario Tanassi

Periodo di attività 11 gennaio 1947 - 10 maggio 1998

Sede Piazza di Spagna, Roma

Coalizioni *elettorali o di governo:

* Unità Socialista (1948)

* Centrismo (1947-1963)

* Centro-sinistra "organico" (1963-1980)

* Pentapartito (1980 - 1994)

Partito Europeo Partito del Socialismo Europeo

Ideologia socialdemocrazia

Numero massimo di seggi alla Camera 33 (nel 1963)

Numero massimo di seggi al Senato 23 (nel 1948)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 4 (nel 1979)

Organo ufficiale L'Umanità

Il Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) è un partito politico italiano socialdemocratico fondato l'11 gennaio 1947, in seguito alla cosiddetta "Scissione di Palazzo Barberini". La denominazione iniziale del nascente partito socialdemocratico, in rievocazione dell'antecedente esperienza prefascista, fu Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

Entrato in una lunga fase di agonia dopo lo scoppio dello scandalo di Tangentopoli fra il 1992 e il 1994, scomparve nel 1998 per aderire ai Socialisti Democratici Italiani.

Nel 2004 viene rifondato, in continuità giuridica con l'esperienza precedente, senza tuttavia riottenere una significativa consistenza.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Prodromi

o 1.2 La rinascita del PSLI

o 1.3 Il centrismo

o 1.4 Il centro-sinistra

o 1.5 Gli anni della presidenza Saragat

o 1.6 Il pentapartito

o 1.7 La parabola discendente

o 1.8 La diaspora socialdemocratica

* 2 Ricostituzione del PSDI

o 2.1 Le elezioni politiche del 2006 e la crisi del 2007

o 2.2 Le elezioni politiche 2008

o 2.3 Segretari

o 2.4 Congressi nazionali

o 2.5 Risultati elettorali

o 2.6 Voci correlate

o 2.7 Collegamenti esterni

o 2.8 Note

o 2.9 Bibliografia

Storia [modifica]

Prodromi [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Riformista Italiano.

Fin da quando il Partito Socialista Italiano cominciò a divenire un'importante e consistente formazione politica agli inizi del Novecento, al suo interno cominciarono a delinearsi due distinte correnti, una più estremista, rivoluzionaria e massimalista, e all'opposto un'altra più moderata, parlamentarista e riformista. Le due fazioni si alternarono più volte alla guida del partito, finché nel 1912 si giunse al punto di rottura sul tema dell'atteggiamento verso la Guerra di Libia, dagli uni vista come un esempio di aggressione imperialista, e dagli altri come un'occasione per procurare nuove terre ed occasioni d'impiego per i contadini e i lavoratori in generale: i pacifisti prevalsero, e fu così che il gruppo facente capo a Leonida Bissolati e a Ivanoe Bonomi fu espulso e formò il Partito Socialista Riformista Italiano, dando vita alla prima esperienza socialdemocratica in Italia, le cui fortune non superarono però la Prima guerra mondiale, anche se durante il conflitto il nuovo partito fu cooptato in varie compagini governative.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Partito Socialista Unitario.

La seconda crisi all'interno del movimento proletario italiano avvenne nel quadro delle forti tensioni del Primo dopoguerra, quando in Italia si profilava sempre più forte la minaccia fascista. Il PSI, nonostante avesse perso nel 1921 la sua componente più estremista che aveva creato il Partito Comunista, non seppe trovare al suo interno l'unità e la compattezza necessarie nell'affrontare l'ondata nera che calava sul paese. La frangia più moderata guidata da Giacomo Matteotti e Filippo Turati sosteneva la creazione di un'alleanza governativa moderata che sapesse ergersi a freno rispetto all'estrema destra, ma tale intendimento non fu accettato dalla dirigenza massimalista che il 1ş ottobre 1922 espulse i dissidenti, i quali andarono a formare il Partito Socialista Unitario. Il nuovo soggetto politico seppe invero raccogliere il maggior consenso nello schieramento progressista, seppur nel difficilissimo quadro delle sempre maggiori violenze fasciste, e nelle controverse elezioni del 1924 riuscì a porsi come il primo partito della Sinistra, davanti sia al PSI che al PCI. Sciolto come tutti i partiti democratici in seguito all'instaurazione della dittatura nel 1926, assunse in clandestinità il nome di Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, per poi addivenire alla riunificazione con la casa madre socialista a Parigi nel 1930.

La rinascita del PSLI [modifica]

Conclusasi la Seconda guerra mondiale, il fascismo fu spazzato via e in Italia si restaurarono le istituzioni democratiche. Il XXIV Congresso socialista, celebrato a Firenze dal 11 al 17 aprile 1946, vide accendersi lo scontro fra la maggioranza allora guidata da Pietro Nenni e la minoranza di Giuseppe Saragat, includente simpatizzanti di Critica sociale di Ugo Guido Mondolfo ed Iniziativa socialista di Mario Zagari che sostenevano una linea politica più autonoma del Partito rispetto al PCI. La linea politica di Nenni, che riteneva indispensabile l'attiva collaborazione col PCI venne confermata da un nuovo patto di unità d'azione PCI-PSIUP stretto il 25 ottobre 1946.

Il gruppo di Saragat trovò diretta conferma alle loro tesi dai risultati delle elezioni amministrative del 10 novembre dello stesso anno. In quell'occasione il Partito Comunista superò per la prima volta i socialisti, divenendo la prima forza della sinistra italiana: mentre Nenni, tralasciando la riduzione del numero dei votanti socialisti, sottolineava la crescita elettorale globale della sinistra interpretandola come una vittoria, Saragat in una intervista sostenne invece che la dirigenza del partito paralizzava l'azione socialista, con l'effetto ultimo che avrebbe portato lo stesso alla dissoluzione. [1]

Il conseguente XXV congresso straordinario socialista, tenutosi a Roma dal 9 al 13 gennaio 1947, e voluto fortemente da Nenni per analizzare la situazione di attrito tra le componenti di maggioranza e minoranza con l'obiettivo di riunire le diverse posizioni, fallì però il suo scopo primario. L'11 gennaio 1947 con la scissione dal PSIUP dell'ala democratico-riformista guidata da Giuseppe Saragat, al termine di una concitata riunione presso Palazzo Barberini in Roma, venne infatti fondato il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI).

La scissione costa al PSIUP la trasmigrazione di 50 parlamentari socialisti nel nuovo partito e di una folta schiera di dirigenti ed intellettuali fra cui Treves, D'Aragona e Modigliani. Il PSIUP guidato da Nenni, per evitare che questo possa diventare la denominazione del nuovo partito di ispirazione socialista fondato da Saragat, decide di riprendere il vecchio nome di Partito Socialista Italiano.

Nel mese di dicembre dello stesso anno, socialdemocratici e repubblicani, tramite un rimpasto governativo, entrano nel IV Governo De Gasperi. Varato il 31 maggio 1947 in una coalizione centrista a guida DC includente anche PLI, in questo governo Saragat ottiene il titolo di Vicepresidente del Consiglio dei Ministri: il PSI ed il PCI, presenti nel precedente governo finirono esclusi, andando all'opposizione per la prima volta dalla costituzione della Repubblica Italiana.

Nel 1948 si tengono elezioni politiche decisive per il futuro del Paese. Il PSLI si presenta dunque alle elezioni del 18 aprile come forza indipendente "autenticamente socialista e democratica", schierata su un terreno di centrosinistra rispetto alla scena politica italiana, ma aperta anche al contributo di altre forze laico-riformiste di centro e di centrosinistra. L'apertura del partito ai laico-riformisti nonché naturalmente a qualunque spezzone socialista che avversasse il PCI e l'URSS, ebbe successo e tra gli altri aderì alla proposta anche il gruppo fuoriuscito dal PSI guidato da Ivan Matteo Lombardo e comprendente, tra gli altri, intellettuali quali Ignazio Silone, Piero Calamandrei e Franco Venturi. Tale operazione portò così alla costituzione della lista "Unità Socialista", che con il suo 7,1% di voti alla Camera dei deputati e il 4,2% al Senato contribuì ad impedire in Italia la vittoria del Fronte Popolare, costituito dall'alleanza fra PCI e PSI mirante alla formazione di un governo marxista ispirato ai modelli di governi socialisti dell'est Europa e basati su di una fratellanza con l'Unione Sovietica. L'ottimo piazzamento del PSLI situato al terzo posto dopo DC e Fronte Democratico Popolare nei risultati elettorali per la Camera dei Deputati, consentì ai socialdemocratici di costituire in Parlamento un gruppo consistente formato da trentatre deputati, mentre al Senato la situazione fu ancor più rosea, dato che con il contibuto dei senatori aventiniani di diritto provenienti dall'esperienza del PSU, alla Camera alta si riuscì a comporre una pattuglia socialdemocratica di ben ventitré membri.

Il 23 maggio 1948 nel conseguente V Governo De Gasperi entrarono a farne parte due ministri socialdemocratici: Saragat come Vicepresidente del Consiglio e Ministro della Marina mercantile e Lombardo al ministero dell'industria.

Il centrismo [modifica]

Targa commemorativa della Scissione di Palazzo Barberini

La vittoria della DC e il buon risultato di Unità Socialista favorì così la collocazione dell'Italia nell'area occidentale e permise la costituzione di governi fondati sull'alleanza dei partiti dai liberali ai riformisti (PLI, DC, PRI e PSLI, poi PSDI).

Nell'arco di due anni però, tra il 1948 e il 1950, il PSLI tenne quattro congressi nei quali vi fu una continua uscita di militanti e dirigenti tra cui Giuseppe Faravelli, Ugo Guido Mondolfo, Mario Zagari.

Questi confluiscono, con Giuseppe Romita ed altri piccoli gruppi laico-socialisti, nel Partito Socialista Unitario (PSU), che tenne il suo primo congresso nel dicembre 1949. In quel tempo il PSLI contava ufficialmente 80.000 iscritti e il PSU circa 170.000, ma in realtà le continue fuoriuscite nonché le pressioni del PSI, che con l'aiuto del PCI e sotto la direzione di Rodolfo Morandi riorganizzava la sua presenza sociale, ridussero gli iscritti complessivamente al di sotto dei 50.000.

Dopo breve tempo però, nel PSU si fecero sentire le sue simpatie nei confronti del PSLI di Saragat e così al II Congresso del PSU venne trattata la tematica dell'unificazione PSU-PSLI. Su tale proposito si scontrarono due correnti: una guidata da Romita favorevole all'unificazione, la seconda guidata dalla sinistra di Mondolfo e Codignola contrari. Prevalse la prima e il 1ş maggio 1951 i due partiti si unificarono dando vita al Partito Socialista - Sezione Italiana dell'Internazionale Socialista (PS-SIIS). Il simbolo era il classico sole nascente, ma con l'unione del libro dell'Internazionale, ovviamente rosso-arancioni. Questo nome fu però contestato dalla corrente più a destra, poiché ricordava troppo l'internazionalismo di stampo stalinista: quando l'unificazione venne sancita il 7 gennaio 1952 nel VII Congresso del partito, questo assunse dunque la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) ed elesse segretario Giuseppe Saragat.

Nelle elezioni del 1953 intanto il PSDI scese al 4,5%. Tuttavia l'esistenza del sindacato UIL, a forte carattere socialdemocratico, e l'azione di governo consentirono di portare avanti anche in Italia gli ideali della socialdemocrazia. Il PSDI si identificava nel suo leader indiscusso, nonché fondatore Giuseppe Saragat.

Gli anni del centrismo andarono dal 1948-1960 e la coalizione di governo fu comunque sempre guidata dalla DC, partito di "centro che guarda a sinistra" come disse lo stesso Alcide De Gasperi, ruolo primario ebbe anche il PSDI, mentre PLI e PRI furono penalizzati a causa degli scarsi risultati elettorali. Gli anni del "centrismo" furono segnati dalla ricostruzione e da una maggioranza politicamente forte in cui l'azione politica era accompagnata da una forte ripresa economica e benessere sociale. Gli anni del centrismi furono quelli della ricostruzione, che negli anni sessanta porterà poi al cosiddetto boom economico.

Il centro-sinistra [modifica]

A partire dagli inizi degli anni sessanta, la Democrazia Cristiana (guidata da Amintore Fanfani ed Aldo Moro), stava maturando l'apertura verso il Partito Socialista Italiano di Pietro Nenni, il quale proprio allora stava affrancando il suo partito dal patto di unità d'azione che fino a quel momento aveva unito socialisti e comunisti. Il Partito Socialista Democratico Italiano dunque (da sempre alleato leale della DC), dopo un iniziale periodo di titubanza, approva la svolta di centro-sinistra accelerandone il processo e conducendo un formidabile lavoro di mediazione tra socialisti e democristiani, per mezzo del suo fondatore e leader indiscusso Giuseppe Saragat.

L'apertura ai socialisti causò la fuoriuscita dalla compagine governativa del PLI, ma diede inizio ad una forte fase riformatrice nel Paese e migliorò anche la performance elettorale del partito socialdemocratico, che raggiunge il 6% alle elezioni politiche. L'esperienza governativa nel centro-sinistra nel frattempo, facilita il nuovo incontro tra socialdemocratici e socialisti e così il 30 ottobre 1966, il PSDI si riunificò con il PSI, dando vita al PSI-PSDI Unificati.

Il 5 luglio 1969 però - in seguito a scarsi risultati elettorali - nel PSU le strade della componente socialista e di quella socialdemocratica si dividono nuovamente: la prima ritornò al PSI, mentre la seconda ricostituì un soggetto socialdemocratico chiamato Partito Socialista Unitario (PSU), che il 10 febbraio 1971 riprese la denominazione di Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI).

Nel frattempo, a metà degli anni settanta, Francesco De Martino mise per la prima volta - dopo oltre un decennio - in discussione la compatibilità politica tra socialisti e democristiani. In questa fase, se da un lato il PSDI rese più forti i suoi legami con la DC, dall'altro incoraggiò la corrente degli "autonomisti" di Bettino Craxi a mettere in discussione la segreteria di De Martino; quando questi venne eletto alla segreteria del PSI, ribadì la disponibilità dei socialisti ad entrare in nuovi esecutivi di centro-sinistra e riprese i contatti con i fratelli socialdemocratici del PSDI, chiudendo nuovamente le prospettive politiche dei socialdemocratici.

Gli anni della presidenza Saragat [modifica]

Giuseppe Saragat, capo indiscusso del PSDI

Ritratto di Mario Tanassi

Il 1964 si apre amaramente per i socialisti a causa di una nuova scissione. L'11 gennaio la corrente di sinistra guidata da Tullio Vecchietti, Lelio Basso e Emilio Lussu, fuoriscita dal PSI perché contraria alla formazione di un governo di centro-sinistra formato dal PSI e dal PSDI insieme alla DC, rifonda il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Il 28 dicembre 1964, dopo le dimissioni anticipate del Presidente della Repubblica Antonio Segni (DC), colto il 7 agosto da un improvviso ictus cerebrale, una vasta coalizione di parlamentari di sinistra su indicazione di Giorgio Amendola (PCI) e di Ugo La Malfa (PRI) vota Giuseppe Saragat nuovo Capo dello Stato che, con i voti dei Grandi elettori di PCI, PSI, PSDI, PRI e buona parte della DC - che aveva visto "bruciato" il suo candidato ufficiale Giovanni Leone - diviene al 21° scrutinio con 646 preferenze su 927 votanti, il primo socialista a insediarsi al Quirinale. Colonne portanti della presidenza Saragat furono i valori della Resistenza e la volontà di attivarsi sempre per la costituzione di governi allargati all'intero centro-sinistra. Gli anni del presidente socialdemocratico, anni difficili per via del mutamento sociale in atto, furono caratterizzati dall'inizio del terrorismo, dalle drammatiche alluvioni di Firenze, Venezia e Grosseto del 1966 e dalla aspra contestazione del '68. Nel 1971 il democristiano Giovanni Leone succede a Giuseppe Saragat - al quale non sarebbe dispiaciuta una rielezione - nella carica di Presidente della Repubblica. Pochi altri uomini politici, tra i quali è d'obbligo annoverare Palmiro Togliatti e Giovanni Spadolini, seppero coniugare l'azione politica con l'impegno culturale come Saragat.

Mario Tanassi, più volte ministro della Difesa, nel 1975 era alla guida del PSDI quando fu travolto, insieme a Mariano Rumor (Dc) e Luigi Gui (Dc), dal primo grande scandalo della politica italiana, venendo posto in stato d'accusa per corruzione dalla commissione inquirente. La Corte Costituzionale nel 1979 condannò Tanassi a 28 mesi di carcere, per tangenti ricevute dalla società americana Lockheed per facilitare la vendita dei C-130 all'Aeronautica militare italiana.

A causa dello scandalo P2, Pietro Longo, nei cui elenchi degli iscritti fu trovato il suo nome associato alla tessera con il numero 926, fu costretto a dimettersi prima dal suo incarico di governo (13 luglio 1984) e poi dalla guida del PSDI nel 1985.

La fine degli anni ottanta vede il coinvolgimento di due segretari del PSDI, Vizzini e Nicolazzi, in scandali giudiziari. L'ex ministro delle Poste Carlo Vizzini, dopo alcuni avvisi di garanzia - che non porteranno però a nessuna condanna - lascia per diversi anni la scena politica. Contemporaneamente il cosiddetto scandalo delle "carceri d'oro" travolse invece il segretario Franco Nicolazzi, che proprio in quegli anni aveva tentato di caratterizzare la propria segreteria sottraendo il partito socialdemocratico al suo ruolo subalterno rispetto alla Democrazia Cristiana e richiamando, sia pure vagamente, ad una posizione alternativa riformista e compiutamente di sinistra.

Il pentapartito [modifica]

Durante gli anni successivi, la maggioranza di governo si estese al PLI, rappresentante tradizionale della borghesia moderata e per questo escluso dai precedenti "governi riformatori"; iniziò così la fase del cosiddetto "Pentapartito".

Nel corso degli anni incominciarono però a riscontrarsi nel PSDI i primi dissapori: il 15 febbraio 1989 una "miniscissione", capeggiata da Pietro Longo e Pier Luigi Romita, porta infatti alla costituzione del movimento di Unità e Democrazia Socialista (UDS). Questo movimento aveva come obiettivo esplicito facilitare il riavvicinamento tra PSDI e PSI, riavvicinamento che avrebbe dovuto inserirsi nel più ampio progetto del leader socialista Bettino Craxi di creare in Italia una grande famiglia ispirata al riformismo socialdemocratico europeo, comprendente anche i nuovi riformisti del neonato PDS. Questo obiettivo di Longo e Romita si risolse però in un fallimento e il 13 ottobre 1989 l'UDS finì per confluire nel PSI.

La parabola discendente [modifica]

In seguito alle inchieste di "Tangentopoli", che vedono implicati diversi esponenti di primo piano, il PSDI vide diminuire drasticamente il proprio consenso elettorale. L'ex segretario nazionale Pietro Longo venne arrestato il 30 aprile del 1992 per aver ricevuto una tangente di un miliardo e mezzo di lire dalla ditta milanese Icomec in relazione all'appalto di costruzione della centrale idroelettrica di Edolo, in provincia di Brescia, nel periodo in cui egli ricopriva anche l'incarico di consigliere di amministrazione dell'ENEL, e viene successivamente condannato per concussione a quattro anni e sei mesi di reclusione. L'11 giugno del 1992 Lamberto Mancini, assessore della Provincia di Roma ed ex Presidente della stessa Provincia, venne sorpreso dal Carabinieri nell'atto di intascare una tangente di 28 milioni di lire, ed arrestato in flagranza di reato. Nello stesso anno Antonio Cariglia viene accusato di aver violato le regole del finanziamento pubblico ai partiti. Di lui si occuperanno per diversi anni le procure di Foggia, Milano e Roma, dopo oltre dieci anni di attese processuali, l'ex segretario del PSDI viene infine assolto dall'accusa.

Tra il 1992 e il 1994 il Partito Socialista Democratico Italiano, condivise la sorte degli altri partiti della coalizione "Pentapartito" (DC, PSI, PLI e PRI) di governo, vivendo un progressivo tracollo elettorale che portò allo scardinarsi dell'apparato del partito ed al moltiplicarsi di fenomeni scissionisti.

Alle elezioni politiche del 1994 il PSDI diede vita a una lista, insieme con una parte craxiana e ribelle del PSI, denominata Socialdemocrazia per le Libertà, che presentò candidati autonomi dagli schieramenti principali in alcuni collegi uninominali soprattutto in Molise, Puglia, Campania, Calabria e Sicilia. Tra questi si candidò anche il segretario Enrico Ferri che nel collegio di Carrara alla Camera raccolse da solo il 23,7% ma non viene eletto.

Molti esponenti del PSDI, invece, si divisero tra:

* la coalizione centrista del Patto per l'Italia facendo riferimento all'area riformista di Giuliano Amato (tra questi Gian Franco Schietroma candidato nel collegio di Frosinone).

* la sinistra costituita dai Progressisti (tra questi venne eletta alla Camera in un collegio della Basilicata Magda Cornacchione Milella).

Ciò che rimase del PSDI continuò a cercare di rimanere in vita e così, alle elezioni europee del 1994, il partito si ripresentò raccogliendo lo 0,7% a livello nazionale e riuscendo ad eleggere il segretario Enrico Ferri al Parlamento europeo. Successivamente però proprio il segretario Ferri si candida alla presidenza della provincia di Massa-Carrara schierando l'ormai decimato PSDI con il centro-destra di Silvio Berlusconi (al quale aderiva anche Alleanza Nazionale). Ciò comportò ulteriori fratture dentro il partito, che portarono a scissioni di interi gruppi dirigenti verso i partiti moderati della coalizione di centro-sinistra. A ciò si aggiunse un richiamo ufficiale da parte dell'Internazionale Socialista e del Partito del Socialismo Europeo al quale il PSDI e lo stesso Ferri aderivano. Anche per questo motivo il 10 dicembre 1994 Enrico Ferri insieme con Luigi Preti, fonda nel PSDI la corrente di Socialdemocrazia Liberale Europea (SOLE).

Nel gennaio 1995, però, un regolare congresso mise in minoranza la corrente di Ferri e Preti, nominando segretario del partito Gian Franco Schietroma: la corrente di Ferri e Preti (SOLE) esce così dal PSDI divenendo partito autonomo. Il SOLE si avvicina così all'area di centro-destra, stringendo una collaborazione privilegiata prima con il Centro Cristiano Democratico e poi con Forza Italia. In realtà però, dopo poco tempo, molti e lo stesso E. Ferri lasceranno la CDL, avvicinandosi al centro-sinistra. Un altro gruppo invece si unirà ad un gruppo di ex-craxiani guidati da Enrico Manca e Fabrizio Cicchitto fondando il Partito Socialista Riformista, che avrà però vita breve. I seguaci di Manca aderiranno poi a La Margherita, mentre i seguaci di Fabrizio Cicchitto confluiranno invece in Forza Italia. La maggior parte dei vecchi socialdemocratici tuttavia, in seguito alla scomparsa del Patto per l'Italia (dove erano confluiti in massima parte fin dal 1993) aderirono all' Unione democratica (successivamente confluito ne i Democratici) oppure a Rinnovamento Italiano, se non addirittura al Partito popolare italiano, che assorbì parte dell'elettorato ex-psdi. Nel 2001 infine i Democratici, Rinnovamento Italiano e Ppi si fusero in un nuovo partito politico centrista e moderatamente riformista: La Margherita.

La lunga storia di un PSDI che oramai esisteva solo in teoria si trascinava stancamente fino a quando, sotto la guida di Gian Franco Schietroma, dà vita - insieme ai Socialisti Italiani, ad una parte del Partito Socialista e della Federazione Laburista - al nuovo partito dei Socialisti Democratici Italiani (SDI). Ciò avvenne l'8 febbraio del 1998 quando il segretario del PSDI Gianfranco Schietroma, senza un mandato esplicito del Consiglio Nazionale, volle dar vita, insieme ai socialisti del SI, a un nuovo partito politico denominato SDI, che poi aderì alla coalizione di centrosinistra.

In seguito a questa scelta, i socialdemocratici rimasti fedeli ad una visione autonomista, legittimati dal mancato pronunciamento dell'organo politico del PSDI, decisero di riprendere nome e simbolo celebrando nel gennaio 2004 quello che verrà definito, come segno di continuità, il venticinquesimo congresso del partito fondato da Giuseppe Saragat, eleggendo Giorgio Carta come segretario nazionale.

La diaspora socialdemocratica [modifica]

Già dal 1989 erano iniziate in seno al PSDI i primi fenomeni di scissione e le prime fratture, tale fenomeno divenne però insostenibile a partire dal 1993. Da allora infatti il PSDI non fu più presente unitariamente su tutto il territorio nazionale e ciò favorì il distacco dal partito di interi gruppi e di numerosi dirigenti sia locali che nazionali. Così, in uno scenario in cui i "nuovi partiti" erano ideologicamente trasversali, numerosi ex-socialdemocratici hanno portato la loro cultura di matrice sostanzialmente centrista e laico-riformista in altri soggetti politici. Oggi elementi di cultura socialdemocratica, oltre ad essere rappresentati dallo stesso PSDI, sono presenti nei seguenti partiti:

* La Margherita (DL), dove sono confliti attraverso i partiti fondatori Rinnovamento Italiano ed i Democratici. DL è parte stabile della coalizione di centro-sinistra. Alcuni ex-psdi ed ex-psi (soprattutto del Nord Italia) hanno fondato l'associazione politico-culturale Socialisti democratici per il Partito Democratico, a forte carattere piemontese;

* Socialisti Democratici Italiani, aderente al centro-sinistra;

* Forza Italia ed UDC, dove sono confluiti soprattutto grazie al movimento Socialdemocrazia Liberale Europea (molti ex-psdi di Forza Italia aderiscono ai Circoli d'Iniziativa Riformista);

* Il Movimento della Rinascita Socialdemocratica, poi Rinascita Socialdemocratica, poi Partito dei Socialdemocratici di Luigi Preti.

 

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

Ricostituzione del PSDI [modifica]

Partito Socialista Democratico Italiano

PSDI.png

Partito politico italiano

Segretario Mimmo Magistro

Vicesegretario {{{vicesegretario}}}

Fondazione 11 gennaio 1947 (PSLI)

Sede Piazza del Popolo 18, Roma

Coalizione nessuna

Ideologia Socialdemocrazia

Internazionale nessuna

Partito europeo nessuna

Organo ufficiale Socialdemocratici Europei

Iscritti {{{iscritti}}}

Sito web Partito Socialdemocratico

Alla fine del 2003, dopo un periodo di oblio dovuto allo sfaldamento dei ranghi nazionali, diversi esponenti socialdemocratici - alcuni dei quali inizialmente confluiti nei Socialisti Democratici Italiani - si riorganizzarono sotto le insegne dello storico Partito Socialista Democratico Italiano. Nel mese di gennaio 2004, dopo aver ripreso su scala nazionale l'organizzazione del tesseramento rimasto operativo grazie all'apporto delle federazioni territoriali, venne celebrato il XXIV Congresso Nazionale, conclusosi con l'elezione a Segretario di Giorgio Carta e del Presidente onorario, Antonio Cariglia. In occasione della competizione elettorale per le Europee 2004, la continuità giuridica del Partito Socialista Democratico Italiano (PSDI) guidato da Carta è sancita dalla Suprema Corte di Cassazione - Ufficio Elettorale Nazionale per il Parlamento Europeo con la sentenza del 01/05/2004.

Nel biennio 2004/2005, il partito ritornò ad essere presente con diversi suoi rappresentanti eletti lungo tutto il territorio della penisola, partecipando nel 2005 anche alle elezioni primarie dell'Unione sostenendo la candidatura di Romano Prodi a leader della coalizione. In occasione delle elezioni politiche del 2006, per la competizione della Camera presentò propri candidati nelle liste dell'Ulivo (il segretario Giorgio Carta fu candidato in Basilicata).

Al Senato, invece, dove non era presente la lista de L'Ulivo il PSDI, in virtù dell'accordo politico-organizzativo sottoscritto da Piero Fassino per i Democratici di Sinistra e da Giorgio Carta per il partito socialdemocratico, presentò soltanto in 10 regioni il proprio simbolo, stringendo in tale occasione una collaborazione con il Nuovo Partito d'Azione, che schierò nelle liste del PSDI alcuni suoi candidati.

Le elezioni politiche del 2006 e la crisi del 2007 [modifica]

Nelle liste dell'Ulivo alla Camera il segretario nazionale Giorgio Carta, risultato il primo dei non eletti in Basilicata, è stato eletto per il c.d. "ripescaggio". Iscritto dapprima al Gruppo Parlamentare de L'Ulivo, in seguito alla scelta della costituzione del Partito Democratico nell'agosto 2007 ha comunicato la volontà di continuare a rappresentare il PSDI iscrivendosi al Gruppo Misto.

Al Senato le liste del PSDI alleate col centro-sinistra presenti in 10 regioni non riescono in nessuna a superare lo sbarramento del 3% (a livello nazionale il dato è dello 0,2%). Il dato più alto è in Calabria ed in Puglia con lo 0,8%.

In seguito alle dimissioni improvvise del segretario nazionale Giorgio Carta rimesse il 25 novembre 2006, la Direzione Nazionale del 14 dicembre elegge segretario Renato D'Andria. L'elezione viene però fatta oggetto di contestazione dal gruppo rimasto legato a Carta e che si proclama maggioritario. D'Andria procede invece a farsi confermare segretario con un congresso celebrato a Fiuggi (26-27-28 gennaio 2007). Vengono dunque chiamati i tribunali a chiarire su quale sia il PSDI legittimo. In ogni caso a Carta restano fedeli i 2/3 dei membri della Direzione Nazionale. Intanto il 1ş marzo la fazione estromessa da D'Andria si riorganizza come "Associazione Politico Culturale Socialdemocratici Europei". Il 13 aprile il Tribunale di Roma sospende cautelativamente l'elezione di D'Andria e tutte le sue decisioni da segretario (tra cui diverse espulsioni eccellenti dal partito). Il 18 e il 21 maggio lo stesso tribunale respinge un reclamo di D'Andria. Il Partito Socialista Democratico Italiano, sotto la guida del vice Segretario Vicario Mimmo Magistro, riprende la sua attività organizzativa ed il 19 maggio la ritrovata Direzione Nazionale respinge all'unanimità le dimissioni di Carta, il quale guiderà il partito fino al XVII Congresso nazionale di Bellaria (RN). Il 15 giugno D'Andria fonda infine il Partito dei Riformatori Democratici, perdendo in data 19 luglio l'ennesimo ricorso contro il PSDI. Il XVII Congresso nazionale nell'ottobre 2007 ripristina la pace all'interno del PSDI con la proclamazione all'unanimità di Mimmo Magistro Segretario, di Alberto Tomassini Presidente del partito e di Giorgio Carta Presidente onorario.

Le elezioni politiche 2008 [modifica]

Dopo la caduta del Governo Prodi II, il PSDI assiste alla fine dell'Unione e, non trovando accordi per un'alleanza con il Partito Democratico decide di aderire alla neonata Costituente di Centro [2] assieme all'UDC e alla Rosa per l'Italia. Successivamente l'accordo sfuma e il partito dichiara il suo impegno elettorale esclusivamente per le elezioni amministrative locali; per le elezioni politiche nazionali ai suoi iscritti viene indicata come forma di protesta, contro quella che viene definita una oligarchia politica escludente alcuni partiti storici italiani, di votare scheda bianca o annullare la scheda apponendovi il nome di "Saragat"[3].

Segretari [modifica]

* Giuseppe Saragat (gennaio 1947)

* Alberto Simonini (febbraio 1948)

* Ugo Guido Mondolfo (maggio 1949)

* Ludovico D'Aragona (giugno 1949)

* Giuseppe Saragat (novembre 1949)

* Ezio Vigorelli (gennaio 1952)

* Giuseppe Romita (maggio 1952)

* Giuseppe Saragat (ottobre 1952)

* Gian Matteo Matteotti (febbraio 1954)

* Giuseppe Saragat (aprile 1957)

* Mario Tanassi (gennaio 1964)

* Unificazione Socialista (ottobre 1966)

* Mauro Ferri (luglio 1969)

* Mario Tanassi (febbraio 1972)

* Flavio Orlandi (giugno 1972)

* Mario Tanassi (giugno 1975)

* Giuseppe Saragat (marzo 1976)

* Pier Luigi Romita (ottobre 1976)

* Pietro Longo (ottobre 1978)

* Franco Nicolazzi (ottobre 1985)

* Antonio Cariglia (marzo 1988)

* Carlo Vizzini (maggio 1992)

* Enrico Ferri (aprile 1993)

* Gian Franco Schietroma (gennaio 1995)

* partecipazione alla fondazione dello SDI (gennaio 1998)

* Giorgio Carta (gennaio 2004)

* Mimmo Magistro (aprile 2007)

Congressi nazionali [modifica]

* I Congresso - Napoli, 1-5 febbraio 1948

* II Congresso - Milano, 23-26 gennaio 1949

* III Congresso - Roma, 16-19 giugno 1949

* IV Congresso (straordinario) - Napoli, 4-8 gennaio 1950

* V Congresso (straordinario) - Roma, 10-13 giugno 1950

* VI Congresso - Roma, 31 marzo - 2 aprile 1951

* VII Congresso - Bologna, 3-6 gennaio 1952

* VIII Congresso - Genova, 4-7 ottobre 1952

* IX Congresso - Roma, 6-9 giugno 1954

* X Congresso - Milano, 31 gennaio - 8 febbraio 1956

* XI Congresso - Milano, 16-18 ottobre 1957

* XII Congresso - Roma, novembre-dicembre 1959

* XIII Congresso - Roma, 22-25 novembre 1962

* XIV Congresso - Roma, 8-11 gennaio 1966

* XV Congresso - Roma, 6-9 febbraio 1971

* XVI Congresso - Genova, 2-6 aprile 1974

* XVII Congresso - Firenze, 11-15 marzo 1976

* XVIII Congresso - Roma, 16-20 gennaio 1980

* XIX Congresso - Milano, 24-30 marzo 1982

* XX Congresso - Roma, 30 aprile - 2 maggio 1984

* XXI Congresso - Roma, 10-14 gennaio 1987

* XXII Congresso - Rimini, 8-12 marzo 1989

* XXIII Congresso - Rimini, 13-16 maggio 1991

* XXIV Congresso - Bologna, 28-29 gennaio 1995

* XXV Congresso - Roma, 9-10-11 gennaio 2004

* XXVI Congresso - Roma, 9-10-11 dicembre 2005

* XXVII Congresso - Bellaria (RN), 5-6-7 ottobre 2007

Risultati elettorali [modifica]

Voti % Seggi

Politiche 1948 (lista Unità Socialista) Camera 1.858.116 7,07 33

Senato 1.627.560[4] 7,21[4] 8

Politiche 1953 Camera 1.222.957 4,51 14

Senato 1.046.301 4,31 4

Politiche 1958 Camera 1.345.447 4,55 22

Senato 1.136.803 4,35 5

Politiche 1963 Camera 1.876.271 6,10 33

Senato 1.743.837 6,35 14

Politiche 1968 col PSI col PSI col PSI

Politiche 1972 Camera 1.718.142 5,14 29

Senato 1.614.273 5,36 11

Politiche 1976 Camera 1.239.492 3,38 29

Senato 974.940 3,10 6

Politiche 1979 Camera 1.407.535 3,84 29

Senato 1.320.729 4,22 9

Europee 1979 1.514.272 4,32 4

Politiche 1983 Camera 1.508.234 4,09 23

Senato 1.184.936 3,81 8

Europee 1984 1.225.462 3,49 3

Politiche 1987 Camera 1.140.209 2,96 17

Senato 822.593[5] 2,54[5] 6[5]

Europee 1989 945.383 2,72 2

Politiche 1992 Camera 1.066.672 2,72 16

Senato 853.895 2,56 3

Politiche 1994 (lista Socialdemocrazia per le Libertà) Camera 179.495 0,46 -

Senato 66.589 0,20 -

Europee 1994 227.439 0,69 1

Politiche 2006 Camera nell'Ulivo nell'Ulivo 1

Senato 57.343 0,17 -



Voci correlate [modifica]

* Socialdemocrazia

* Lista dei partiti socialdemocratici

* Giuseppe Saragat

* Palazzo Barberini

Collegamenti esterni [modifica]

* Partito Socialdemocratico (Sito Ufficiale)

* Laboratorio dei Socialdecratici Europei

Note [modifica]

1. ^ Vedi Spencer Di Scala (cap 4)

2. ^ http://www.partitosocialdemocratico.eu/?p=1

3. ^ http://www.socialdemocraticieuropei.it/dblog/articolo.asp?articolo=320

4. ^ a b Dato complessivo sia delle candidature proprie, sia di quelle presentate in alcune regioni assieme al PRI.

5. ^ a b c Il dato non comprende i suffragi di alcune regioni in cui il PSDI si presentò assieme a PSI e PR, comprende invece la candidatura presentata coi Verdi.

Bibliografia [modifica]

* Francesco Malgeri, La stagione del centrismo: politica e società nell'Italia del secondo dopoguerra (1945-1960),Rubbettino Editore, 2002, ISBN 8849803354

* Spencer Di Scala, Renewing Italian Socialism: Nenni to Craxi, Oxford University Press, 1988, ISBN 0195052358

* Antonio G. Casanova, La lezione di Palazzo Barberini, Edizioni Scientifiche Italiane, 1987

* Felice La Rocca, La presidenza Saragat: sette anni difficili, il Mulino, 1971, ISSN 0027-3120

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v · d · m

Partiti politici italiani Bandiera dell'Italia

Maggiori Il Popolo della Libertà – Partito Democratico

Medi Lega Nord – Italia dei Valori – Unione di Centro (Unione dei Democratici Cristiani e di Centro – Rosa Bianca)

Minori Alleanza per l'Italia – Movimento per le Autonomie – Radicali Italiani – Federazione della Sinistra (Partito della Rifondazione Comunista – Partito dei Comunisti Italiani) – Sinistra Ecologia Libertà (Movimento per la Sinistra – Sinistra Democratica) – Federazione dei Verdi – Partito Socialista Italiano – Partito Repubblicano Italiano – Movimento Repubblicani Europei – Liberal Democratici – Alleanza di Centro – Popolari UDEUR – Partito Liberale Italiano – La Destra – Fiamma Tricolore – Partito Comunista dei Lavoratori – Movimento Associativo Italiani all'Estero

Regionali Union Valdôtaine – Stella Alpina – Fédération Autonomiste – Renouveau Valdôtain/Vallée d'Aoste Vive – Moderati per il Piemonte – Südtiroler Volkspartei – Die Freiheitlichen – Süd-Tiroler Freiheit – Unione per il Trentino – Partito Autonomista Trentino Tirolese – Progetto NordEst – Io Sud – La Puglia prima di tutto – Riformatori Sardi – Partito Sardo d'Azione – Unione Democratica Sarda

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

Partito Comunista Italiano

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Partito Comunista Italiano

PCI symbol.jpg

Partito politico italiano del passato

Leader storici Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Luigi Longo, Enrico Berlinguer

Periodo di attività 21 gennaio 1921 - 3 febbraio 1991

Sede Via delle Botteghe Oscure, 5 Roma.

Coalizioni Fronte Democratico Popolare (1948)

Partito Europeo nessuno

Ideologia comunismo, eurocomunismo

Numero massimo di seggi alla Camera 227 (nel 1976)

Numero massimo di seggi al Senato 116 (nel 1976)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 27 (nel 1984)

Organo ufficiale l'Unità

Il Partito Comunista Italiano (PCI) fu un partito politico italiano nato il 21 gennaio 1921 a Livorno come Partito Comunista d'Italia (sezione italiana della III Internazionale) per scissione della mozione di sinistra del Partito Socialista Italiano guidata da Amadeo Bordiga e Antonio Gramsci al XVII Congresso socialista.

Assunse il suo nome definitivo il 15 maggio 1943, in seguito allo scioglimento della III Internazionale e mentre ancora operava in clandestinità tra Mosca, Parigi e l'Italia per la sua netta opposizione al regime fascista vigente in patria.

Il Partito Comunista d'Italia inizialmente si poneva come obiettivo l'abbattimento violento dello Stato borghese e l'istaurazione di una dittatura del proletariato, seguendo così l'esempio dei comunisti russi di Lenin. Guidato nei suoi primi anni di vita da una maggioritaria corrente di sinistra raccolta attorno a Bordiga, il III Congresso, svoltosi clandestinamente a Lione nel gennaio del 1926, segnò un deciso cambiamento di politica suggellato con l'approvazione delle Tesi di Gramsci e la messa in minoranza della Sinistra di Bordiga, la quale, accusata di settarismo, verrà prima emerginata e poi si disperderà. Nel 1930 Bordiga fu definitivamente espulso dal Partito con l'accusa di "trotskismo". Stessa sorte era già toccata ad elementi a destra del gruppo dirigente, quest'ultimo diviso dal 1926 tra chi, come il segretario Gramsci, era stato condannato a misure di carcerazione fascista, e chi, come Palmiro Togliatti, operava all'estero o comunque clandestinamente.

Caduto il regime fascista nel 1943, il PCI ricominciò a operare legalmente partecipando da subito alla costituzione di formazioni partigiane e, dal 1944 al 1947, agli esecutivi antifascisti successivi al governo Badoglio I, dove il nuovo leader Palmiro Togliatti sarà anche, per un breve periodo, vicepresidente del Consiglio dei Ministri. Nell'antifascismo il PCI è la forza più popolare e infatti la maggior parte degli aderenti alla Resistenza italiana era membro del partito togliattiano.

Nel 1947, nel nuovo clima internazionale di guerra fredda, il PCI è allontanato dal governo e rimarrà all'opposizione per tutto il resto dei suoi giorni, salvo un brevissimo periodo alla fine degli anni '70.

Dal 1956, in seguito al XX congresso del PCUS, il PCI si adoperò per tracciare una propria "via italiana al socialismo" che consisteva nell'accentuare il vecchio obiettivo del raggiungimento di una "democrazia progressiva" applicando integralmente la Costituzione italiana.

Nonostante l'amicizia e la lealtà che legava il PCI all'Unione Sovietica, a partire dal 1968 si assiste a una graduale e costante critica all'operato del PCUS.

Il PCI è stato per molti anni il partito comunista più grande e potente dell'Europa occidentale. Mentre, infatti, negli altri paesi democratici l'alternativa ai partiti o alle coalizioni democristiane o conservatrici era da sempre rappresentata da forze socialiste (con i partiti comunisti relegati a terza o quarta forza), in Italia rappresentò il secondo partito politico in assoluto dopo la Democrazia Cristiana, con un Partito socialista via via sempre più piccolo e relegato, dal 1953 in poi, al rango di terza forza del paese.

Nel 1976 il PCI ebbe il suo massimo storico (34,4%), dopo aver l'anno primo conquistato le principali città italiane. Fu anche il primo partito italiano alle elezioni europee del 1984, quando ebbe il 33,33% contro il 32,97% della DC.

Il Partito Comunista Italiano si sciolse il 3 febbraio 1991, quando la maggioranza dei delegati guidati approvarono la svolta della Bolognina del segretario Achille Occhetto, succeduto tre anni prima ad Alessandro Natta, al XX Congresso Nazionale e la contestuale costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) aderente all'Internazionale Socialista.

Un'area consistente della minoranza di sinistra preferì rilanciare ideali e programmi comunisti e fondò il Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi costituì, con la confluenza di Democrazia Proletaria e di altri gruppi, il Partito della Rifondazione Comunista (PRC).

L'organizzazione giovanile del PCI fu la Federazione Giovanile Comunista Italiana (FGCI).

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 La costituzione del PCd'I, l'antifascismo e la Liberazione

o 1.2 L'Italia repubblicana e i rapporti con l'URSS

o 1.3 La solidarietà nazionale

o 1.4 Il ritorno all'opposizione

o 1.5 La Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI

o 1.6 Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC)

* 2 Tendenze interne

* 3 Risultati elettorali

* 4 Il vertice del Pci

o 4.1 Segretari generali

o 4.2 Presidenti

o 4.3 Organigrammi del vertice nazionale

* 5 Capigruppo alla Camera

* 6 Capigruppo al Senato

* 7 Congressi

* 8 Conferenze Nazionali

* 9 Consigli Nazionali

* 10 Iscritti

* 11 Giornali e riviste

* 12 Galleria fotografica

* 13 Bibliografia

o 13.1 Libri

o 13.2 Saggi e articoli

* 14 Voci correlate

* 15 Note

* 16 Altri progetti

* 17 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

La costituzione del PCd'I, l'antifascismo e la Liberazione [modifica]

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Storia del Partito Comunista d'Italia.

Antonio Gramsci

La scissione dei comunisti dal Partito Socialista Italiano avvenne sui famosi 21 punti di Mosca, che delimitavano in modo netto la differenza delle posizioni politiche dei rivoluzionari da quelle dei riformisti e che costituivano le condizioni per l'ingresso nell'Internazionale Comunista, che aveva come obiettivo principe l'estensione della rivoluzione proletaria su scala mondiale.

Il Congresso socialista aveva appena rifiutato, con solo un quarto di voti contrari, come previsto nelle 21 condizioni per l'adesione all'Internazionale Comunista, di espellere i membri della corrente riformista del Partito. La minoranza, che rappresentava 58.783 iscritti su 216.337, e che abbandonò il Goldoni riunendosi al S.Marco, era costituita dal gruppo "astensionista" che faceva capo ad Amadeo Bordiga, che guidò per primo il nuovo Partito, dal gruppo dell'Ordine Nuovo di Antonio Gramsci, Palmiro Togliatti, Umberto Terracini e Angelo Tasca, da parte della corrente massimalista di Andrea Marabini , Antonio Graziadei e Nicola Bombacci e dalla stragrande maggioranza della Federazione Giovanile Socialista (FGS).

Il nuovo Partito era un partito rigorosamente rivoluzionario e la sua linea politica era fondata sulla esclusione di qualsiasi tipo di accordo con i socialisti, e questo provocò, anche a causa della scissione dell'ala riformista del PSI, avvenuta nel 1922, i primi attriti con l'Internazionale comunista, la quale pose con forza il tema della riunificazione con il PSI di Serrati. Nel 1924 Antonio Gramsci, con l'appoggio dell'Internazionale comunista, divenne segretario nazionale e il passaggio della segreteria da Bordiga a Gramsci fu sancito definitivamente nel 1926 con l'approvazione durante il III Congresso nazionale a Lione delle tesi politiche di Antonio Gramsci con oltre il 90% dei voti.

Il PCd'I venne soppresso dal regime fascista il 5 novembre 1926 ma continuò la sua esistenza clandestina, i cui militanti in parte rimasero in Italia, dove fu l'unico partito antifascista ad essere presente seppure a livello embrionale, in parte emigrarono all'estero, soprattutto in Francia e in URSS. Con l'arresto di Gramsci, la guida di fatto passò a Togliatti, che rafforzò ulteriormente i rapporti con l'Unione Sovietica. Questi rapporti si deteriorarono bruscamente nel 1929 a causa della presa di posizione di Tasca, che aveva sostituito Togliatti a Mosca, in favore del leader della destra sovietica Nikolai Bucharin, che si contrapponeva in quel periodo a Stalin. Dopo che tutta la linea del PCd'I, da Lione in poi, fu messa in discussione, Togliatti espulse Tasca e allineò di nuovo il partito sulle posizioni di Stalin, che erano ritornate a essere piuttosto settarie. Infatti il PCd'I fu costretto ad associare ai socialisti italiani e al giovane movimento di Giustizia e Libertà, la teoria del socialfascismo, che poneva le sue basi sull'equiparazione tra fascismo e socialdemocrazia, intesi, entrambi, come metodi utilizzati dalla borghesia per conservare il potere.

Con la crescita del pericolo nazista l'Internazionale comunista cambiò strategia e tra il 1934 e il 1935 lanciò la linea di riunire in un fronte popolare tutte le forze che si opponevano all'avanzata dei fascismi. Il PCd'I, che aveva faticato molto per accettare la svolta del 1929, ebbe una sofferenza ancora maggiore per uscire dal settarismo a cui quella svolta sembrava averlo destinato, in quanto, nell'Italia fascista, i militanti si erano trovati da soli a fronteggiare la dittatura. Ma un po' per volta il lavoro di Togliatti e di Ruggero Grieco, che resse il partito dal 1934 al 1938, diede i suoi frutti, e, nell'agosto del 1934, fu sottoscritto il patto d'unità d'azione tra socialisti e comunisti, che, nonostante i distinguo, segnò la riapertura del dialogo tra i due partiti operai.

La linea politica del PCd'I andò di nuovo in crisi con il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939 in quanto fu impossibile conciliare l'unità antifascista con l'approvazione del patto fra sovietici e nazisti ed il PCd'I fu costretto ad appiattirsi sulle posizioni dell'Internazionale che in quel periodo teorizzava per i comunisti l'equidistanza tra i diversi imperialismi. La situazione si aggravò ulteriormente quando, con l'invasione tedesca, il PCd'I si ritrovò in clandestinità anche a Parigi. Togliatti fu arrestato, ma non essendo stato riconosciuto, se la cavò con pochi mesi di carcere e dopo aver riorganizzato un embrione di centro estero del Partito, andò a Mosca dove l'Internazionale, avendo sciolto definitivamente l'Ufficio politico e il Comitato centrale, gli affidò la direzione solitaria del PCd'I.

La situazione all'interno del Partito si tranquillizzò grazie alla Dichiarazione di guerra di Benito Mussolini a Francia ed Inghilterra del 1940, che fece si che si ricreassero le condizioni per una nuova unità antifascista, suggellata nel 1941 a Tolosa da un accordo tra PCd'I, PSI e GL. In Italia dal 1941 il Partito, anche grazie all'importante lavoro di Umberto Massola, cominciò a riorganizzare la rete clandestina e a fare sentire la propria voce, anche attraverso la diffusione di un bollettino, il Quaderno del lavoratore, per mezzo del quale venivano diffuse le posizioni ufficiali del PCd'I, dettate direttamente da Togliatti attraverso Radio Mosca. Nello stesso tempo ripresero forza numerosi piccoli gruppi che, spesso con linea politica autonoma, continuavano dall'interno del paese la loro lotta al fascismo.

Il 15 maggio 1943 il Partito, in seguito allo scioglimento dell' Internazionale Comunista, assunse la denominazione di Partito Comunista Italiano (PCI). Quando, il 25 luglio del 1943, Mussolini fu costretto a dimettersi, l'iniziativa del Partito aumentò sensibilmente sia per i maggiori margini di manovra che per la conseguente uscita dal carcere ed il ritorno dall'esilio di numerosi dirigenti comunisti. Il peso del PCI in Italia era divenuto molto importante anche perché nel nord Italia la guerra con i tedeschi e con i fascisti della Repubblica di Salò era ancora tutta da combattere e dall'autunno del 1943 i militanti comunisti furono la parte preponderante dei gruppi clandestini della resistenza italiana, organizzati nelle Brigate Garibaldi sulle montagne e nei GAP e nelle SAP nelle città. Oltre alla lotta armata, il PCI continuò il suo lavoro politico continuando nell'organizzazione degli operai e promuovendo scioperi ed agitazioni soprattutto nei primi mesi del 1944. La dichiarazione di guerra del Governo Badoglio ai danni della Germania pose il PCI dinnanzi ad un bivio: continuare nella linea, richiesta dalla base, di contrapposizione frontale a Badoglio e alla Monarchia o l'assunzione di responsabilità di governo.

Nel marzo del 1944 Togliatti, dopo aver avuto un incontro con Stalin, tornò in Italia e praticò quella che rimase famosa come la svolta di Salerno con la quale il PCI, anteponendo la lotta antifascista alla deposizione della Monarchia, sancì il proprio ingresso nel Governo. L'ingresso del PCI nei Governi formati da Badoglio e dal socialista riformista Ivanoe Bonomi andava letto, nell'intenzione di Togliatti, come il tentativo di accreditarsi come forza responsabile e fondatrice della democrazia italiana.

Per ottenere questo era necessario che il partito fosse ricostruito su basi diverse e diventasse un partito nuovo ovvero un moderno partito di massa con profonde radici nei luoghi di lavoro e aderente alla società. Il Partito cominciò pertanto una crescita costante data sia dal punto di vista dell'organizzazione, che si sviluppò ormai capillarmente in tutte le città italiane, che in termine di numero di iscritti, passati dai 500.000 del 1944 al 1.700.000 del 1945, che lo portarono a diventare il più importante e grande partito comunista dell'Europa occidentale.

L'Italia repubblicana e i rapporti con l'URSS [modifica]

Roma, targa stradale di via delle Botteghe oscure, da cui il nome popolare attribuito al palazzo storico che ha ospitato, dal II dopoguerra allo scioglimento, la sede centrale del PCI

A seguito della Liberazione, Palmiro Togliatti diede vita ad una politica che molti tacciarono di doppiezza[senza fonte], ma che tenne insieme l'esigenza di consolidamento della democrazia italiana ed il sentimento rivoluzionario ed il mito dell'URSS della base del partito, concretizzato nell'adesione, fino al suo scioglimento, al Cominform, l'organizzazione dei partiti comunisti filosovietici. Tuttavia nonostante nel maggio 1947 Alcide De Gasperi avesse formato un governo senza il PCI ed il PSI, il contributo costruttivo dei comunisti nell'Assemblea costituente non mutò al punto che il 1ş gennaio 1948 entrò in vigore, dopo essere stata approvata da tutti i maggiori partiti, la Costituzione italiana.

Palmiro Togliatti

Secondo una recente interpretazione, non condivisa da tutti gli storici, nella preparazione delle elezioni politiche del 1948 Palmiro Togliatti chiese istruzioni a Mosca sulla possibilità di usare la forza militare di cui il partito disponeva, ricevendone risposta negativa.[1]

Il PCI si consolidò, dopo la scissione socialista del 1947, come la seconda forza della democrazia italiana dopo la Democrazia cristiana. Da allora e per circa 30 anni il PCI, pur rimanendo sempre all'opposizione, conseguì una crescita elettorale costante che si interruppe solo verso la fine degli anni '70 al termine della stagione della solidarietà nazionale.

 

D'altro canto il rapporto del PCI con l'URSS è, ancora oggi, al centro del giudizio degli storici. È certo però che il Partito è stato per un lungo periodo sovvenzionato notevolmente dai sovietici: ex dirigenti del partito hanno spiegato, dopo il dissolvimento dell'Unione Sovietica, in che modo e in quale quantità ricevessero tali sovvenzioni. Diversi libri son stati pubblicati riguardo questi contributi finanziari provenienti dal PCUS, definiti da alcuni l'oro di Mosca, ma gli storici non hanno ancora chiarito quando esattamente iniziarono e finirono tali finanziamenti, importanti per le campagne elettorali e, secondo certe fonti bibliografiche, per mantenere un apparato paramilitare[senza fonte]. Sempre dopo la fine del regime comunista sovietico, la magistratura russa inviò in Italia investigatori che con l'aiuto di alcuni magistrati italiani cercarono di chiarire la modalità e la entità di questi finanziamenti: fu fatta parzialmente luce su certe situazioni ma ancora non si sa esattamente l'entità totale dei finanziamenti. Oltre ovviamente l'attività politica, significativa testimonianza di legame e dipendenza dai sovietici era la pubblicazione periodica di una rivista della UISP, ossia l'associazione sportiva del PCI, che tuttora esiste e che all'epoca era marcatamente filosovietica.

Negli anni successivi, pur continuando ad appoggiare l'URSS anche nella drammatica crisi d'Ungheria durante la rivoluzione ungherese del 1956, il PCI di Togliatti diede inizio ad una nuova politica di partito nazionale imboccando la via italiana al socialismo, dopo che personaggi significativi, in maggioranza intellettuali, avevano abbandonato il partito protestando contro l'adesione del PCI alla repressione sovietica. Tra coloro che, in quella situazione, manifestarono una posizione di dissenso, pur senza abbandonare il Partito, va ricordato il leader della CGIL Giuseppe Di Vittorio. La principale conseguenza politica degli avvenimenti del 1956 fu il definitivo tramonto del Patto d'unità d'azione tra il PCI e il PSI. Il PSI di Pietro Nenni, che negli anni precedenti aveva profondamente subito il fascino dell'Unione Sovietica di Stalin, ripensò, prendendone completamente le distanze, la sua posizione riguardo al più importante Stato socialista e diede avvio al suo percorso di avvicinamento alla DC.

Con la fine del centrismo e con l'inizio dei governi di centro-sinistra il PCI di Togliatti non mutò la sua posizione di opposizione al governo. Il 21 agosto del 1964 morì a Yalta Palmiro Togliatti. I suoi funerali, che videro la partecipazione di oltre un milione di persone, costituirono il più imponente momento di partecipazione popolare che la giovane Repubblica italiana aveva conosciuto fino a quel momento. L'ultimo documento di Togliatti, che ne costituiva il testamento politico e che fu ricordato come il memoriale di Yalta, ribadiva l'originalità e la diversità di vie che avrebbero consentito la costruzione di società socialiste, "unità nella diversità" del movimento comunista internazionale. Il PCI lasciato da Togliatti era un Partito che, pur continuando a rimanere ancorato al "centralismo democratico", cominciava a sentire l'esigenza di rendere visibili quelle che, al suo interno, erano le diverse sensibilità e opzioni politiche. Il primo Congresso dopo la morte di Togliatti, l'XI svoltosi nel gennaio del 1966, fu il teatro del primo scontro svoltosi "alla luce del sole" dalla nascita del Partito nuovo. Le due linee politiche che si fronteggiarono furono quella di "destra" di Giorgio Amendola e quella di "sinistra" di Pietro Ingrao. Amendola, sebbene da solo non avesse la maggioranza assoluta, riuscì a mettere Ingrao in minoranza. Il voto contrario di Ingrao, per l'autorevolezza dell'esponente comunista che godeva di numerosi consensi sia all'interno che all'esterno del Partito, sancì, per la prima volta, la legittimità al dissenso politico. Il lavoro di sintesi, rivolto al "rinnovamento nella continuità", tra le diverse anime del Partito suggellò la leadership di Luigi Longo, eletto Segretario generale dopo la morte di Togliatti e degno continuatore delle politiche del defunto leader.

Luigi Longo

Nel ruolo di successore di Togliatti i due candidati più forti erano proprio Amendola ed Ingrao, ma Longo, per le garanzie di unità e continuità che dava la sua figura, che aveva ricoperto con Togliatti la carica di vicesegretario e aveva sempre con lealtà ed efficacia coadiuvato il Segretario, costituiva la soluzione migliore per la segreteria del Partito. Longo continuò nella definizione di una politica nazionale del PCI ed infatti a differenza del 1956, nel 1968, il partito si schierò contro l'invasione sovietica della Cecoslovacchia.

Nel 1972 divenne segretario Enrico Berlinguer, che, sulla suggestione della crisi cilena, propose un compromesso storico tra comunisti e cattolici democratici, che avrebbe dovuto spostare a sinistra l'asse governativo, trovando qualche sponda nella corrente democristiana vicina ad Aldo Moro.

I rapporti con l'Unione Sovietica si allentarono ulteriormente quando, a opera dello stesso Berlinguer, iniziò la linea euro-comunista che cercò una qualche indipendenza dai sovietici. L'Eurocomunismo però durò poco a causa del riallineamento del Partito Comunista Francese all'URSS, il calo del peso elettorale dei comunisti spagnoli e l'acutizzarsi delle differenze interne nello stesso PCI: ma le differenze tra il PCI e il PCUS erano ormai moltissime. In seguito, nel 1981, Berlinguer giunse a dichiarare conclusa la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre.

La solidarietà nazionale [modifica]

Enrico Berlinguer

Nella seconda metà degli anni Settanta si acuirono le tensioni sociali e politiche. La crisi economica-energetica, la disoccupazione, gli scioperi, il terrorismo conversero verso quello che molti hanno definito l'annus horribilis delle rivolte: il 1977: echi sessantottini vibravano di nuovo fra gli studenti, riverberi della lotta di classe animavano il "confronto", cioè il conflitto, fra i sindacati e le imprese, e molti da molte classi sociali si rivoltavano in armi contro avversari politici ed istituzioni.

Anche il PCI contestò sempre più fortemente la pregiudiziale che impediva al suo partito di accostarsi alla gestione del Paese. L'iniziativa fu lasciata a Giorgio Amendola, rappresentante prestigioso (anche per tradizione familiare) dell'ala moderata del partito e uomo capace di dialogare con i non comunisti, che proclamò che l'ora era suonata per "far parte a pieno titolo del governo". Nel febbraio del 1977 fu Ugo La Malfa a dichiarare per primo, pubblicamente, la necessità di un governo di emergenza comprendente i comunisti, ma la proposta fallì per il dissenso democristiano e socialdemocratico.

Il 1978 fu l'anno del destino, per il PCI. Iniziò presto, con un incontro subito dopo Capodanno, fra Berlinguer e Bettino Craxi, al termine del quale fu rilasciata una nota indicativa di ufficiale "identità di vedute", espressione tradotta dagli analisti come una sorta di "via libera" (o di "non nocet") del PSI alle manovre del segretario comunista. Delle quali, già cominciate da molti mesi, si poteva ora parlare anche pubblicamente. Dopo una paziente opera di ricerca di possibili strategie di accesso pur parziale al governo, Berlinguer pareva aver individuato in Aldo Moro l'interlocutore più adatto alla costruzione di un progetto concreto.

Aldo Moro era il presidente della DC, e condivideva con il segretario del PCI Enrico Berlinguer alcune caratteristiche personali che sembravano predisporre al dialogo: erano entrambi sottili intellettuali, lungimiranti politici ed abili nonché pazienti strateghi. Fu Moro a parlare per primo di possibili "convergenze parallele", sebbene non propriamente in relazione ai desiderata del politico sardo, ma fu lo stesso Moro a mobilitare l'apparato democristiano per verificare la possibilità di convertire ad utile accordo la sterile distanza che sino ad allora aveva diviso DC e PCI.

Dai clandestini iniziali contatti, sinché possibile per interposta persona, si passò in seguito ad una minima frequentazione diretta nella quale andava assumendo forma e contenuti il progetto del compromesso storico. Moro individuava nell'alleanza col PCI lo strumento che avrebbe consentito di superare il momento di gravissima crisi istituzionale e di credibilità dello stesso apparato democratico repubblicano (screditato anche dalle campagne comuniste sulla questione morale), coinvolgendo l'opposizione nel governo e dunque assicurando il minimo necessario di consenso perché il Paese potesse sopravvivere a sé stesso in simili ambasce.

Nella DC, Berlinguer vedeva invece primariamente (ma non solo semplicemente) quel possibile cavallo di Troia grazie al quale avrebbe potuto portare finalmente il suo partito alla responsabilità di governo. Entrambi, è stato sostenuto, potevano aver condiviso il timore che la crisi in cui versava il Paese potesse dar adito a soluzioni di tipo cileno, come già anni prima paventato dallo stesso Berlinguer. Il compromesso storico, in quest'ottica, poteva porre il paese al riparo da eventuali azioni dell'uno e dell'altro fronte.

Ad ogni buon conto, Berlinguer fu intanto ammesso, primo comunista italiano, a lavori para-governativi, come le riunioni dei segretari dei partiti della maggioranza, in qualità di esterno interessato.

Mentre Moro veniva definitivamente prosciolto dagli addebiti giudiziari in relazione allo scandalo Lockheed, che lo aveva infastidito sin da quando aveva cominciato a guardare ad una possibile intesa coi comunisti[senza fonte], si preparava nel marzo del 1978 una riedizione del governo Andreotti, cui il PCI avrebbe dovuto smettere di fornire appoggio esterno (nel precedente governo detto delle "non sfiducia", dal 1976, aveva garantito l'astensione, per la prima volta rinunciando al voto d'opposizione), offrendo il voto favorevole ad un monocolore DC, in attesa di una fase successiva nella quale ammetterlo definitivamente ed a pieno titolo nella compagine governativa.

Nasceva, questo governo, con alcuni membri assolutamente sgraditi al PCI, come Antonio Bisaglia, Gaetano Stammati e Carlo Donat Cattin, la cui inclusione nella compagine ministeriale era stata operata da Andreotti, nonostante le richieste di esclusione da parte del PCI; secondo una versione accreditata molti anni dopo, insieme con Alessandro Natta, capogruppo alla Camera, Berlinguer dovette sveltamente decidere se proporre alla Direzione del partito già convocata per il pomeriggio dello stesso giorno, di ritirare l'appoggio al governo.Ma la stessa mattina del 16 marzo, giorno previsto per la presentazione parlamentare del governo tanto faticosamente messo insieme, Moro fu rapito (e sarebbe poi stato ucciso) dalle Brigate Rosse. Berlinguer intuì immediatamente la "calcolata determinazione" di un attacco che pareva studiato per mandare a monte tutto il lavoro occorso per raggiungere la solidarietà nazionale e propose di concedere a questo pur non accetto governo la fiducia nel più breve tempo possibile, per potergli assicurare pienezza di funzioni in un momento cruciale della democrazia italiana.

La fiducia fu dunque votata dal PCI insieme a DC, PSI, PSDI e PRI, ma non senza che Berlinguer precisasse che l'espediente di Andreotti, che suonava di repentina modifica unilaterale di accordi lungamente elaborati, costituisse "invece un Governo che, per il modo in cui è stato composto, ha suscitato e suscita, com’è noto (ma io non voglio insistere in questo particolare momento su questo punto), una nostra severa critica e seri interrogativi e riserve"[2].

Il ritorno all'opposizione [modifica]

Se Moro non fosse stato rapito, il PCI avrebbe dato battaglia ad Andreotti, ma "sia pure faticosamente e in modo non pienamente adeguato alla situazione", gli fu risparmiato. Durante il sequestro Moro, il PCI fu tra i più decisi sostenitori del cosiddetto "fronte della fermezza", del tutto contrario a qualsiasi tipo di trattativa con i terroristi, i quali avevano chiesto la liberazione di alcuni detenuti in cambio di quella dello statista.

Dopo il tragico epilogo della vicenda di Moro, l'unico effetto di rilievo sulla DC parvero le dimissioni di Francesco Cossiga, che era ministro dell'interno. Il PCI restava fuori della compagine di governo, Berlinguer non partecipava più alle riunioni insieme ai segretari dell'arco costituzionale (anche se a livello parlamentare i contatti continuavano ad essere tenuti dal capogruppo Pecchioli), il governo Andreotti restava dov'era, sempre con Bisaglia e Stammati a bordo.

Fu nel giugno del 1978, un mese dopo la morte di Moro, che esplose con inaudita virulenza il caso del presidente della Repubblica Giovanni Leone, che grazie ad una campagna cui il PCI aveva già dato un contributo fondamentale (e che a questo punto omise di ritirare), fu costretto alle dimissioni. Oltre al rancore verso Andreotti, cui si doveva un governo diverso da quello concordato (e che avrebbe dovuto presentare dimissioni almeno di cortesia, in caso di elezione di un nuovo capo dello Stato), si è supposto che la campagna scandalistica sia stata ulteriormente indurita da Berlinguer per poter far salire al Quirinale qualcuno meno avvinto dalla pregiudiziale anticomunista di quanto non fossero stati i presidenti precedenti.

L'elezione di Sandro Pertini, oltre che gradita al PCI, piaceva a molti settori della politica. Da parte dei socialisti, nel cui partito militava, vi era ovviamente la soddisfazione per la nomina di una figura amica, che avrebbe potuto accrescere la capacità di influenza del partito craxiano. Da parte democristiana (dalla quale si era barattata la candidatura con la persistenza al governo), Pertini era ritenuto poco pericoloso, almeno fintantoché fossero proseguiti i buoni rapporti con il Garofano. Ed anche i post-risorgimentali repubblicani, guardavano a possibili riprese di prestigio (e di influenza politica) con un nuovo scenario che premiava con la carica uno degli storici partiti italiani.

L'entusiasmo di Berlinguer fu però di breve durata, poiché non solo Andreotti non si dimise, ma addirittura - dopo la caduta determinata dall'opposizione comunista all'ingresso nel primo sistema monetario europeo - successe a sé stesso, con l'Andreotti-quinquies, sul principio dell'anno successivo, per governare le inevitabili elezioni anticipate. Il PCI fu quindi escluso dalle relazioni fra i partiti della maggioranza, e si apprestò a tornare al suo ruolo di opposizione.

Il PCI si ritrovò di nuovo all'opposizione: nel decennio successivo si ritrovò completamente isolato in quanto il PSI di Bettino Craxi dopo avere a lungo oscillato, governando a livello locale sia con la DC che con il PCI, formulò stabilmente, a livello nazionale, un'alleanza di governo con la DC e con gli altri partiti laici, PSDI, PLI e PRI, denominata pentapartito, facendo pesare sempre di più, nelle richieste di posti di potere, il suo ruolo di partito di confine.

Alessandro Natta

Berlinguer, per uscire dall'isolamento, provò a ricostruire delle alleanze nella base del Paese, cercando convergenze con le nuove forze sociali che chiedevano il rinnovamento della società italiana e riprendendo i rapporti con quello che era il tradizionale riferimento sociale del PCI: la classe operaia. In quest'ottica vanno lette le battaglie contro l'installazione degli Euromissili, per la pace e, soprattutto, nella vertenza degli operai della Fiat del 1980. Il PCI in quella lotta arrivò addirittura a scavalcare il ruolo della CGIL e la sconfitta finale e quella riportata anni dopo nel referendum, che era stato fortemente voluto da Berlinguer, per difendere la scala mobile cancellata da Craxi, segnarono in maniera indelebile il Partito.

Dopo la morte di Berlinguer la segreteria passò ad Alessandro Natta, ma il partito, pur avendo ottenuto per la prima volta la maggioranza relativa nelle elezioni europee del 1984 e pur mantenendo una consistente base di massa, aveva ormai iniziato un lento e graduale declino. Nell'aprile del 1986 fu tenuto, anticipatamente a causa della disfatta dell'anno precedente nelle elezioni regionali, il XVII Congresso nazionale del PCI. Come risposta alla crisi il gruppo dirigente del Partito tentò, grazie alla decisiva spinta dell'area "migliorista" di Giorgio Napolitano, un riposizionamento internazionale del PCI proponendo il totale distacco dal movimento comunista per essere, a tutti gli effetti, parte del Partito Socialista Europeo. A questa linea si oppose duramente un piccolo gruppo organizzato da Cossutta che, in minoranza all'interno del Partito, aveva dato vita ad una vera e propria corrente organizzata sin da quando, in occasione del golpe polacco di Jaruzelski, Berlinguer aveva proclamato esaurita la "spinta propulsiva della rivoluzione d'Ottobre".

Nel maggio 1988 Natta è colto da ictus. Non è grave, ma gli vien fatto capire da alti dirigenti che non è più gradito come segretario. Natta si dimette e al suo posto viene messo il vice Achille Occhetto.

Nel marzo 1989 Occhetto lancia il "nuovo PCI" come uscirà dai lavori del XVIII Congresso nazionale.

Il 19 luglio 1989 viene costituito un governo ombra ispirato al modello inglese dello Shadow Cabinet, per meglio esplicitare l'alternativa di governo che il PCI intendeva rappresentare.

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Governo ombra del Partito Comunista Italiano.

La Caduta del Muro e lo scioglimento del PCI [modifica]

Achille Occhetto

Il 12 novembre 1989, tre giorni dopo la caduta del muro di Berlino, Achille Occhetto annunciò "grandi cambiamenti" a Bologna in una riunione di ex partigiani e militanti comunisti della sezione Bolognina. Fu questa la cosiddetta "Svolta della Bolognina" nella quale il leader del Partito propose, prendendo da solo la decisione, di aprire un nuovo corso politico che preludeva al superamento del PCI e alla nascita di un nuovo partito della sinistra italiana.

Nel Partito si accese una discussione ed il dissenso, per la prima volta, fu notevole e coinvolse ampi settori della base. Dirigenti nazionali di primaria importanza quali Pietro Ingrao, Alessandro Natta ed Aldo Tortorella, oltre che Armando Cossutta, si opposero in maniera convinta alla svolta.

Per decidere sulla proposta di Occhetto fu indetto un Congresso straordinario del Partito, il XIX, che si tenne a Bologna nel marzo del 1990. Tre furono le mozioni che si contrapposero:

* la prima mozione, intitolata Dare vita alla fase costituente di una nuova formazione politica era quella di Occhetto, che proponeva la costruzione di una nuova formazione politica democratica, riformatrice ed aperta a componenti laiche e cattoliche, che superasse il centralismo democratico. Il 67% dei consensi ottenuti dalla mozione permise la rielezione di Occhetto alla carica di Segretario generale e la conferma della sua linea politica.

* la seconda mozione, intitolata Per un vero rinnovamento del PCI e della sinistra fu sottoscritta da Ingrao e, tra gli altri, da Angius, Castellina, Chiarante e Tortorella. Il PCI, secondo i sostenitori di questa mozione, doveva si rinnovarsi, nella politica e nella organizzazione, ma senza smarrire se stesso. Questa mozione uscì sconfitta ottenendo il 30% dei consensi.

* la terza mozione, intitolata Per una democrazia socialista in Europa fu presentata dal gruppo di Cossutta. Costruita su un impianto profondamente ortodosso ottenne solo il 3% dei consensi.

Il XX Congresso, tenutosi a Rimini nel febbraio del 1991, fu l'ultimo del PCI. Le mozioni che si contrapposero a questo Congresso furono sempre tre, anche se con schieramenti leggermente diversi:

* la mozione di Occhetto, D'Alema e molti altri dirigenti, Per il Partito Democratico della Sinistra, che ottenne il 67,46% dei voti eleggendo 848 delegati.

* una mozione intermedia, Per un moderno partito antagonista e riformatore, capeggiata da Bassolino, che ottenne il 5,76% dei voti eleggendo 72 delegati.

* la mozione contraria alla nascita del nuovo partito, Rifondazione comunista, nata dall'accorpamento delle mozioni di Ingrao e Cossutta, ottenne il 26,77% dei voti eleggendo 339 delegati, cioè meno rispetto alla somma dei voti delle due mozioni presentate al precedente Congresso.

Il Partito Democratico della Sinistra (PDS) e Rifondazione Comunista (PRC) [modifica]

Il 3 febbraio 1991, il PCI deliberò il proprio scioglimento, promuovendo contestualmente la costituzione del Partito Democratico della Sinistra (PDS) con 807 voti favorevoli, 75 contrari e 49 astenuti. Il cambiamento del nome intendeva sottolineare la differenziazione politica con il partito originario accentuando l'aspetto Democratico. Una novantina di delegati della mozione Rifondazione comunista non aderì alla nuova formazione e diede vita al Movimento per la Rifondazione Comunista, che poi inglobò Democrazia Proletaria e altre formazioni comuniste minori assumendo la denominazione di Partito della Rifondazione Comunista (PRC).

Tendenze interne [modifica]

Fin dall'inizio il PCI non ha mai avuto componenti interne organizzate e riconosciute, ma piuttosto delle tendenze più o meno individuabili (inizialmente, quelle di Amendola e di Ingrao). Le correnti si sono però via via caratterizzate, fino a divenire più individuabili negli anni '80.

* Miglioristi: rappresentavano la destra del partito. Eredi delle posizioni di Giorgio Amendola (sostanzialmente orientato verso una forma di socialismo democratico e riformista), i miglioristi erano radicati nel suo apparato e nella gestione delle "cooperative rosse". Propensi ad un "miglioramento" riformista del capitalismo, non condividevano la politica sovietica (anche se a più riprese vi si conformarono), contrastarono l'estrema sinistra del '68 e del '77 ma anche le correnti del PCI più movimentiste o "moraliste". Sostenevano il dialogo e l'azione comune con partiti come il PSDI e il PSI, quest'ultimo specialmente durante la segreteria di Craxi, di cui erano interlocutori privilegiati. Furono, con qualche eccezione, grandi sostenitori della svolta di Occhetto nel 1989 (firmando la mozione 1). Il leader tradizionale della corrente era Giorgio Napolitano (divenuto Presidente della Repubblica nel 2006); vi appartenevano inoltre Paolo Bufalini, Gerardo Chiaromonte, Napoleone Colajanni, Guido Fanti, Nilde Iotti, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Giancarlo Pajetta, Antonello Trombadori e altri ancora. L'area ex-diessina del PD raggruppa la maggior parte dei seguaci dei miglioristi.

* Berlingueriani: Costituivano il centro del partito, erede delle posizioni di Luigi Longo. Quest'area, formata da ex-amendoliani ed ex-ingraiani, divenne più inquadrabile durante la segreteria di Berlinguer (che la guidava). Anch'essa diffidente nei confronti della Nuova sinistra (seppur meno dei miglioristi), era favorevole al distacco dalla sfera d'influenza dell'URSS per conseguire una via italiana al socialismo, alternativa a stalinismo e socialdemocrazia. Negli anni ottanta i berlingueriani, dopo il fallimento del compromesso storico con la DC, tentarono un' alternativa democratica da perseguire moralizzando il sistema partitico (questione morale), sviluppando al contempo una forte avversione al PSI di Craxi. Il centro del PCI si divise poi nell'ultimo congresso del 1989 tra favorevoli e contrari alla Svolta di Occhetto (mozioni 1 e 2), anche se poi in stragrande maggioranza confluì nel PDS. Berlingueriani erano, oltre a Natta e Occhetto (proveniente dalla sinistra), Gavino Angius, Tom Benetollo, Giovanni Berlinguer, Giuseppe Chiarante, Pio La Torre, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Diego Novelli, Ugo Pecchioli, Alfredo Reichlin, Franco Rodano, Tonino Tatò, Aldo Tortorella, Renato Zangheri e altri; provenienti dalla FGCI erano Massimo D'Alema, Piero Fassino, Pietro Folena, Renzo Imbeni, Walter Veltroni. Oggi sono quasi tutti divisi tra Partito Democratico e Sinistra Democratica; Minucci e Nicola Tranfaglia hanno aderito al Partito dei Comunisti Italiani (PdCI), Folena è stato eletto in Parlamento da Rifondazione in quota Sinistra europea, mentre Angius ha lasciato SD per il Partito Socialista. Alcuni sono usciti dalla politica attiva (prima Natta, poi Tortorella e Chiarante che hanno costituito l'Associazione per il Rinnovamento della Sinistra).

* Ingraiani: Guidati da Pietro Ingrao, tenace avversario di Giorgio Amendola nel partito, erano per definizione gli esponenti della sinistra movimentista del PCI, molto ben radicati nella FGCI e anche nella CGIL. Questa corrente era contraria a manovre politiche considerate "di destra" e sosteneva posizioni che erano definite - non sempre in modo coerente - 'marxiste-leniniste'. Era poco avvezza ad alleanze con la DC (per questo motivo molti furono gli ex-ingraiani passati con Berlinguer). Molto meno diffidente di berlingueriani e miglioristi nei confronti dei movimenti del dopo '68, riuscì ad attrarre svariati giovani proprio tra questi ultimi, spesso contrapponendoli a quelli più "ortodossi" che militavano in Democrazia Proletaria o in altre formazioni di estrema sinistra. Nel 1969 la corrente perse la componente critica legata alla rivista Il manifesto, espulsa - anche con l'appoggio di Ingrao - dal partito e poi rientratavi nell '84. I valori principali degli ingraiani erano quelli dell'ambientalismo, del femminismo, del pacifismo. Si opposero in larga parte alla Svolta della Bolognina, costituendo il nucleo principale del 'Fronte del No', cioè la mozione di minoranza più consistente (la 2). Ingraiani erano Alberto Asor Rosa, Antonio Baldassarre, Antonio Bassolino, Fausto Bertinotti, Bianca Bracci Torsi, Lucio Colletti, Aniello Coppola, Sandro Curzi, Lucio Libertini, Bruno Ferrero, Sergio Garavini, Ersilia Salvato, Rino Serri e altri; dalla FGCI provenivano Ferdinando Adornato, Massimo Brutti, Franco Giordano, Nichi Vendola. Di origine ingraiana erano, oltre agli ex-Manifesto-PdUP, anche berlingueriani come Angius, D'Alema, Fassino, Occhetto, Reichlin e altri. Oggi gli ex-ingraiani sono divisi tra sinistra PD e la maggioranza del PRC.

* Cossuttiani: Forse l'unica vera e propria corrente del PCI, presente perlopiù nell'apparato partitico ed estranea ai movimenti studenteschi, comprensiva però di alcuni ex-operaisti. L'area guidata da Cossutta godeva dell'appoggio da parte dell'Unione Sovietica, che appoggiavano in ogni caso (specialmente in fatto di politica estera). Erano inoltre fedeli declamatori di quasi tutti gli altri socialismi reali (come quello cubano). Nel partito, giunsero a criticare con asprezza l'azione politica intrapresa da Berlinguer durante la sua segreteria, combattendo al contempo sia contro l'allontanamento progressivo dall'URSS che i tentativi di compromesso con la DC. Nel congresso della "svolta" riuscirono a conquistare solo il 3% dei voti, con una mozione (la 3), sebbene più piccola, maggiormente organizzata e meno eterogenea della seconda. Cossuttiani erano, tra gli altri, Guido Cappelloni, Gian Mario Cazzaniga, Giulietto Chiesa, Aurelio Crippa, Oliviero Diliberto, Claudio Grassi, Marco Rizzo, Fausto Sorini, Graziella Mascia. Attualmente i cossuttiani (tranne Chiesa che ha seguito un diverso percorso politico-culturale) sono presenti in larga parte nel PdCI (che Cossutta ha presieduto fino alle dimissioni avvenute nel 2006) ma anche in una consistente minoranza del Prc ("L'Ernesto" di Grassi, Cappelloni e Sorini).

* Il Manifesto: Componente di origine ingraiana nata attorno alla rivista omonima, fu espulsa dal PCI nel 1969. Esponenti più significati e fondatori poi del quotidiano avente il medesimo nome furono Aldo Natoli, Rossana Rossanda, Luigi Pintor, Lucio Magri, Luciana Castellina, Eliseo Milani, Valentino Parlato e Lidia Menapace. La sua dura critica alla politica dell'URSS (culminata con la condanna nel 1969 all'invasione sovietica della Cecoslovacchia) le costò la radiazione del PCI. Costituitasi come soggetto politico autonomo di Nuova sinistra, nel 1974 si unificò con il PdUP (costituito da socialisti provenienti da PSIUP e aclisti del MPL) per fondare il PdUP per il comunismo, con Magri segretario. L'unione durò poco: nel '77 l'area PSIUP-MPL uscì per confluire in Democrazia Proletaria, mentre gli ex-Manifesto inglobarono la minoranza di Avanguardia Operaia (per poco tempo) e infine il Movimento Lavoratori per il Socialismo (MLS), mantenendo il nome PdUP per il comunismo. Nel 1983 il partito presentò propri candidati nelle liste comuniste; nel 1984 confluì definitivamente nel PCI, con gli ex-militanti del MLS. Quando si tenne il congresso alla Bolognina, la maggior parte degli ex-PdUP aderirono al 'Fronte del No'. Magri e altri rimasero nel PDS per breve tempo, dopodiché aderirono a Rifondazione nel 1991. Nel 1995 lasciarono però il PRC con Garavini, dando vita al Movimento dei Comunisti Unitari che, tranne Magri e Castellina, confluì nei DS nel 1998. Oggi dirigenti ed esponenti del PdUP-MLS si ritrovano, con ruoli diversi in tutti i partiti della Sinistra. Vincenzo Vita, Famiano Crucianelli e Davide Ferrari sono nel PD, Luciano Pettinari in SD, mentre Franco Grillini ha aderito al PS. Del MLS, Luca Cafiero ha lasciato la politica attiva, Alfonso Gianni e Ramon Mantovani sono in Rifondazione. I fondatori veri e propri del Manifesto sono oggi fuori dalle organizzazioni di partito.

Risultati elettorali [modifica]

Il Partito Comunista Italiano fu un caso straordinario nella politica europea. Dagli anni cinquanta fino alla fine ha ottenuto una percentuale di voti tale da configurarlo come il più grande partito comunista d'Europa ed eternamente seconda forza politica italiana, ruolo che in Europa spetta di solito ai partiti socialisti.

Il suo massimo storico si ebbe nel 1976 (34,4%). Nel 1984, sull'onda emotiva per la morte di Enrico Berlinguer, il PCI operò il primo, e unico, storico sorpasso sulla Democrazia Cristiana alle Elezioni europee, diventando il primo partito italiano con il 33,33% contro il 32,97% della DC. In diverse occasioni, in particolare nel periodo della collaborazione a sinistra tra PCI e PSI (1975-1985), varie importanti città, specie quelle a vocazione industriale, furono amministrate da sindaci del PCI (Roma, Firenze, Genova, Torino, Napoli), oltre a Bologna che ebbe ininterrottamente sindaci comunisti dal 1946 al 1991.

PCI symbol.jpg – Partito Comunista Italiano alle Elezioni Politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1921

 

1924

 

1946

 

1948

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

Camera

 

Camera

 

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

291.952

 

268.191

 

4.356.686

8.136.637'

6.969.122'

6.121.922

4.912.093

6.704.706

5.701.019

7.768.228

6.977.197

8.556.751

8.583.285˛

9.072.454

8.475.141˛

12.620.750

10.640.471

11.135.772

9.859.044

11.028.158

9.579.699

10.250.644

9.181.579

4,6

 

3,8

 

18,9

31,0

30,8

22,6

20,6

22,7

21,8

25,3

25,2

26,9

30,0

27,1

28,1

34,4

34,2

30,4

31,4

29,9

30,8

26,6

28,3

15

 

19

 

104

126

68

143

51

140

59

166

84

177

101

179

94

227

116

201

109

198

107

177

101

' con il PSI nel Fronte Democratico Popolare

˛ ingloba il PSIUP

PCI symbol.jpg – Partito Comunista Italiano alle Elezioni Europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984

1989 Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 10.345.284

11.696.923

9.602.618 29,6

33,3

27,6 24

27

22

Il vertice del Pci [modifica]

Segretari generali [modifica]

I primi due statuti del Pcd'I (1921 e 1922) non prevedevano la figura del "Segretario generale". Fino al gennaio 1926 il partito era retto da un Comitato Esecutivo ristretto che lavorava collegialmente e all'interno del quale era al massimo rintracciabile un "redattore capo" (art. 47 dello Statuto del 1921) o "segretario" (art. 51). Al III Congresso il CE mutò nome in Ufficio Politico e all'interno di questo fu individutata la figura del segretario generale[3].

Dopo l'arresto di Gramsci nel novembre 1926, la carica di segretario restò comunque formalmente ricoperta dal comunista sardo, ma di fatto l'organizzazione clandestina iniziò ad avere un capo presso Mosca (il centro estero) e uno in Italia (centro interno).

Furono pertanto a capo del Partito:

* Amadeo Bordiga (gennaio 1921 - marzo 1923)

* Palmiro Togliatti & Angelo Tasca (giugno 1923 - agosto 1924)

* Antonio Gramsci (agosto 1924 - gennaio 1926)

Furono segretari generali:

* Antonio Gramsci (gennaio - novembre 1926)

* Camilla Ravera (1927-1930)

* Palmiro Togliatti (1930 - 1934)

* Ruggero Grieco (1934 - 1938)

* Palmiro Togliatti (1938 - agosto 1964)

* Luigi Longo (agosto 1964 - marzo 1972)

* Enrico Berlinguer (marzo 1972 - giugno 1984)

* Alessandro Natta (giugno 1984 - giugno 1988)

* Achille Occhetto (giugno 1988 - febbraio 1991)

Presidenti [modifica]

* Luigi Longo (1972-1980)

* Alessandro Natta (1989-1990)

* Aldo Tortorella (1990-1991)

Organigrammi del vertice nazionale [modifica]

* I congresso

Comitato Centrale: Amadeo Bordiga, Ambrogio Belloni, Nicola Bombacci, Bruno Fortichiari, Egidio Gennari, Antonio Gramsci, Ruggero Grieco, Anselmo Marabini, Francesco Misiano, Giovanni Parodi, Luigi Polano (Fgcd'I), Luigi Repossi, Cesare Sessa, Ludovico Tarsia, Umberto Terracini, Antonio Borgia.

Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini.

* II congresso

Comitato Centrale: Bordiga, Isidoro Azzario, Vittorio Flecchia, Fortichiari, Leopoldo Gasparini, Gennari, Ennio Gnudi, Gramsci, Grieco, Marabini, Repossi, Sessa, Terracini, Palmiro Togliatti, Giuseppe Berti (Fgcd'I); nel marzo 1923 cooptazione di Antonio Graziadei e Angelo Tasca.

Comitato Esecutivo: Bordiga, Fortichiari, Grieco, Repossi, Terracini; nel marzo 1923 cooptazione di: Mauro Scoccimarro, Togliatti. CE dimissionario nel marzo 1923 e sostituito nel luglio 1923 con Fortichiari, Scoccimarro, Tasca, Togliatti, Giuseppe Vota; in autunno dimissioni di Fortichiari sostituito da Gennari.

* V congresso Comintern

Comitato Centrale: Gramsci, Aladino Bibolotti, Gennari, Gnudi, Fabrizio Maffi, Mario Malatesta, Gustavo Mersù, Scoccimarro, Tasca, Terracini, Togliatti, Giuseppe Tonetti.

Supplenti per cooptazione: Flecchia, Alfonso Leonetti, Camilla Ravera, Giovanni Roveda, Giacinto Menotti Serrati.

Comitato Esecutivo: Gramsci, Maffi, Mersù, Scoccimarro, Togliatti.

Supplenti:Bibolotti, Gennari, Malatesta, Tasca, Terracini, Tonetti.

Ufficio di Segreteria: Gramsci, Giuseppe Di Vittorio, Grieco, Mersù, Ravera, Scoccimarro, Giovanni Srebnic, Togliatti.

* III congresso

Comitato Centrale: Gramsci, Luigi Allegato, Luigi Bagnolati, Luigi Ceriana, Flecchia, Gennari, Gnudi, Grieco, Alfonso Leonetti, Fabrizio Maffi, Antonio Oberti, Paolo Ravazzoli, Camilla Ravera, Scoccimarro, Giacinto Menotti Serrati, Tasca, Terracini, Togliatti, Bordiga, Carlo Venegoni e un operaio di Trieste (Luigi Frausin?). Membri candidati: Azzario, Teresa Recchia, Giovanni Roveda, Pietro Tresso.

Ufficio Politico: Gramsci, Grieco, Ravera, Ravazzoli, Scoccimarro, Terracini, Togliatti; nel novembre 1926 arresto di Gramsci, Scoccimarro e Terracini sostituiti nell'UP da Leonetti, Tasca e Tresso e l'esclusione di Ravazzoli; Candidato: Ignazio Silone.

* VI congresso Comintern

Comitato Centrale: Gennari, Gnudi, Grieco, Leonetti, Luigi Longo, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso; Candidati cooptati nell'ottobre 1928: Di Vittorio, Giuseppe Dozza, Giovanni Germanetto, Teresa Recchia, Pietro Secchia.

Ufficio Politico: Grieco, Leonetti, Ravazzoli, Ravera, Silone, Tasca, Togliatti, Tresso, Secchia (Fgcd'I); Candidato: Luigi Longo (Fgcd'I a Mosca).

Ufficio di Segreteria: Grieco, Ravera, Secchia, Togliatti.

* "La svolta" del 1929

Comitato Centrale: Di Vittorio, Dozza, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ravera, Togliatti; Candidati: Frausin, Antonio Vincenzo Gigante, Battista Santhià.

Ufficio Politico: Grieco, Longo, Ravera, Secchia, Togliatti.

Nel 1929 espulsione di Tasca; nel 1930 espulsione di Bordiga, Leonetti, Ravazzoli, Tresso; nel 1931 espulsione di Silone.

* IV congresso

Comitato Centrale: Berti, Luigi Ceriana, Gaetano Chiarini, Domenico Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Frausin, Gennari, Germanetto, Gnudi, Grieco, Longo, Ernesto Oliva, Santhià, Togliatti, Tonini, Viana, Gorizia un operaio, Torino da, Trieste designarsi, Fgcd'I un giovane (Gian Carlo Pajetta?); Candidati: Vincenzo Bianco, Luigi Lomellina, Mario Montagnana, Giordano Pratolongo, Francesco Roccati, "Sesto", Ezio Zanelli; Cooptati in seguito: Luigi Amadesi, Luigi Grassi.

Ufficio Politico: Di Vittorio, Dozza, Grieco, Longo, Santhià, Togliatti, (G. C. Pajetta?).

* VII congresso Comintern

Comitato Centrale: Giuseppe Amoretti, Bibolotti, Ciufoli, Di Vittorio, Dozza, Gennari, Gnudi, Grieco, Longo, Cesare Massini, Montagnana, Celeste Negarville, Teresa Noce, Agostino Novella, Attilio Tonini, Luigi Viana, Zanelli; Candidati: Luigi Borelli, Rigoletto Martini.

Ufficio Politico: Di Vittorio, Gennari, Grieco, Longo, Montagnana, Negarville.

* agosto 1938 (scioglimento del CC)

Centro di riorganizzazione: Berti, Di Vittorio, Grieco, Antonio Roasio.

Centro ideologico: Berti, Di Vittorio, Grieco, Umberto Massola, Negarville, Novella, Roasio.

* V congresso

Direzione: Togliatti Palmiro (Segr. Gen.), Longo Luigi (Vice Segr. Gen.), Amendola Giorgio, Colombi Arturo, Di Vittorio Giuseppe, Li Causi Girolamo, Massola Umberto, Negarville Celeste, Novella Agostino, Pajetta Gian Carlo, Roasio Antonio, Roveda Giovanni, Scoccimarro Mauro, Secchia Pietro, Sereni Emilio, Spano Velio.

Segreteria: Togliatti, Longo, Novella, Scoccimarro, Secchia.

* VI congresso

* VII congresso

* VIII congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Giorgio Amendola, Colombi, Di Vittorio, Dozza, Ingrao, Li Causi, Novella, G.C. Pajetta, Pellegrini, Roasio, Romagnoli, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Velio Spano, Terracini, Trivelli (Fgci).

(novembre '57: morte di Di Vittorio; luglio '58: cooptati Bufalini e Scheda).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Bonazzi, Bufalini, Ingrao, G.C. Pajetta.

(luglio '58: esce Bufalini, entra E. Berlinguer).

* IX congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Alinovi, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Macaluso, Novella, G.C. Pajetta, Roasio, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Trivelli (Fgci).

(ottobre '60: Serri sostituisce Trivelli (Fgci); ottobre '62: Occhetto sostituisce Serri (Fgci)).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Barontini, Ingrao, G.C. Pajetta.

(marzo '60: entra Luciano Barca)

Ufficio di segreteria: Longo, Barca, Barontini.

* X congresso

Direzione: Togliatti, Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Colombi, Cossutta, Ingrao, Nilde Jotti, Macaluso, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Occhetto (Fgci).

(dicembre '63: cooptati galluzzi, Lama, Miana, Natta, Reichlin; agosto '64: muore Togliatti, Longo segretario).

Segreteria: Togliatti, Longo, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Natta, G.C. Pajetta.

(dicembre '63: entrano Alicata e Macaluso; agosto '64: muore Togliatti, Longo segretario).

Ufficio di segreteria: Berlinguer (responsabile), Natta, Calamandrei, Di Giulio, Flamigni.

(febbraio '65: entra Luigi Pintor).

* XI congresso

Direzione:Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Bufalini, Chiaromonte, Colombi, Cossutta, Di Giulio, Fanti, Lina Fibbi, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, La Torre, Macaluso, Miana, Napolitano, Natta, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romagnoli, Scheda, Scoccimarro (presidente Ccc), Sereni, Terracini, Tortorella, Occhetto (Fgci).

(febbraio '66: muore Romagnoli; luglio '66: entra Petruccioli (Fgci), esce Occhetto; ottobre '66: cooptati Alinovi e Occhetto).

Ufficio politico: Longo, Alicata, Amendola, Berlinguer, Ingrao, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Pecchioli.

(dicembre '66: muore Alicata; luglio '67: entra Macaluso).

Segreteria: Longo, Bufalini, Cossutta, Macaluso, Napolitano, Natta.

(febbraio '66: entra Di Giulio; luglio '67: esce Macaluso, entra Occhetto).

* XII congresso

Direzione: Longo, Berlinguer, Alinovi, Amendola, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente Ccc), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Lama, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, G.C. Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Romeo, Scheda, Scoccimarro, Sereni, Adriana Seroni, Terracini, Tortorella, Petruccioli (Fgci).

(marzo '69: entra G.F. Borghini, Fgci, esce Petruccioli; aprile '70: dimissioni per incompatibilità di Lama e Scheda; gennaio '72: muore Scoccimarro).

Ufficio politico: Longo, Berlinguer, Amendola, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Novella, G.C. Pajetta, Tortorella.

(luglio '69: dimissioni Novella dal sindacato; aprile '70: cooptato Novella; ottobre '70 cooptato Natta).

Segreteria: Longo, Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Natta, Pecchioli.

(ottobre '70: esce Natta, entra Galluzzi).

* XIII congresso

Direzione (38 membri): Berlinguer, Longo, Alinovi, Amendola, Luciano Barca, Bufalini, Cavina, Chiaromonte, Colombi (presidente Ccc), Cossutta, Di Giulio, Fanti, Vincenzo Galetti, Galluzzi, Ingrao, Jotti, Macaluso, Minucci, Napolitano, Natta, Novella, Occhetto, G.C. Pajetta, Pecchioli, Edoardo Perna, Luigi Petroselli, Elio Quercioli, Reichlin, Romeo, Sereni, Seroni, Rino Serri, Terracini, Tortorella, Borghini (Fgci). (giugno '72: Renzo Imbeni, Fgci, sostituisce Borghini; luglio '72 cooptati per confluenza del Psiup: Domenico Ceravolo, Dario Valori, Tullio Vecchietti; settembre'74: muore Novella)

Ufficio politico: Berlinguer, Longo, Amendola, Bufalini, Chiaromonte, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Ingrao, Macaluso, Napolitano, Natta, Novella, Pajetta, Pecchioli, Reichlin, Tortorella. (luglio '72 cooptati: Valori, Vecchietti).

Segreteria: Berlinguer, Bufalini, Cossutta, Di Giulio, Galluzzi, Pajetta, Pecchioli.

* XIV congresso

* XV congresso

* XVI congresso

* XVII congresso

Direzione (39 membri): Alessandro Natta, Antonio Bassolino, Giovanni Berlinguer, Gianfranco Borghini, Bufalini, Gianni Cervetti, Chiaromonte, Luigi Colajanni, Piero Fassino, Pietro Ingrao, Luciano Lama, Emanuele Macaluso, Adalberto Minucci, Fabio Mussi, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli, Giulio Quericin, Umberto Ranieri, Alfredo Reichlin, Roberto Speciale, Aldo Tortorella, Lalla Trupia, Livia Turco, Michele Ventura, ....

Segreteria: Alessandro Natta, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Fabio Mussi, Achille Occhetto, Gianni Pellicani, Claudio Petruccioli, Livia Turco

(luglio '87: Occhetto vicesegretario; giugno '88: Occhetto sostituisce Natta)

* XVIII congresso

Direzione (52 membri): Achille Occhetto, Tiziana Arista, Luciana Castellina, Cristina Cecchini, Silvana Dameri, Barbara Pollastrini, Alfonsina Rinaldi, Silvano Andriani, Luigi Berlinguer, Goffredo Bettini, Gian Mario Cazzaniga, Biagio De Giovanni, Claudio Burlando, Vannino Chiti, Pietro Folena, Francesco Ghirelli, Claudio Petruccioli, Pino Soriero, Lanfraco Turci, Walter Veltroni, Ersilia Salvato, Renzo Imbeni, Piero Fassino, Livia Turco, Fabio Mussi, Claudio Petruccioli, Luciano Guerzoni, Alfonsina Rinaldi...

Segreteria: Achille Occhetto, Antonio Bassolino, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Fabio Mussi, Claudio Petruccioli, Livia Turco, Walter Veltroni.

* XIX congresso

Direzione (43 membri: 3 di diritto, 27 mozione 1, 12 mozione 2, 1 mozione 3): Achille Occhetto, Aldo Tortorella, Giglia Tedesco (presidente garanti), Massimo D'Alema, Antonio Bassolino, G.C. Pajetta, Claudio Petruccioli, Livia Turco, Alfonsina Rinaldi, ..., Gavino Angius, Gianni Aresta, Alberto Asor Rosa, Fulvia Bandoli, Maria Luisa Boccia, Luciana Castellina, Giuseppe Chiarante, Marco Fumagalli, Sergio Garavini, Lucio Magri, Adalberto Minucci, Ersilia Salvato, Armando Cossutta.

Segreteria: Achille Occhetto, Massimo D'Alema, Antonio Bassolino, Claudio Petruccioli, Umberto Ranieri, Giulia Rodano, Cesare Salvi, Livia Turco.

Capigruppo alla Camera [modifica]

* Palmiro Togliatti (1948-1964)

* Pietro Ingrao (1964-1972)

* Alessandro Natta (1972-1979)

* Fernando Di Giulio (1979-1981)

* Giorgio Napolitano (1981-1986)

* Renato Zangheri (1986-1990)

* Giulio Quercini (1990-1991)

Capigruppo al Senato [modifica]

* Gerardo Chiaromonte (1983-1986)

* Ugo Pecchioli (1986-1991)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Livorno, 21 gennaio 1921 - Chiusura del diciassettesimo congresso del PSI

* II Congresso - Roma, 20-24 marzo 1922

* III Congresso - Lione, 20-26 gennaio 1926, in esilio

* IV Congresso - Colonia, 14-21 aprile 1931, in esilio

* V Congresso - Roma, 29 dicembre 1945 - 6 gennaio 1946

* VI Congresso - Milano, 4-10 gennaio 1948

* VII Congresso - Roma, 3-8 aprile 1951

* VIII Congresso - Roma, 8-14 dicembre 1956

* IX Congresso - Roma, 30 gennaio - 4 febbraio 1960

* X Congresso - Roma, 2-8 dicembre 1962

* XI Congresso - Roma, 25-31 gennaio 1966

* XII Congresso - Bologna, 8-15 febbraio 1969

* XIII Congresso - Milano, 13-17 marzo 1972

* XIV Congresso - Roma, 18-23 marzo 1975 - Intesa e lotta di tutte le forze democratiche e popolari per la salvezza e la rinascita dell'Italia

* XV Congresso - Roma, 30 marzo - 3 aprile 1979 - Avanzare verso il socialismo in Italia e in Europa. Nella pace e nella democrazia. Unità delle forze operaie, popolari e democratiche

* XVI Congresso - Milano, 2-6 marzo 1983 - Un'alternativa democratica per rinnovare l'Italia

* XVII Congresso - Firenze, 9-13 aprile 1986 - Un moderno partito riformatore. Un programma, una alternativa per l'Italia e per l'Europa

* XVIII Congresso - Roma, 18-22 marzo 1989 - Il nuovo Pci in Italia e in Europa. È il tempo dell'alternativa

* XIX Congresso - Bologna, 7-11 marzo 1990 - Una nuova fase per la sinistra

* XX Congresso - Rimini, 31 gennaio - 3 febbraio 1991

Conferenze Nazionali [modifica]

* I Conferenza Nazionale - Como, maggio 1924

* II Conferenza Nazionale - Basilea, 22-26 gennaio 1928

o Conferenza straordinaria - Parigi, 11-13 agosto 1939

* III Conferenza Nazionale - Firenze, 6-10 gennaio 1947

* IV Conferenza Nazionale - Roma, 9-14 gennaio 1955

* V Conferenza Nazionale - Napoli, 12-15 marzo 1964

Consigli Nazionali [modifica]

* I Consiglio Nazionale - Napoli, 30 marzo - 1ş aprile 1944

* II Consiglio Nazionale - Roma, 7-10 aprile 1945

* III Consiglio Nazionale - Roma, 15-17 aprile 1953 - Per un governo di pace e di riforme sociali per un'Italia democratica e indipendente

* IV Consiglio Nazionale - Roma, 3-5 aprile 1956

* V Consiglio Nazionale - Roma, 9-10 aprile 1958

* VI Consiglio Nazionale - Roma, 24 settembre 1960

Iscritti [modifica]

Andamento storico degli iscritti a DC, PCI e PSI

* 1921 - 42.790

* 1922 - 24.790

* 1923 - 9.618

* 1924 - 17.373

* 1925 - 24.837

* 1926 - 15.285

* 1927 - 6.329 (presunti)

* 1932 - 7.577 (presunti)

* 1943 - 6.000 (presunti)

* 1944 - 501.960

* 1945 - 1.770.896

* 1946 - 2.068.272

* 1947 - 2.252.446

* 1948 - 2.115.232

* 1949 - 2.027.271

* 1950 - 2.112.593

* 1951 - 2.097.830

* 1952 - 2.093.540

* 1953 - 2.134.285

* 1954 - 2.145.317

* 1955 - 2.090.006

* 1956 - 2.035.353

* 1957 - 1.825.342

* 1958 - 1.818.606

* 1959 - 1.789.269

* 1960 - 1.792.974

* 1961 - 1.728.620

* 1962 - 1.630.550

* 1963 - 1.615.571

* 1964 - 1.641.214

* 1965 - 1.615.296

* 1966 - 1.575.935

* 1967 - 1.534.705

* 1968 - 1.502.862

* 1969 - 1.503.816

* 1970 - 1.507.047

* 1971 - 1.521.642

* 1972 - 1.584.659

* 1973 - 1.623.082

* 1974 - 1.657.825

* 1975 - 1.730.453

* 1976 - 1.814.262

* 1977 - 1.814.154

* 1978 - 1.790.450

* 1979 - 1.761.297

* 1980 - 1.751.323

* 1981 - 1.714.052

* 1982 - 1.673.751

* 1983 - 1.635.264

* 1984 - 1.619.940

* 1985 - 1.595.281

* 1986 - 1.551.576

* 1987 - 1.508.140

* 1988 - 1.462.281

* 1989 - 1.421.230

* 1990 - 1.264.790

Giornali e riviste [modifica]

* Critica Marxista

* L'Ora

* L'Ordine Nuovo

* L'Unità

* Paese Sera

* Quaderno dell'attivista

* Rinascita

* Società

* Vie nuove

Galleria fotografica [modifica]

Comizio a Porta Venezia a Milano di Pietro Ingrao (26 luglio 1943)

Corteo contro l'inflazione a Piazza del Popolo a Roma (settembre 1947)

Enrico Berlinguer parla a un comizio a Borgo San Lorenzo (FI) nel 1947.

Manifestazione a favore dell'Unione Sovietica di alcuni militanti (novembre 1948)

L'VIII Congresso a Roma (14 dicembre 1956)

Luigi Longo e Palmiro Togliatti votano durante l'VIII Congresso (dicembre 1956)

La sezione San Giovanni di Roma ospita alcuni delegati cinesi per il X Congresso di partito nel 1962.

Alcuni militanti all'interno della sezione San Giovanni a Roma nel 1962.

Funerali di Palmiro Togliatti a Piazza San Giovanni a Roma, il 25 agosto 1964

Una sezione espone i risultati delle Elezioni politiche del 1968

Berlinguer al XIII congresso del partito a Milano (1972)

Enrico Berlinguer e Pietro Ingrao al XIII congresso del partito a Milano (1972)

Alcuni militanti sfilano sul Canal Grande a Venezia (1973).

Militanti alla Festa dell'Unità di Bologna (1974).

Giorgio Napolitano parla alla Festa dell'Unità di Milano (1975)

La Festa dell'Unità di Genova del 1978.

Militanti alla Festa dell'Unità di Genova del 1978.

Manifestazione del FGCI a Roma nel 1980.

Un uomo legge l'Unità ai funerali di Enrico Berlinguer (1984)

Sandro Pertini presso il feretro di Enrico Berlinguer (1984)

 

Bibliografia [modifica]

Libri [modifica]

* Aldo Agosti. Storia del Partito comunista italiano 1921-1991. Roma-Bari, Laterza, 1999. ISBN 88-420-5965-X.

* Eva Paola Amendola. Storia fotografica del partito comunista italiano. 2 vol. Roma, Editori riuniti, 1986.

* Luciano Barca. Cronache dall'interno del vertice del PCI. 3 vol. Soveria Mannelli, Rubbettino editore, 2005. ISBN 88-498-1257-4.

* Giorgio Galli. Storia del PCI. Milano, Kaos edizioni, 1993.

* Giovanni Gozzini, Renzo Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. 7, Torino, Einaudi, 1998.

* Giuseppe Carlo Marino, Autoritratto del Pci staliniano 1946-1953, Roma, Editori Riuniti, 1991.

* Renzo Martinelli, Storia del Partito Comunista Italiano, vol. 6, Torino, Einaudi, 1995.

* Paolo Spriano. Storia del Partito Comunista Italiano. 5 voll. Torino, Einaudi, 1967-1975.

* Umberto Terracini, Come nacque la Costituzione, Roma, Editori Riuniti, 1997.

* Albertina Vittoria. Storia del PCI 1921-1991, Roma, Carocci, 2006.

Saggi e articoli [modifica]

* Luciano Pellicani, Mondolfo e Gramsci di fronte alla Rivoluzione bolscevica, in "Mondoperaio", n. 2, 2001, pp. 105-110

Voci correlate [modifica]

* Manifesto del Partito Comunista

* Comunismo

* Movimenti comunisti

* Storia del Partito Comunista d'Italia

* Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste

* Eurocomunismo

* CGIL

* ARCI

* Lega delle Cooperative

* Unipol

* Apparato paramilitare del PCI (1945-55)

* Governo ombra del Partito Comunista Italiano

* Partito Democratico della Sinistra (PDS)

* Partito della Rifondazione Comunista (PRC)

* Sinistra Indipendente

Note [modifica]

1. ^ Elena Aga-Rossi - Victor Zaslavsky : Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca - Capitolo: L'insurrezione armata e le elezioni del 1948 - pag 239-240 - Editore: Il Mulino data publ.: 2007

2. ^ Intervento di Berlinguer sulla Fiducia al Governo Andreotti nella seduta della Camera dei Deputati del 16 marzo 1978, pagina 14523

3. ^ Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano, I, Da Bordiga a Gramsci, Einaudi, Torino 1967.

Altri progetti [modifica]

* Commons

* Collabora a Commons Wikimedia Commons contiene file multimediali sul Partito Comunista Italiano

Collegamenti esterni [modifica]

* Sito ufficiale dei DS

* Sito ufficiale del PRC

* Sito ufficiale del PdCI

* La storia del Partito Comunista Italiano Sito sulla storia del Pci

* L'attentato a Togliatti La Storia siamo Noi - Rai Educational

* Enrico Berlinguer. un ricordo La Storia siamo Noi - Rai Educational

* Una scelta di vita - La storia della formazione dei dirigenti del PCI La Storia siamo Noi - Rai Educational

* XV congresso (30/3/1979)

* XV congresso (31/3/1979)

* XV congresso (1/4/1979)

* XV congresso (2/4/1979)

* XV congresso (3/4/1979)

* XVI congresso (2/3/1983)

* XVI congresso (3/3/1983)

* XVI congresso (4/3/1983)

* XVI congresso (5/3/1983)

* XVI congresso (6/3/1983)

* XVII congresso (9/4/1986)

* XVII congresso (10/4/1986)

* XVII congresso (11/4/1986)

* XVII congresso (12/4/1986)

* XVII congresso (13/4/1986)

* XVIII congresso (18/3/1989)

* XVIII congresso (19/3/1989)

* XVIII congresso (20/3/1989)

* XVIII congresso (21/3/1989)

* XVIII congresso (22/3/1989)

* XIX congresso (7/3/1990)

* XIX congresso (8/3/1990)

* XIX congresso (9/3/1990)

* XIX congresso (10/3/1990)

* XIX congresso (11/3/1990)

* XX congresso (31/1/1991)

* XX congresso (1/2/1991)

* XX congresso (2/2/1991)

* XX congresso (3/2/1991)

 

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

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Partito Repubblicano Italiano

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Partito Repubblicano Italiano

Partito politico italiano

Segretario Francesco Nucara

Vicesegretario Corrado De Rinaldis Saponaro

Luca Ferrini

Gianfranco Polillo

Fondazione 12 aprile 1895

Sede Corso Vittorio Emanuele II

n.326, 00186 Roma

Coalizione Pentapartito (1981-1991)

Patto per l'Italia (1994)

L'Ulivo (1996)

CdL (2001-2006)

PdL-LN-MpA (2008)

Ideologia Liberalismo sociale, Laicismo,

Repubblicanesimo, Atlantismo

Partito europeo Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori

Gruppo parlamentare europeo Gruppo del Partito Europeo

dei Liberali, Democratici e Riformatori (1953-1999)

Deputati 2

Senatori 0

Europarlamentari 0

Organo ufficiale La Voce Repubblicana

Iscritti 12.000 (2005)

Sito web www.pri.it

" Il PRI è un piccolo partito di massa "

(Palmiro Togliatti)

Il Partito Repubblicano Italiano (PRI) è il più antico partito politico italiano[1] essendo l'unico ad aver sempre mantenuto immutati nome, simbolo (una foglia di edera) e le basi ideologiche fondate sul pensiero di Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Ugo La Malfa e Giovanni Spadolini[2]. Il PRI è un partito laico e di sinistra, ma non marxista, così lo definì Ugo La Malfa. In economia liberalsociale e in politica estera atlantista.

Il primo congresso ufficale si svolse a Bologna il 12 aprile del 1895, ma la data di nascita del partito può essere fatta risalire a prima del 1861, con il Patto di Fratellanza e la nascita dell'organo di stampa ufficiale dei Repubblicani italiani: L'Unità Italiana; poi con il primo congresso della Federazione dei Movimenti Democratici Italiani, svoltosi a Parma nel 1866, che fu il nucleo e la base del PRI.[3]

Il suo attuale segretario nazionale è Francesco Nucara.

In Europa il PRI è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR) ed è stato presente all'interno delle assemblee parlamentari comunitarie come membro del Gruppo del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori dal 1953 fino al 1999.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Il Risorgimento e l'Unità d'Italia

o 1.2 La fine dell'astensionismo e la nascita del Partito Repubblicano Italiano

o 1.3 La Prima guerra mondiale e l'avvento del fascismo

o 1.4 L'antifascismo, la Resistenza e il CLN

o 1.5 L'Assemblea Costituente e il centrismo

o 1.6 Anni Sessanta e Settanta: la guida di Ugo La Malfa

o 1.7 Anni Ottanta: Spadolini al Governo e la nascita del Pentapartito

o 1.8 1991-1994: Giorgio La Malfa segretario, il Patto e la diaspora

o 1.9 1995-2001: nel centro-sinistra con l'Ulivo

o 1.10 2001-2006: nel centro-destra di Berlusconi e la scissione dei Repubblicani Europei

o 1.11 Dal 2006: all'opposizione e l'adesione al PdL

* 2 Valori

* 3 Risultati elettorali

* 4 Governi italiani cui ha preso parte il PRI

* 5 Segretari

* 6 Congressi

* 7 Note

* 8 Bibliografia

* 9 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Il Risorgimento e l'Unità d'Italia [modifica]

Giuseppe Mazzini

Come il PLI e il Partito Radicale, anche il PRI affonda le proprie radici politiche, culturali, ideali nel Risorgimento, per la precisione nel filone democratico, mazziniano, radicale e rivoluzionario, i cui massimi rappresentanti sono stati Giuseppe Mazzini, Carlo Cattaneo, Carlo Pisacane e Aurelio Saffi.

I repubblicani, in contrapposizione con i moderati raccolti attorno alla monarchia dei Savoia e Cavour, si opponevano alla guerra regia, ai plebisciti, alle annessioni e alla piemontesizzazione dell'Italia, sostenendo invece la necessità di una sollevazione del popolo per conseguire l'Unità, un'Assemblea Costituente, il suffragio universale in luogo di quello ristretto e censitario.

Negli anni immediatamente successivi all'Unità i repubblicani, visto il trionfo e l'egemonia dei moderati, si estraniarono dalla vita politica, predicando l'astensionismo elettorale. Ciò non comportò certo l'inattività politica, anzi: i repubblicani furono in prima fila nel reclamare una soluzione decisa per l'unione all'Italia del Veneto e di Roma, e diedero vita alle prime organizzazioni del movimento dei lavoratori (associazioni operaie, casse mutue, cooperative, scuole popolari). Nel 1871, per iniziativa di Mazzini, venne fondato a Roma il Patto di fratellanza tra le Società operaie. La morte di Mazzini, l'anno seguente, e la propaganda degli Internazionalisti, misero in difficoltà i repubblicani, che tuttavia riuscirono a mantenere un radicamento a livello locale e popolare anche se limitato alla Romagna, alle Marche, all'Umbria, al litorale toscano e al Lazio, che rimarranno sempre le roccaforti repubblicane.

La fine dell'astensionismo e la nascita del Partito Repubblicano Italiano [modifica]

L'astensionismo elettorale rischiava di isterilire l'azione politica dei repubblicani, così venne deciso, in occasione delle elezioni politiche del 1880, di partecipare alle consultazioni elettorali. La composizione sociale dei deputati repubblicani era molto eterogenea, comprendendo sia piccoloi borghesi, come Giovanni Bovio e Napoleone Colajanni, ma anche operai, come Valentino Armirotti.

Nel 1895 si costituì ufficialmente come forza politica organizzata con strutture permanenti. La fine secolo vede il PRI stipulare alleanze con i socialisti e con i radicali, grazie alle quali conquista il governo di grandi città come Milano, Firenze, Roma, ma ciò non porta alla formazione di un grande partito democratico di sinistra, perché da una parte i socialisti vedono ascendere alla guida del loro partito i massimalisti, incompatibili con le forze laiche e progressiste borghesi, e dall'altra gli stessi repubblicani non possono vantare un radicamento nelle masse come i socialisti; così repubblicani e radicali rimasero partiti elitari, destinati quindi a rimanere marginali nell'epoca della società di massa.

La decisione inoltre di non partecipare ai governi, fino al 1909, impedì al PRI di dare seguito alle sue enunciazioni programmatiche, in particolare la lotta ai monopoli e il riscatto del Mezzogiorno e il PRI finì così per lasciarsi coinvolgere nel sistema trasformista giolittiano.

La Prima guerra mondiale e l'avvento del fascismo [modifica]

Allo scoppio della Prima guerra mondiale il PRI si schierò dalla parte degli interventisti, collocandosi nel filone democratico-irredentista; obiettivo dei repubblicani era correre in aiuto della Francia (considerata la patria dei diritti dell'uomo) contro gli Imperi centrali tedesco e austriaco (visti come gli emblemi dell'autoritarismo e della reazione), nonché per riunire all'Italia Trento e Trieste.

Dopo la guerra il PRI ritentò un accordo con le altre forze di sinistra al Convegno di Firenze del 1918, ma fallì perché il PSI era ormai sotto il controllo dei massimalisti. Nel 1921 Pietro Nenni uscì dal PRI per entrare nel PSI. Il Fascismo nascente mise nel mirino tutti i partiti antifascisti, e tra loro anche il PRI, che sarà messo fuori legge nel 1926.

L'antifascismo, la Resistenza e il CLN [modifica]

Molti esponenti e militanti repubblicani vennero arrestati o inviati al confino, altri dovettero recarsi in esilio. Il PRI si impegnò nella lotta antifascista, invitando i suoi aderenti ad entrare nel movimento Giustizia e Libertà. Nel 1927 aderì alla Concentrazione Antifascista. Il PRI fu anche in prima fila durante la guerra civile spagnola (comandante del Battaglione Garibaldi era Randolfo Pacciardi), raccogliendo per primo il celeberrimo appello di Carlo Rosselli Oggi in Ispagna, domani in Italia!. L'occupazione tedesca della Francia, dove si erano rifugiati numerosi antifascisti, mise in difficoltà i già complicati rapporti tra i vari esponenti del PRI. La lotta contro il nazifascismo vide la partecipazione dei repubblicani, attraverso le proprie formazioni armate, le Brigate Mazzini, ma anche nelle formazioni di Giustizia e Libertà. Alcuni repubblicani manifestarono, perciò, l'intenzione di entrare nel Partito d'Azione, ma prevalse la tendenza a ricostituire il partito, sostenuta dagli esponenti storici Giovanni Conti, Cipriano Facchinetti, Oliviero Zuccarini e Cino Macrelli.

Pur facendo parte dei Comitati di Liberazione Nazionale provinciali delle zone occupate dai nazifascisti, per non compromettere l'unità della lotta, il PRI rimase fuori dai governi del CLN, avendo posto un'imprescindibile pregiudiziale repubblicana contro i Savoia, considerati complici del fascismo, oltre che per l'avversione all'istituto monarchico in sé.

L'Assemblea Costituente e il centrismo [modifica]

Carlo Sforza

Presentatosi all'elezione dell'Assemblea Costituente nel 1946 il PRI ottenne il 4,4%, confermandosi forte nelle regioni dove tradizionalmente già lo era e di scarso seguito dove erano forti la DC e i partiti marxisti. Caduta la Monarchia, il PRI vedeva soddisfatta la sua pregiudiziale fondamentale ed entrava nel governo formato dai partiti di massa e guidato da Alcide De Gasperi. Il repubblicano Carlo Sforza, Ministero degli Esteri dal 1947 al 1948, firmò il Trattato di pace con gli alleati e contribuì all’adesione dell’Italia al Piano Marshall, al Patto Atlantico (4 aprile 1949) e al Consiglio d'Europa (5 maggio 1949); condusse anche i negoziati e firmò per l'Italia il 18 aprile 1951 il trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA).

Nell'autunno del 1946 confluisce nel PRI la Concentrazione Democratica Repubblicana guidata da Ugo La Malfa e Ferruccio Parri, usciti dal Partito d'Azione nel febbraio insieme a Oronzo Reale e Michele Cifarelli.

Al XIX Congresso del 1947 si scontrarono due tendenze, quella del segretario Randolfo Pacciardi, favorevole ad una collaborazione al governo col PCI, e quella di Conti e Facchinetti, che invece riteneva il PCI responsabile dell'inefficienza del governo e voleva interrompere la collaborazione. Prevalse quest'ultima tendenza e il PRI ritirò i propri ministri dal governo. Ciononostante Pacciardi, confermato segretario, rifiutò l'anticomunismo e la divisione in blocchi della guerra fredda, e non fece entrare il partito nel IV governo De Gasperi che escludeva le sinistre. Ma il radicalizzarsi della politica del PCI in ossequio alle nuove direttive di Mosca, convinse il PRI ad entrare nel governo, cosa che avvenne nel dicembre del 1947.

Le elezioni del 1948 vedono quindi il PRI saldamente schierato nel campo della democrazia occidentale a fianco della Democrazia Cristiana, ma anche un cattivo risultato: il 2,5% dei voti. L'alleanza con il centrismo dura fino al 1957, quando i repubblicani ritirano l'appoggio esterno al governo Segni; Randolfo Pacciardi, messo in minoranza, lascia la direzione del partito. Nel 1959 Ugo La Malfa assume la direzione de "La Voce Repubblicana" e nel 1965 diventa segretario del partito.

Anni Sessanta e Settanta: la guida di Ugo La Malfa [modifica]

Dai primi anni sessanta il PRI rientra stabilmente nella maggioranza di governo. Amintore Fanfani e La Malfa lanciano: la nazionalizzazione delle industrie elettriche; l'imposta cedolare d'acconto (il repubblicano Bruno Visentini ebbe un ruolo importante nella preparazione tecnica di questa imposta); la Commissione della programmazione economica. Infine, per affrontare la questione degli squilibri settoriali e territoriali, Ugo La Malfa propone per primo l'avvio di una politica dei redditi. Tale collaborazione andrà in crisi nel 1974, per dissidi in materia di politica economica. In quell'anno, infatti, La Malfa esce, e con lui il PRI, dalla maggioranza per insanabili divergenze sulla politica economica col ministro del Bilancio.

Nei primi mesi del 1979, il capo dello Stato affida a Ugo La Malfa l'incarico di formare il nuovo governo. È la prima volta dal 1948 che un politico non democristiano riceve l'incarico. Il tentativo però non riesce, e il 21 marzo viene varato il quinto governo Andreotti, del quale la Malfa è comunque vicepresidente. Cinque giorni dopo La Malfa muore, colto da un male improvviso. In settembre il Pri elegge Bruno Visentini presidente e Giovanni Spadolini segretario del partito.

Anni Ottanta: Spadolini al Governo e la nascita del Pentapartito [modifica]

Giovanni Spadolini

Negli anni ottanta Spadolini prima e il figlio di Ugo, Giorgio La Malfa poi, legano il PRI al Pentapartito, alleanza formata da DC, PSI, PSDI, PLI e quindi PRI, che dal 1983 al 1990 governa l'Italia. Il PRI romperà con la maggioranza solo nel 1991 in merito alla Legge Mammì sulle telecomunicazioni. Secondo gli accordi del Pentapartito la DC sarà il partito egemone, ma il presidente del consiglio potrà essere anche un non democristiano.

Nel giugno del 1981 così Giovanni Spadolini fu nominato Presidente del Consiglio dei Ministri, il primo non democristiano della storia dell'Italia repubblicana. Il 21 gennaio Spadolini presiedette a Palazzo Chigi una riunione operativa a cui parteciparono i responsabili delle forze dell'ordine, dove denunciò l'intreccio perverso fra mafia, camorra e terrorismo e a breve il Parlamento approvò il disegno di legge presentato dal governo per l'attuazione del divieto costituzionale delle associazioni segrete; fu sciolta la loggia P2. Lo Spadolini I però durò poco e terminò nell'estate del 1982. Nell'agosto di quell'anno Spadolini ricostituì un governo perfettamente identico al precedente, lo Spadolini-bis detto dai giornali governo fotocopia, ma in novembre dovette dimettersi a causa della lite tra i due ministri Beniamino Andreatta, del Tesoro, e Rino Formica, delle Finanze, che sarà detta "lite delle comari". Grazie al cosiddetto "effetto Spadolini" alle elezioni politiche anticipate del 1983, per la prima volta nella sua storia, il PRI superò il 5% dei voti alla Camera dei Deputati; in alcune grandi città come Torino divenne il terzo partito, dietro DC e PCI, ma davanti ai socialisti.

Nella successiva legislatura, con Craxi presidente del consiglio, Spadolini ricoprì la carica di Ministro della Difesa dal 1983 al 1987. Fu quindi uno dei protagonisti della crisi di Sigonella, su posizioni atlantiste e quindi in constrasto rispetto a quelle filo-palestinesi di Craxi.

Nel luglio 1987, all'indomani delle elezioni politiche del 14 giugno, Giovanni Spadolini viene eletto alla carica di presidente del Senato. Il 12 settembre dello stesso anno il Consiglio nazionale elegge il suo successore: il nuovo segretario politico del PRI è Giorgio La Malfa.

1991-1994: Giorgio La Malfa segretario, il Patto e la diaspora [modifica]

La Malfa porta i repubblicani all'opposizione, non partecipando al governo Andreotti VII (1991), ma, dopo lo scoppio di Tangentopoli, lo stesso La Malfa risulterà indagato e lascerà l'incarico di segretario che sarà assunto per qualche mese da Giorgio Bogi. Bogi mira a guidare il partito all'interno di una più ampia coalizione di centrosinistra in Alleanza Democratica, ma la linea non è condivisa da tutto il partito.

PATTO SEGNI.jpg

Nel gennaio 1994, con La Malfa tornato segretario, il partito sceglie di collocarsi al centro, nella coalizione del Patto per l'Italia di Segni e Martinazzoli. Nella quota maggioritaria però nessun seggio va ai repubblicani, che scelgono di candidare solo nomi nuovi (tra questi Denis Verdini, Giannantonio Mingozzi, Piero Gallina, Mauro Fantini, lo stesso segretario La Malfa non si candida). Nella quota proporzionale il PRI presenta candidati nelle liste del Patto Segni e risulta eletta solo una esponente repubblicana, Carla Mazzuca Poggiolini. L'ipotesi centrista di fatto fallisce.

Con la discesa in campo di Berlusconi molti ex-repubblicani aderiscono a Forza Italia. Ha inizio una diaspora repubblicana:

* aderiscono a Forza Italia: Piergiorgio Massidda, Luigi Casero, Guglielmo Castagnetti, Jas Gawronski, Mario Pescante, Denis Verdini e Alberto Zorzoli;

* Giorgio Bogi lascia il partito e rimane in Alleanza Democratica, successivamente fonda il movimento della Sinistra Repubblicana che confluirà nei Democratici di Sinistra con altri illustri repubblicani (Stelio De Carolis, Antonio Duva, Andrea Manzella, Libero Gualtieri e Stefano Passigli);

* nel corso degli anni '90 altri esponenti repubblicani si collocano in formazioni di centrosinistra: Antonio Maccanico prima fonda l'Unione Democratica poi confluisce ne i Democratici, ai quali aderisce anche il sindaco di Catania Enzo Bianco.

Alle elezioni europee del 1994 il PRI si ripresenta col proprio simbolo e raccoglie lo 0,7% dei voti che consentono al segretario La Malfa di entrare nell'europarlamento e collocandosi del Gruppo del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori.

1995-2001: nel centro-sinistra con l'Ulivo [modifica]

Nel 1995 il PRI entra nell'Ulivo. Preso atto dell'impossibilità di dar vita a un'alternativa centrista, il Partito Repubblicano, così come il Partito Popolare Italiano, decide di avvicinarsi alle forze di centro-sinistra con l'intento di creare uno schieramento di unità nazionale che sappia affrontare i problemi del paese. Nel frattempo in Parlamento La Malfa riesce a ricostituire una piccola presenza repubblicana: due deputati di origine repubblicana, eletti nelle file dei Progressisti, accettano di tornare nel PRI: si tratta di Luciana Sbarbati e Denis Ugolini. La deputata Carla Mazzuca Poggiolini invece non accetta di lasciare Segni e quindi esce dal partito.

Alle elezioni politiche del 1996, il PRI si presenta quindi nell'alleanza di centrosinistra nel maggioritario detta L'Ulivo Alleanza per il Governo e con la lista Popolari per Prodi composta da Partito Popolare Italiano, Unione Democratica e Südtiroler Volkspartei nella quota proporzionale, sostenendo la candidatura di Romano Prodi a Presidente del Consiglio dei Ministri. Due sono i deputati eletti: Luciana Sbarbati e Giorgio La Malfa, che subito abbandonano il progetto dell'Unione Democratica di Maccanico (cui aderivano anche Alleanza Democratica e i liberali di Valerio Zanone) e scelgono di andare nel gruppo misto.

Nel corso della legislatura poi i due deputati repubblicani si uniranno al gruppo di Rinnovamento Italiano per poi distaccarsene formando un piccolo gruppo denominato Federalisti, Liberaldemocratici e Repubblicani con l'adesione al partito anche del deputato Gian Antonio Mazzocchin.

Nel 1997-98 tra gli esponenti ex-repubblicani che non accettano la scelta di centro-sinistra del partito nasce un piccolo movimento guidato da Armando Corona, denominato Unità Repubblicana (adotta come simbolo tre foglie di edera, una verde, una bianca e una rossa), che si colloca nel centro-destra. Il movimento nel 1998 aderirà per breve tempo al progetto dell'Unione Democratica per la Repubblica), ma se ne distaccherà dopo la scelta dell'UDR a favore del Governo D'Alema I, confermando una scelta di centro-destra.

Alle elezioni europee del 1999 il PRI si allea con la Federazione dei Liberali Italiani, ottenendo lo 0,54 % dei voti ed eleggendo Luciana Sbarbati.

2001-2006: nel centro-destra di Berlusconi e la scissione dei Repubblicani Europei [modifica]

A fine legislatura (dopo cinque anni di governi dell'Ulivo a guida Prodi, D'Alema e Amato) il PRI cambia schieramento: il XLII congresso del partito, a Bari nel gennaio del 2001, decreta l'adesione alla coalizione di centrodestra, mentre un ingresso ufficiale nella CdL non fu mai formalmente ratificato. Luciana Sbarbati, in aperta polemica con questa decisione, esce dal partito alla guida di un piccolo gruppo di scissionisti (5% dei voti congressuali) che daranno vita al Movimento Repubblicani Europei, alleato del centrosinistra. Alla scissione a sinistra corrisponde anche un recupero a destra: riconfluiscono nel PRI gli esponenti del movimento di Unità Repubblicana.

Il 6 ottobre 2001 Giorgio La Malfa, dopo 14 anni, lascia la segreteria del partito per assumerne la presidenza. Il consiglio nazionale elegge nuovo segretario nazionale Francesco Nucara.

Ad ottobre del 2002 il XLIII Congresso nazionale che si svolge a Fiuggi conferma le scelte del congresso di Bari e la collocazione del partito nell'alleanza della CdL. A giugno del 2003, riprendono le pubblicazioni de La Voce Repubblicana, sotto la direzione di Francesco Nucara. Nel maggio 2004 il tribunale di Roma annulla temporaneamente i risultati del congresso del 2001 per un presunto mancato rispetto dello statuto del partito. Tali risultati, confermati dal successivo congresso di Fiuggi, saranno infine convalidati dal tribunale.

Nell'aprile 2005 La Malfa e Nucara vengono rispettivamente nominati Ministro per le Politiche Comunitarie il primo e vice-ministro per l'Ambiente il secondo nel nel Governo Berlusconi III. Nell'ottobre 2005, all'indomani dell'approvazione della nuova legge elettorale proporzionale, il PRI contesta alcuni aspetti della normativa e cala il gelo nei rapporti con gli alleati, in attesa della conferenza programmatica del 3 febbraio 2006, dove interviene lo stesso Berlusconi ed il PRI riconferma l'alleanza con la CdL ed avvia un legame elettorale con Forza Italia.

Nel 2006 il PRI ottiene il riconoscimento dell'esclusività del simbolo dell'edera: il Tribunale di Roma emette un'ordinanza vietando al Movimento Repubblicani Europei e ai Repubblicani Democratici l'uso contemporaneo del simbolo dell'edera e della parola Repubblicani, che resta diritto esclusivo del PRI; il 20 febbraio 2008, il MRE rinuncerà al ricorso contro la sentenza con cui il Tribunale di Roma respingeva la richiesta, fatta dallo stesso Movimento, di annullamento del Congresso di Bari.[4]

Dal 2006: all'opposizione e l'adesione al PdL [modifica]

In occasione delle elezioni del 2006 si crea un rapporto elettorale tra PRI e Forza Italia, che gli garantisce un diritto di rappresentanza parlamentare ospitando candidati repubblicani in proprie liste alla Camera dei Deputati. Al Senato, il PRI si presenta in alcune regioni con liste e simbolo propri, ma vi è comunque un candidato nelle liste di FI, il senatore uscente Antonio Del Pennino, nella circoscrizione regionale della Lombardia. Il PRI elegge i due deputati repubblicani inseriti a fini elettorali nelle liste di FI: il presidente La Malfa e il segretario Nucara, ma anche il senatore Antonio Del Pennino (dopo la rinuncia all'elezione di Roberto Formigoni in quanto presidente della Regione Lombardia), il 12 luglio 2006 rientra in Senato.

In occasione del referendum costituzionale del giugno 2006 Giorgio La Malfa, contrario alla riforma costituzionale, si dissocia dalla delibera della maggioranza della direzione nazionale che dà indicazione di seguire l'orientamento della CdL di votare sì e si dimette dalla presidenza; il partito, pur avendo dato indicazione di voto, aveva comunque lasciato libertà di scelta ai propri iscritti.

Il 16 marzo 2007 si forma la componente politica Repubblicani, Liberali, Riformatori nel Gruppo Misto alla Camera dei Deputati e vi aderiscono i deputati del PRI, Giorgio La Malfa e Francesco Nucara, e Giovanni Ricevuto, eletto in Forza Italia per il Nuovo PSI e non legato ad alcun partito. Il 18 marzo viene stipulato un patto federativo, poi confermato dai rispettivi congressi, tra il PRI e il Partito Liberale Italiano, nella logica della comune appartenenza al Partito ELDR, per promuovere liste comuni per le prossime elezioni.

Francesco Nucara e Luciana Sbarbati durante la lettura del documento comune Pri-Mre, 28 febbraio 2009

Il XLV Congresso, tenutosi a Roma dal 30 marzo al 1ş aprile 2007, riconferma i vertici del partito e mantiene una netta opposizione al governo Prodi, tendente però a esaltare l'autonomia e peculiarità del partito rispetto agli attuali schieramenti bipolari, sancendo quindi anche un allentamento dei rapporti con la CdL. La mozione finale viene approvata all'unanimità, senza opposizione interna; l'unica che sarebbe potuta crearsi era quella di una parte di Riscossa repubblicana, che aveva tentato di presentare una mozione, ma non aveva raggiunto il quorum necessario. Nucara tentò la riconciliazione cooptando i dissidenti nel Consiglio nazionale.

Per le elezioni del 2008, il PRI ha inserito tre propri candidati nelle liste de Il Popolo della Libertà (come già accaduto nel 2006 con FI) mantenendo però totale autonomia. Il risultato elettorale ha visto rieletti i due deputati repubblicani uscenti La Malfa e Nucara. All'avvio dei lavori parlamentari, Nucara si è iscritto al gruppo parlamentare misto, mentre La Malfa, per ragioni di opportunità concernenti la formazione delle commissioni parlamentari, si è provvisoriamente iscritto al gruppo del PdL; settembre 2008 anche Giorgio La Malfa è passato al gruppo misto nella componente Liberaldemocratici-Repubblicani. Al congresso fondativo de Il Popolo della Libertà del marzo del 2009 il PRI vi partecipa, ma solo come alleato, non sciogliendosi all'interno del nuovo partito unico del centro-destra.

All'indomani della modifica della legge elettorale per le elezioni europee, che prevede lo sbarramento al 4%, il Movimento dei Repubblicani Europei, guidato da Luciana Sbarbati, tenta un riavvicinamento al PRI. [5]. Al congresso del MRE, a Roma tra 28 febbraio e 1 marzo 2009, viene letto un documento comune nel quale i due partiti si impegnano a prendere posizioni comuni nei due rami del Parlamento.

Il 13 maggio, contestualmente all'accordo elettorale intervenuto tra LD e MAIE e alla costituzione della componente Liberaldemocratici-MAIE del gruppo misto alla camera, i deputati repubblicani costituiscono con Mario Baccini la componente del gruppo misto denominata Repubblicani Regionalisti Popolari.

Valori [modifica]

" Aderiscono al Partito Repubblicano Italiano tutti i cittadini maggiorenni che si riconoscono negli insegnamenti della scuola repubblicana, da Giuseppe Mazzini a Carlo Cattaneo, da Ugo La Malfa a Giovanni Spadolini; nelle lotte del Risorgimento e della Resistenza e nello sforzo di realizzazione di una società basata sul rispetto dei diritti individuali, sulla responsabilità civica, sulla democrazia come metodo per la scelta del governo. "

(dall'art. 1 dello statuto del P.R.I.)

Il PRI è un partito di centro-sinistra, non marxista. In quanto repubblicano, fu fin dalle sue origini anti-monarchico e promotore di un'assemblea costituente. È laico, difensore della divisone tra Stato e Chiesa. Fa riferimento al Liberalismo e soprattutto alla sua componente sociale, il Liberalismo sociale. In politica estera è un convinto atlantista. Come dice il suo statuto, il partito ha realizzato collegamenti internazionali con partiti e movimenti politici che si muovono nell'ambito della tradizione liberaldemocratica. Infatti è membro del Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori e i suoi europarlamentari hanno sempre aderito ai gruppi di matrice liberale all'interno delle assemblee comunitarie.

Risultati elettorali [modifica]

Anno Lista Voti % Seggi

Politiche 1897 PRI - 4,92 25

Politiche 1900 PRI - 5,71 29

Politiche 1904 PRI - 4,72 24

Politiche 1909 PRI - 4,72 24

Politiche 1913 PRI - 3,5 17

Politiche 1919 PRI 53.197 0,9 4

Politiche 1921 PRI 120.000 ca 1,9 6

Politiche 1924 PRI 133.714 1,9 7

Costituente 1946 PRI 1.003.007 4,4 23

Politiche 1948 Camera PRI 652.477 2,5 9

Senato PRI 605.192 2,6 8[6]

Politiche 1953 Camera PRI 437.988 1,6 5

Senato PRI 261.713 1,1 0

Politiche 1958 Camera PRI-Partito Radicale 405.574 1,4 8

Senato PRI-Partito Radicale 367.340 1,4 0

Politiche 1963 Camera PRI 420.419 1,4 6

Senato[7] PRI 231.599 0,8 0

Politiche 1968 Camera PRI 626.567 2,0 9

Senato PRI 622.420 2,2 2

Politiche 1972 Camera PRI 954.597 2,9 15

Senato PRI 918.397 3,1 15

Politiche 1976 Camera PRI 1.134.936 3,0 14

Senato PRI 846.415 2,7 6

Politiche 1979 Camera PRI 1.110.209 3,0 16

Senato PRI 1.053.251 3,4 6

Europee 1979 PRI 895.558 2,6 2

Politiche 1983 Camera PRI 1.874.512 5,1 29

Senato PRI 1.452.279 4,7 10

Europee 1984 PRI-PLI 2.136.075 6 5

Politiche 1987 Camera PRI 1.429.628 3,7 21

Senato PRI 1.248.641 3,9 8

Europee 1989 PRI-PLI-Federalisti 1.533.053 4,4 4

Politiche 1992 Camera PRI 1.722.465 4,4 27

Senato PRI 1.565.142 4,7 10

Politiche 1994 Camera Patto Segni - - 8

Senato Patto per l'Italia - - 7

Europee 1994 PRI 223.099 0,7 1

Politiche 1996 Camera Popolari per Prodi - - 2

Senato L'Ulivo - - 2

Europee 1999 PRI-FdL 168.620 0,5 1

Politiche 2001 Camera Forza Italia - - 1

Senato Casa delle Libertà - - 1

Europee 2004 PRI-Liberal Sgarbi 232.799 0,7 0

Politiche 2006 Camera Forza Italia - - 2

Senato[8] PRI 45.098 0,13 1

Politiche 2008 Camera PDL - - 2

Senato PDL - - 0

Governi italiani cui ha preso parte il PRI [modifica]

* Governo Boselli

o Alfredo Comandini, Ministro senza portafoglio alla Propaganda bellica

* Governo De Gasperi IV

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Giuseppe Facchinetti al Ministero della Difesa

* Governo De Gasperi V

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Randolfo Pacciardi al Ministero della Difesa

* Governo De Gasperi VI

o Carlo Sforza al Ministero degli Esteri

o Ugo La Malfa è Ministro senza portafoglio, col compito di procedere alla riorganizzazione dell'IRI

* Governo De Gasperi VII

o Ugo La Malfa è Ministro per il Commercio Estero

* Governo Fanfani IV (1960-1962)

o Ugo La Malfa è Ministro del Bilancio e della programmazione economica.

* Governo Rumor IV (1973-74)

o Ugo La Malfa Ministro del Tesoro (fino al 28/02/1974)

* Governo Moro IV (novembre 1974-gennaio 1976)

o Bruno Visentini Ministro delle Finanze

o Giovanni Spadolini Ministro dei Beni Culturali e Ambientali (primo della storia)

* Governo Andreotti V (marzo-aprile 1979)

o Ugo La Malfa Vicepresidente del Consiglio e Ministro del Bilancio.

o Bruno Visentini al Bilacio dopo la scomparsa di La Malfa del 26/3/1979

o Giovanni Spadolini Ministro della Pubblica Istruzione (primo non DC della storia repubblicana)

* Governi Spadolini I e Spadolini II (1981-1982)

o Il primo governo della Repubblica non guidato dalla DC.

* Governi Craxi I e Craxi II (1983-1987)

o Bruno Visentini ministro delle Finanze

o Giovanni Spadolini Ministro della Difesa

* Governo Andreotti VI (luglio 1989-marzo 1991)

o Antonio Maccanico Riforme istituzionali

o Adolfo Battaglia all'Industria

o Oscar Mammì alle Poste e telecomunicazioni.

* Governo Dini (gennaio 1995-maggio 1996)

o Guglielmo Negri sottosegretario alla Presidenza per i rapporti con il parlamento.

* Governo Prodi I (maggio 1996-ottobre 1998)

o Giovanni Marongiu sottosegretario al Ministero delle Finanze.

* Governo Berlusconi II (giugno 2001-aprile 2005)

o Francesco Nucara, sottosegretario al Ministero dell'Ambiente.

* Governo Berlusconi III (aprile 2005-aprile 2006)

o Giorgio La Malfa, Ministro senza portafoglio alle Politiche comunitarie

o Francesco Nucara, viceministro dell'Ambiente.

Segretari [modifica]

* Giuseppe Gaudenzi (novembre 1895-maggio 1897)

* Giovanbattista Pirolini (maggio 1897-maggio 1898)

* Giuseppe Gaudenzi (settembre 1898-settembre 1899)

* Urbano Urbani (settembre 1899-aprile 1900)

* Giovanbattista Bosdari (aprile 1900-ottobre 1900)

* Eugenio Chiesa (novembre 1900-ottobre 1902)

* Umberto Serpieri (ottobre 1902-ottobre 1903)

* Carlo Alberto Guizzardi (ottobre 1903-marzo 1907)

* Mario Alliata, Bartolomeo Filipperi, Carlo Alberto Guizzardi (Segreteria collegiale da marzo 1907 a maggio 1908)

* Mario Alliata, Carlo Quartieroni, Eugenio Chiesa, Carlo Alberto Guizzardi, Filomeno Filoni (Segreteria collegiale da maggio 1908 a giugno 1908)

* Umberto Serpieri (giugno 1908-aprile 1910)

* Otello Masini (aprile 1910-maggio 1912)

* Oliviero Zuccarini (luglio 1912-luglio 1916)

* Armando Casalini (luglio 1916-giugno 1919)

* Carlo Bazzi, Armando Casalini, Oliviero Zuccarini (Segreteria collegiale da giugno 1919 a dicembre 1919)

* Armando Casalini, Mario Gibelli, Giuseppe Gaudenzi (Segreteria collegiale da dicembre 1919 a aprile 1920)

* Fernando Schiavetti (aprile 1920-novembre 1922)

* Giuseppe Gaudenzi (vicesegretario di fatto segretario da dicembre 1922 a maggio 1925)

* Mario Bergamo (maggio 1925-giugno 1928)

* Cipriano Facchinetti (giugno 1928-marzo 1932)

* Raffaele Rossetti (marzo 1932-aprile 1933)

* Randolfo Pacciardi (aprile 1933-marzo 1934)

* Giuseppe Chiostergi (marzo 1934-febbraio 1935)

* Mario Angeloni (fino a luglio 1936), Cipriano Facchinetti (Segreteria collegiale affidata alla sezione di Parigi da febbraio 1935 a aprile 1938)

* Ottavio Abbati (aprile 1938-luglio 1938)

* Randolfo Pacciardi, Cipriano Facchinetti (Segreteria collegiale di fatto da luglio 1938 a gennaio 1942)

* Mario Carrara (segretario della Federazione Repubblicana delle Americhe, ottobre 1942-luglio 1943)

* Giovanni Conti (Italia centrale e territori liberati, luglio 1943-aprile 1945)

* Umberto Pagani (territori occupati, luglio 1943-aprile 1945)

* Randolfo Pacciardi (maggio 1945-settembre 1946)

* Giulio Andrea Belloni (ottobre 1946-gennaio 1947)

* Randolfo Pacciardi (gennaio 1947-dicembre 1947)

* Giulio Andrea Belloni, Ugo La Malfa, Oronzo Reale (Segreteria collegiale da dicembre 1947 a gennaio 1948)

* Giulio Andrea Belloni, Giuseppe Chiostergi, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da gennaio 1948 a maggio 1948)

* Giovanni Pasqualini, Franco Simoncini, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da maggio 1948 a febbraio 1949)

* Oronzo Reale, Franco Simoncini, Amedeo Sommovigo (Segreteria collegiale da febbraio 1949 a maggio 1950)

* Oronzo Reale (maggio 1950-dicembre 1963)

* Oddo Biasini, Claudio Salmoni, Emanuele Terrana (segreteria collegiale da gennaio 1964 a marzo 1965)

* Ugo La Malfa (aprile 1965-febbraio 1975)

* Oddo Biasini (marzo 1975-settembre 1979)

* Giovanni Spadolini (settembre 1979 - settembre 1987)

* Giorgio La Malfa (settembre 1987 - ottobre 2001)

o Giorgio Bogi, vice-segretario reggente (febbraio 1993 - gennaio 1994)

* Francesco Nucara (dall'ottobre 2001)

Congressi [modifica]

* I Congresso - Bologna, 1ş novembre 1895

* II Congresso - Firenze, 27-29 maggio 1897

* III Congresso - Lugano, 8-9 settembre 1899

* IV Congresso - Firenze-Rifredi, 1-3 novembre 1900

* V Congresso - Ancona, 19 febbraio 1901

* VI Congresso - Pisa, 6-8 ottobre 1902

* VII Congresso - Forlì, 3-5 ottobre 1903

* VIII Congresso - Genova, 22-24 giugno 1905

* IX Congresso - Roma, 3-5 maggio 1908

* X Congresso - Firenze, 9 -11 aprile 1910

* XI Congresso - Ancona, 18-20 maggio 1912

* XII Congresso - Bologna, 16-18 maggio 1914

* XIII Congresso - Roma, 13-15 dicembre 1919

* XIV Congresso - Ancona, 25-27 settembre 1920

* XV Congresso - Trieste, 22-25 aprile 1922

* XVI Congresso - Roma, 16-18 dicembre 1922

* XVII Congresso - Milano, 9-10 maggio 1925

* I congressi dell'esilio (senza numerazione):

o Lione, 30 giugno - 1ş luglio 1928

o Parigi, 29-30 giugno 1929

o Annemasse, 28-29 marzo 1931

o St. Louis, 27-28 maggio 1932

o Parigi, 23-24 aprile 1933

o Lione, 24-25 marzo 1934

o Parigi, 3 febbraio 1935

o Parigi, 11-12 giugno 1938

o Portsmouth, 9-10 ottobre 1943

* Congresso clandestino dell'Alta Italia

o Milano, 5 dicembre 1943

* XVIII Congresso - Roma, 9-11 febbraio 1946

* XIX Congresso - Bologna, 17-20 gennaio 1947

* XX Congresso - Napoli, 16-18 febbraio 1948

* XXI Congresso - Roma, 5-8 febbraio 1949

* XXII Congresso - Livorno, 18-21 maggio 1950

* XXIII Congresso - Bari, 6-8 marzo 1952

* XXIV Congresso - Firenze, 29 aprile - 2 maggio 1954

* XXV Congresso - Roma, 16-19 marzo 1956

* XXVI Congresso - Firenze, 20-23 novembre 1958

* XXVII Congresso - Bologna, 3-6 marzo 1960

* XXVIII Congresso - Livorno, 31 maggio - 3 giugno 1962

* XXIX Congresso - Roma, 25 -29 marzo 1965

* XXX Congresso - Milano, 7-10 novembre 1968

* XXXI Congresso - Firenze, 11-14 novembre 1971

* XXXII Congresso - Genova, 27 febbraio - 2 marzo 1975

* XXXIII Congresso - Roma, 14 -18 giugno 1978

* XXXIV Congresso - Roma, 22-25 maggio 1981

* XXXV Congresso - Milano, 27-30 aprile 1984

* XXXVI Congresso - Firenze, 22-26 aprile 1987

* XXXVII Congresso - Rimini, 11-15 maggio 1989

* XXXVIII Congresso - Carrara, 11-14 novembre 1992

* XXXIX Congresso - Roma, 4-6 marzo 1995

* XL Congresso - Roma, 9-11 aprile 1999

* XLI Congresso - Chianciano, 28-30 gennaio 2000

* XLII Congresso - Bari, 26-28 gennaio 2001

* XLIII Congresso - Fiuggi, 25-27 ottobre 2002

* XLIV Congresso - Fiuggi, 4-6 febbraio 2005

* XLV Congresso - Roma, 30 marzo - 1ş aprile 2007

Note [modifica]

1. ^ Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960, pagg. 1-22

2. ^ Statuto del PRI

3. ^ Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960, pag. 1

4. ^ [1]

5. ^ intervista di Luciana Sbarbati a La Voce Repubblicana del 27 febbraio 2009

6. ^ Ai quattro senatori eletti nelle liste del PRI, si aggiunsero altri 4 repubblicani eletti al Nord in liste comuni col cartello socialdemocratico di Unità Socialista, e precisamente nome cognome, nome cognome, nome cognome e nome cognome.

7. ^ solo in alcune ragioni

8. ^ solo in alcune ragioni

Bibliografia [modifica]

* Giovanni Spadolini, I Repubblicani dopo l'Unità, Le Monnier, Firenze, 1960. BN - 60-3863 (edizione 1980 ISBN 8800855768)

* Lucio Cecchini, Unitari e federalisti: il pensiero autonomistico repubblicano da Mazzini alla formazione del P.R.I., Bulzoni, Roma, 1974. BN 747920

* Risposta de' repubblicani a fogli clandestini dei costituzionali, Firenze, 30 maggio 1851. IT\ICCU\CFI\0589524

* Alberto La Pegna, Il patto di Roma del 13 maggio 1890: programma della democrazia italiana per la 17^ legislatura, Sonzogno, Milano, 1890. BN 1890 8571

* Claudio Pavone, Le bande insurrezionali della primavera del 1870, in Movimento operaio n. 1-3, pagg. 42-107, 1956.

* Giuseppe Pomelli, Aspromonte-Mentana, e le Bande Repubblicane in Italia nella primavera del 1870, Casa Editrice Imperia, Milano, 1923. (Prima edizione Como, 1911, BN 1911 4867).

* Mario Chini, Lettere di Giuseppe Mazzini a Giuseppe Riccioli Romano, Palermo, 1951, Società siciliana per la storia patria. BN 1852 3311 (sulla cospirazione repubblicana in Sicilia tra il 1864 e il 1872).

* Nello Rosselli, Mazzini e Bakunin: dodici anni di movimento operaio in Italia (1860-1872), Einaudi, Torino, 1967, ISBN 8806004859

* Luigi Minuti, Il comune artigiano di Firenze della Fratellanza Artigiana d'Italia, Tip. Cooperativa, Firenze, 1911.

* Enrico Golfieri, I primordi dell'organizzazione operaia in Italia, Arti Grafiche, Ravenna, 1946. BN 1946 3797

* Michele Vitale, Il pensiero politico di Napoleone Colajanni (1847-1921), tra repubblicanesimo e socialismo, Milano, Università degli studi, 1990.

* Elisa Signori, Il verde e il rosso: Fernando Schiavetti e gli antifascisti nell'esilio fra repubblicanesimo e socialismo, Le Monnier, Firenze, 1987, ISBN 8800855342

* Giuseppe Chiostergi nella storia del repubblicanesimo mazziniano italiano: atti del Convegno di studi: Senigallia, settembre 1978, Edizioni di Archivio trimestrale, Roma, 1980. BN 82-9293

* Luigi Gualtieri, Mazzini, Roma, democrazia: la Repubblica Romana e la genesi del repubblicanesimo italiano attraverso le pagine della rivista "Nuova Antologia" (1900-1950), 1908

* Enzo Santarelli, Nenni dal repubblicanesimo al socialismo (1908-1921): Contributo ad una biografia, ed. Istituto Gramsci, 1973.

* Giuseppe Tramarollo, Ideario repubblicano: quindici capitoli sulla storia e le idee del repubblicanesimo italiano, P.A.C.E., Cremona, 1983

* L'Idealista, I repubblicani e il repubblicanesimo: ricorrendo il 45° anniversario della fondazione del Lucifero, Stab. tipografico cooperativo, Ancona, 1915

* Paolo Gualdi, Repubblicanesimo e cooperazione a Ravenna: dal patto di fratellanza operaia alla nascita di Acmar 1871-1951, Longo, Ravenna, 2002. ISBN 8880633694

* Andrea Falco Il repubblicanesimo mazziniano nella lotta per l'unita d'Italia e per la risoluzione del problema sociale, Università di Palermo, 1946.

* Angela De Benedictis, Contrattualismo e repubblicanesimo in una città d'antico regime: Bologna nello Stato della Chiesa, Estr. da: Materiali per una storia della cultura giuridica Anno 22, 1992.

* Marco Novarino, L' Italia delle minoranze: massoneria, protestantesimo e repubblicanesimo nell'Italia contemporanea, L'età dell'Acquario, Torino, 2003. ISBN 8871361881

* Oliviero Zuccarini, Socialismo e repubblicanesimo, tipografia A. Garagnani, Bologna, 1908

* Pietro Galletto Dal repubblicanesimo risorgimentale alla Repubblica italiana del 1946 G. Battagin, San Zenone degli Ezzelini, 2001. BN 2002-9920.

Collegamenti esterni [modifica]

* Simbolo del PRI

* Logo PRI-i liberal Sgarbi per le europee 2004

* Registrazioni audiovideo integrali del Partito Repubblicano sul sito di Radio Radicale

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v · d · m

Partiti politici italiani Bandiera dell'Italia

Maggiori Il Popolo della Libertà – Partito Democratico

Medi Lega Nord – Italia dei Valori – Unione di Centro (Unione dei Democratici Cristiani e di Centro – Rosa Bianca)

Minori Alleanza per l'Italia – Movimento per le Autonomie – Radicali Italiani – Federazione della Sinistra (Partito della Rifondazione Comunista – Partito dei Comunisti Italiani) – Sinistra Ecologia Libertà (Movimento per la Sinistra – Sinistra Democratica) – Federazione dei Verdi – Partito Socialista Italiano – Partito Repubblicano Italiano – Movimento Repubblicani Europei – Liberal Democratici – Alleanza di Centro – Popolari UDEUR – Partito Liberale Italiano – La Destra – Fiamma Tricolore – Partito Comunista dei Lavoratori – Movimento Associativo Italiani all'Estero

Regionali Union Valdôtaine – Stella Alpina – Fédération Autonomiste – Renouveau Valdôtain/Vallée d'Aoste Vive – Moderati per il Piemonte – Südtiroler Volkspartei – Die Freiheitlichen – Süd-Tiroler Freiheit – Unione per il Trentino – Partito Autonomista Trentino Tirolese – Progetto NordEst – Io Sud – La Puglia prima di tutto – Riformatori Sardi – Partito Sardo d'Azione – Unione Democratica Sarda

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Partito Liberale Italiano

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Partito Liberale Italiano

[[Immagine:|180px]]

Partito politico italiano del passato

Leader storici Benedetto Croce, Luigi Einaudi, Giovanni Malagodi, Valerio Zanone, Renato Altissimo

Periodo di attività 08/10/1922 - 09/11/1926

-

17/04/1944 - 06/02/1994

Sede Via Frattina, Roma

Coalizioni Lista Nazionale (1924), Unione Democratica Nazionale (1946),

Blocco Nazionale (1948), Pentapartito (1980-1994)

Partito Europeo Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori

Ideologia Liberalismo, Liberismo, Laicismo

Numero massimo di seggi alla Camera 39 (nel 1963)

Numero massimo di seggi al Senato 18 (nel 1963)

Numero massimo di seggi all'Europarlamento 3 (nel 1979)

Organo ufficiale L'Opinione

Il Partito Liberale Italiano (PLI) era un partito politico italiano fondato nel 1922 da vari esponenti della classe politica che aveva governato il Regno d'Italia nel suo primo sessantennio di vita, e poi ricreato nel 1944 ad opera di Benedetto Croce dopo la chiusura della parentesi del Ventennio fascista.

Il partito partecipò alla formazione di molti governi della Repubblica Italiana, soprattutto in alleanza con la Democrazia Cristiana e fu protagonista dell'esperienza politica del cosiddetto Pentapartito. Si sciolse nel 1994, così come molti partiti della Prima Repubblica, travolto dalle inchieste di Mani Pulite sui finanziamenti illeciti ai partiti.

Indice

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* 1 Storia

o 1.1 Le origini

o 1.2 Il periodo fascista

o 1.3 La costituzione del PLI

o 1.4 L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale

o 1.5 L'adesione al pentapartito

o 1.6 Lo scioglimento dopo Tangentopoli

o 1.7 La diaspora liberale

* 2 Risultati elettorali

* 3 Segretari

* 4 Congressi

* 5 Note

* 6 Collegamenti esterni

Storia [modifica]

Le origini [modifica]

Le forze politiche liberali furono le protagoniste del processo che si compì nel 1861 all'Unità d'Italia in alleanza con la monarchia di Casa Savoia. La natura estremamente elitaria del nuovo Stato italiano fece sì che praticamente l'intero Parlamento divenisse espressione di tale ideologia politica, seppur suddivisa fra una fazione rigidamente conservatrice, ed un'altra più progressista e innovatrice. Quest'assoluto predominio, unito ai fenomeni di trasformismo che ben presto caratterizzarono la politica nazionale, impedirono la costituzione di un partito vero e proprio. La breccia di Porta Pia nel 1870, e il conseguente insorgere della Questione romana, scavarono un solco profondissimo fra i liberali e il mondo cattolico, spingendo quest'ultimo all'opposizione del regime sabaudo e dell'ordine politico vigente. Fu così che, anche quando tra la fine Ottocento e l'inizio del Novecento il suffragio elettorale fu allargato ai ceti medi prima, e popolari poi, le forze politiche cattoliche occuparono lo spazio centrista dello schieramento politico italiano, chiudendo i liberali su posizioni conservatrici di destra.

Il periodo fascista [modifica]

L'introduzione del sistema proporzionale nel 1919 e il conseguente trionfo dei partiti di massa socialista e popolare costrinse anche i liberali a cominciare a porsi il problema di più stabili forme organizzative. Il Partito Liberale Italiano fu fondato nel 1922 dagli eredi della classe dirigente liberale che, da Camillo Benso di Cavour a Giovanni Giolitti, aveva fino a quel momento guidato il governo statale.

Il nuovo soggetto fu tuttavia più un punto di riferimento aperto che un partito che intendesse esaurire la rappresentanza politica liberale. Di fronte all'ascesa del fascismo, i liberali avanzarono sì critiche a difesa delle garanzie statutarie, ma in molti casi collaborarono all'instaurazione del nuovo regime autoritario, sia a livello centrale dove molti esponenti entrarono nel Governo Mussolini all'indomani della Marcia su Roma, sia a livello locale dove in molti casi fornirono al PNF il materiale umano per abbattere le esperienze amministrative socialiste e popolari. In vista delle elezioni del 1924 la maggioranza dei liberali accettò di entrare nel Listone Mussolini, seppur con rilevanti ed autorevoli eccezioni, prima fra tutte quella di Giovanni Giolitti. L'avvento della dittatura comportò lo scioglimento di tutti i partiti all'infuori del PNF, e un certo numero di liberali trovò un modus vivendi con il regime. D'altra parte, il più importante tra gl'intellettuali liberali, Benedetto Croce, fu per tutto il Ventennio, in Italia e all'estero, il simbolo vivente dell'opposizione morale e intellettuale alla dittatura, in nome della "religione della libertà" e del richiamo al Risorgimento nazionale: un'opposizione che, per il grande prestigio internazionale del filosofo, il fascismo fu costretto a tollerare, almeno fino a un certo segno.

La costituzione del PLI [modifica]

Benedetto Croce

Il Partito Liberale Italiano si ricostituì nell'inverno del 1944 grazie a Benedetto Croce e Vittorio Emanuele Orlando partecipando, seppur in maniera debole, sia alla Resistenza partigiana che ai governi di unità nazionale guidati da Ivanoe Bonomi e Ferruccio Parri. In questo periodo due liberali divennero presidenti della Repubblica: prima Enrico De Nicola (1946-1948) e poi Luigi Einaudi (1948-1955).

Nel referendum istituzionale per la scelta tra repubblica e monarchia, il PLI si schierò per la monarchia.[1]

Il PLI non svolse mai una funzione di grande rilevanza nel panorama politico italiano, non raggiungendo mai un ragguardevole consenso di voti, ma ebbe sempre grande prestigio intellettuale, svolgendo il ruolo di pungolo liberale verso tutti i partiti democratici, specialmente sui temi dell'economia. Faceva parte della cultura liberale, sia pure quella più laica ed europea, il settimanale, Il Mondo, diretto da Mario Pannunzio (1910-1968), che a partire dal 1949 rappresentò un punto di riferimento per il laicismo e liberalismo italiani.

L'ostilità al centrosinistra e la scissione radicale [modifica]

Luigi Einaudi

Sotto la segreteria di Giovanni Malagodi il partito si orientò su posizioni più coerentemente liberiste, più vicine agli insegnamenti di Einaudi che di Croce, con una durissima e storica opposizione alla nazionalizzazione dell'energia elettrica e in generale alla formula del Centrosinistra che condusse il Partito ad un periodo felice che vide molto salire i consensi. Il Partito liberale fu uno dei più strenui oppositori della riforma urbanistica ideata dal Ministro Fiorentino Sullo e che cercava di limitare gli effetti negativi della speculazione edilizia, fenomeno che si protrae ancora oggi. Questa nuova strategia politica non fu apprezzata da alcuni giovani liberali (fra cui Eugenio Scalfari e Marco Pannella), ispirati soprattutto dalla redazione del Mondo di Mario Pannunzio. Essi si staccarono dal PLI e fondarono il Partito Radicale nel 1955, su posizioni più laiciste.

Rimasto all'opposizione per tutti gli anni sessanta, il PLI subì poi una crisi elettorale che lo portò a diventare un partito marginale nello scacchiere politico italiano. Nel 1972 Malagodi si dimise dall'incarico di segretario, e dopo il crollo del 1976 (quando il PLI ottenne solo l'1,6% dei voti alle elezioni politiche) fu scelto come segretario Valerio Zanone.

L'adesione al pentapartito [modifica]

Negli anni ottanta il PLI fu parte del pentapartito, un'eterogenea coalizione di partiti che metteva insieme la Democrazia Cristiana (all'epoca dominata dalle correnti dorotee e più o meno di destra), il Partito Socialista Italiano, il PSDI e il PRI, uniti solamente dalla strenua volontà di escludere in ogni modo il PCI da qualunque ruolo di governo. La regione coi migliori risultati per il PLI fu il Piemonte, e in particolare la provincia di Cuneo, storico feudo elettorale di Giovanni Giolitti, Luigi Einaudi e, nell'ultimo terzo del XX secolo, Raffaele Costa.

Neanche sotto la segreteria di Zanone il PLI aumentò i suoi consensi, e nel 1985, dopo un ennesimo insuccesso elettorale, il vertice nazionale cambiò ancora: si successero alla segreteria Alfredo Biondi, Renato Altissimo (che portò il partito al 2,8% dei voti durante le elezioni politiche del 1992) e Raffaele Costa.

Lo scioglimento dopo Tangentopoli [modifica]

Partendo da dati elettorali e di militanza così esigui, era inimmaginabile che il PLI avrebbe resistito al ciclone Tangentopoli. Renato Altissimo fu costretto a dimettersi e al suo posto divenne segretario Raffaele Costa. La situazione era ormai difficile ed un congresso furente sancì lo scioglimento del partito il 6 febbraio 1994.

In realtà si trattava di riconoscere la fine di un partito ormai ridotto al minimo. Già nel corso del 1993 alcuni esponenti liberali avevano tentato, pur mantenendo l'appartenenza al partito, di ricostituire una presenza liberale sotto nuovi simboli e nuove formule.

Nel giugno 1993, il presidente dimissionario Valerio Zanone aveva dato vita all'Unione Liberaldemocratica, un movimento di ispirazione liberal-democratica, di stampo non conservatore. Analogamente il segretario in carica Raffaele Costa, sempre nel giugno 1993, aveva fondato l'Unione di Centro inteso a raggruppare attorno a sé l'elettorato moderato di centrodestra, alternativo alla sinistra. Alcuni esponenti del PLI inoltre, come Paolo Battistuzzi e Gianfranco Passalacqua, aderirono sempre nel corso del 1993 al progetto di Alleanza Democratica, con una collocazione più decisamente di centrosinistra.

Il giorno dopo lo scioglimento, alcuni esponenti dell'ex-PLI scelsero di dare vita a un coordinamento dei liberali ormai sparsi in diversi movimenti nella prospettiva di riunificare in futuro le diverse esperienze dei liberali: Raffaello Morelli (su posizioni più progressiste) con l'appoggio di Alfredo Biondi (su posizioni più moderate-conservatrici) fondò così la Federazione dei Liberali Italiani.

Il simbolo della Federazione dei liberale italiani

In occasione delle elezioni politiche del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani non si presentò unitariamente ma si limitò a stendere un documento di indirizzi politico-programmatici cui si invitavano ad aderire i diversi esponenti liberali candidati nei vari schieramenti: Costa e Biondi traghettarono la loro Unione di Centro (UdC), fondata l'anno prima – e da molti giudicata causa della presentazione da parte di Costa della mozione di scioglimento – verso il centrodestra, divenendo una forza del primo governo Berlusconi. Altri liberali come Zanone aderirono invece alla coalizione centrista del Patto per l'Italia e al progetto di Mario Segni, altri ancora scelsero di candidarsi autonomamente sotto le bandiere dei radicali (Lista Pannella e Riformatori).

Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, molti ex esponenti del PLI (come il prof. Antonio Martino, il prof. Carlo Scognamiglio, i consiglieri Gianfranco Ciaurro e Pietro Di Muccio) migrarono verso Forza Italia , che realizzava l'antica ambizione sonniniana [2]del "partito liberale di massa"; altri migrarono verso Alleanza Nazionale come Gabriele Pagliuzzi, Giuseppe Basini e Luciano Magnalbò.

Pochi mesi dopo alle elezioni europee del 1994 la Federazione dei Liberali Italiani di Morelli spinse affinché fosse possibile, dato anche il sistema elettorale proporzionale, ripresentare una lista che unisse tutti i liberali al di là degli schieramenti e in nome dell'appartenenza al Partito Europeo dei Liberali, Democratici e Riformatori (ELDR). Tuttavia ciò non fu possibile: i liberali erano ormai dispersi per strade diverse e si rivelò impossibile una lista unitaria. La FdL si presentò comunque in 2 circoscrizioni ma non raccolse risultati significativi (0,16%).

Nel 1996, dopo le elezioni politiche, terminò la breve esperienza dell'UdC dell'ultimo segretario Costa, che confluì definitivamente in Forza Italia.

La diaspora liberale [modifica]

Dopo lo scioglimento del PLI, uomini politici liberali si possono trovare in vari partiti italiani.

* Nel 2004 è stato rifondato un nuovo Partito Liberale Italiano sotto la guida di Stefano De Luca (ex-Forza Italia), con vari esponenti ex-PLI come Giuseppe Basini, Renato Altissimo, Gian Nicola Amoretti (presidente dell'Unione Monarchica Italiana), Attilio Bastianini, Salvatore Grillo, Savino Melillo, Carla Martino. Il PLI è rappresentato in Parlamento da Paolo Guzzanti .

* Alcuni liberali fanno parte del Popolo delle Libertà, come il governatore del Veneto Giancarlo Galan, l'associazione Liberalismo Popolare di Raffaele Costa e Alfredo Biondi, il movimento dei Riformatori Liberali e alcuni uomini iscritti ad Alleanza Nazionale come Enzo Savarese e Luciano Magnalbò. In particolare questi liberali si rifanno alle moderne ideologie del conservatorismo liberale, del liberalismo nazionale e del liberismo economico. Molti liberali del PDL sono dentro il Parlamento,come Antonio Martino o Benedetto Della Vedova .

* Altri liberali fanno parte del Partito Democratico, come per esempio Federico Orlando, Giovanni Marongiu e Valerio Zanone. Questi liberali si rifanno soprattutto a correnti del liberalismo quali il socialismo liberale, il liberalismo sociale e il liberalismo progressista.

* Alcuni liberali, a livello locale, sono entrati nel movimento politico della Lega Nord, come l'ex presidente della provincia di Vicenza Manuela Dal Lago.

* Alcuni liberali sono membri della Destra Liberale Italiana (più spostata a destra rispetto al Partito Liberale attuale),altri membri di partiti liberali regionali si sono riuniti in un Coordinamento dei Liberali Italiani.

 

Risultati elettorali [modifica]

– Partito Liberale Italiano alle Elezioni politiche

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1946 (nell'UDN)

 

1948 (nel BN)

 

1953

 

1958

 

1963

 

1968

 

1972

 

1976

 

1979

 

1983

 

1987

 

1992

Costituente

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

Camera

Senato

1.560.638

1.003.727

1.216.934

816.287

695.985

1.046.939

1.008.830

2.143.954

2.028.379

1.851.060

1.936.943

1.297.105

1.316.058

478.335

436.751

712.646

691.464

1.066.980

834.228

810.216

700.330

1.121.264

937.709

6,78

3,82

6,20

3,01

2,86

3,54

3,86

6,97

7,38

5,82

6,77

3,88

4,37

1,3

1,4

1,94

2,21

2,89

2,68

2,1

2,16

2,86

2,82

33

15

10

13

3

17

4

39

18

31

16

20

8

5

2

9

2

16

6

11

3

17

4

 

– Partito Liberale Italiano alle Elezioni europee

Elezione Parlamento Voti % Seggi

1979

1984 (col PRI)

1989 (col PRI e PR) Parl. Europeo

Parl. Europeo

Parl. Europeo 1.270.152

2.136.075

1.533.053 3,63

6,09

4,40 3

5

4

Segretari [modifica]

* Alberto Giovannini (ottobre 1922 - 1924)

* Quintino Piras (1924- novembre 1926)

 

* Giovanni Cassandro (aprile-giugno 1944)

* Manlio Brosio (giugno-dicembre 1944)

* Leone Cattani (dicembre 1944 - dicembre 1945)

* Triumvirato dei vicesegretari Giovanni Cassandro, Anton Dante Coda e Francesco Libonati (dicembre 1945 - dicembre 1947)

* Roberto Lucifero (dicembre 1947 - ottobre 1948)

* Bruno Villabruna (ottobre 1948 - febbraio 1954)

* Alessandro Leone di Tavagnasco (febbraio-aprile 1954)

* Giovanni Malagodi (aprile 1954 - luglio 1972)

* Agostino Bignardi (luglio 1972 - febbraio 1976)

* Valerio Zanone (febbraio 1976 - luglio 1985)

* Alfredo Biondi (luglio 1985 - maggio 1986)

* Renato Altissimo (maggio 1986 - maggio 1993)

* Raffaele Costa (maggio 1993 - febbraio 1994).

Congressi [modifica]

* I Congresso - Bologna, 8-10 ottobre 1922

* II Congresso - Livorno, 4-7 ottobre 1924

* III Congresso - Roma, 29 aprile - 3 maggio 1946

* IV Congresso - Roma, 30 novembre - 3 dicembre 1947

* V Congresso - Roma, 9-11 luglio 1949

* VI Congresso - Firenze, 23-26 gennaio 1953

* VII Congresso - Roma, 13 dicembre 1955

* VIII Congresso - Roma, 29 novembre - 1ş dicembre 1958

* IX Congresso - Roma, 5-8 aprile 1962

* X Congresso - Roma, 4-8 febbraio 1966

* XI Congresso - Roma, 7-12 gennaio 1969

* XII Congresso - Firenze, 9-15 gennaio 1971

* XIII Congresso - Roma, 7-11 febbraio 1973

* XIV Congresso - Roma, 18-23 aprile 1974

* XV Congresso - Napoli, 7-11 aprile 1976

* XVI Congresso - Roma, 24-28 gennaio 1979

* XVII Congresso - Firenze, 18-22 novembre 1981

* XVIII Congresso - Torino, 29 marzo - 1ş aprile 1984

* XIX Congresso - Genova, 22-25 maggio 1986

* XX Congresso - Roma, dicembre 1988

* XXI Congresso - Roma, 9-12 maggio 1991

* XXII Congresso - Roma, 5-6 febbraio 1994 - Liberali sempre, per una federazione di liberali italiani

Note [modifica]

1. ^ Partito Liberale Italiano - La storia - RaiNet - News

2. ^ Il 16 settembre 1901, nell’editoriale Questioni urgenti scritto per il suo quotidiano, Il Giornale d’Italia, Sonnino propone il partito liberale di massa: cfr. ((http://www.cielilimpidi.com/?p=382)).

Collegamenti esterni [modifica]

* Articolo sulla storia del PLI

* La Fondazione Einaudi di Roma, che conserva parte dell'archivio storico dei segretari del PLI

* Liberalismo e PLI sul sito di Alleanza Cattolica

 

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v · d · m

Partiti politici italiani del passato (Prima Repubblica) Bandiera dell'Italia

Maggiori Democrazia Cristiana – Partito Comunista Italiano

Medi Partito Socialista Italiano – Partito Liberale Italiano – Partito Socialista Democratico Italiano - Partito Repubblicano Italiano - Movimento Sociale Italiano

Minori Partito Radicale - Partito Nazionale Monarchico - Fronte dell'Uomo Qualunque - Partito Socialista di Unità Proletaria - Democrazia Proletaria

Sistema politico della Repubblica Italiana – Camera dei deputati – Senato della Repubblica – Parlamento europeo

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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